Trascrizione
Froggy
Allora, un pochino è un tema che sta un po’ uscendo dal tema della conversazione, quindi qualcosina lo blocco perché sono cose di cui vorrei parlare in future sessioni, in futuri dialoghi. Detto questo, ti posso rispondere a una cosa che hai detto.
Non mi concentrerei sulla questione sicurezza, però quello che hai espresso tu è anche una questione di, come posso dire, senza dover parlare necessariamente di cose che ci mettono a disagio, in generale standard estetici su quello che le altre persone hanno detto.
Ora, per rispondere a una parte di quello che hai detto dovrei entrare nei nostri ruoli reciproci, che cosa ciascuno fa, che è una cosa che è fuori dall’argomento di oggi, però una cosa che ti posso dire, secondo me, che è essenziale è che ascoltare non significa che dobbiamo prendere tutto. Parte dell’ascoltare e parte del parlare agli altri è anche commentare.
Infatti, quello che ho scritto, ti leggo adesso la cosa che ho scritto riguardo a questa cosa nei principi della FroggyCon 2024. Ascoltarsi significa che non stiamo soltanto calcolando numeri e tirando dadi, ma che importa tutto quello che diciamo. Ok, questo l’abbiamo già detto.
Partecipiamo anche quando il nostro personaggio non è in scena, perché stiamo giocando insieme e ascoltiamo attentamente quello che gli altri contribuiscono. Possiamo anche commentare e dare suggerimenti. Qui, aggiungerei anche, possiamo anche commentare e dire che non ci piace, capito? E dire, a me non piace quello che hai fatto.
Poi, entrando nelle questioni delle responsabilità, io potrei dire, secondo me, quella persona comunque ha la responsabilità di quello che ha detto, quindi la decisione finale se quella cosa la vuole ritirare o meno è sua, però quella persona deve anche ascoltare te quando tu gli dici che non ti piace, giusto? Quindi, quello che però hai detto, tipo, se cominciamo a raggiungere un regime di contrattazione, quello per me è negativo. Cioè, vuol dire che non stiamo più ascoltando e reintegrando, ma stiamo scrivendo insieme. E a quel punto, secondo me, esce un po’ dall’ambito ludico quella cosa. Almeno a me tutte le volte che l’ho visto succedere mi ha abbattuto il gioco.
Però una cosa molto importante che sta dicendo Daniele è che noi stiamo attenti e ascoltiamo tutto quello che succede. Non solo quando i nostri personaggi sono in scena, ma anche nelle scene degli altri, anche quando i nostri personaggi non sono qua. E dobbiamo e possiamo commentare, cioè il table talk, le discussioni fuori, non extra diegetiche, scusate adesso uso i paroloni, le discussioni out of game, no, le discussioni fuori dal mondo di gioco, cioè i commenti tra persone normali, sono una parte naturale del gioco di ruolo.
Quindi è normale in un gruppo sano che noi continuiamo a esprimere questi feedback agli altri. E dunque nel momento che accade questa cosa gli altri possono anche regolarsi e creare insieme degli standard estetici che poi diventano condivisi. Quindi che diciamo delle cose che piacciono a noi ma che poi possono piacere a tutti.
Allora, una cosa di cui volevo parlare è una cosa che hai accennato tu, Greta, sulla quale sono molto d’accordo. Poi, se qualcuno vuole parlare, adesso scrivete in chat con tipo un’icona di una manina, perché io non riesco a seguire quello che scrivete. Quindi, se mi mettete una manina e poi con un sunto di quello che volete dire, poi vi chiamo. Però, una cosa che volevo estrarre da quello che hai detto tu, Greta, hai detto “non sto necessariamente cercando di fare l’intervento, il contributo interessante o il contributo complesso”. Io penso che questa è una trappola in cui cadono molte persone e sono d’accordissimo con tutto quello che hai detto riguardo a cercare di fare le cose il più semplice possibile.
Perché l’interessante, il complesso, lo sfaccettato non vengono dalla nostra abilità di portare una cosa che in questo momento fa fare “wow” all’altro, ma provengono dal fatto che tutti questi contributi si intersecano in questo processo che Daniele ha giustamente descritto di validazione e rivalidazione, creando un contenuto immaginato, sfaccettato, nel quale poi noi possiamo sviluppare delle emozioni molto più complesse del semplicemente “wow che bravo” o “che cosa interessante”. Possiamo sviluppare la catarsi, la gioia, l’odio, tutte queste emozioni complesse che richiedono un giudizio che magari va un pochino più sul lungo termine.
E volevo portare come esempio la sessione che è stata fatta a capodanno di Inquest, dove ha partecipato anche Alessio. C’era Alessio, Benedetta e Daniele che è qua e ha iniziato ad ascoltarsi. Senza andare troppo nel dettaglio, era ambientata in una scuola superiore italiana e ce n’erano di mezzo dei fatti anche abbastanza, non voglio dire lugubri, però seri, specialmente riguardo la diffusione di materiale tipo revenge porn e la misoginia dei professori, eccetera. Però, in certi momenti noi l’abbiamo presa quasi in maniera comica, non era una comicità del tipo che lo prendevamo sul ridere, però delle cose ci facevano ridere, forse in maniera quasi catartica, perché ciascuno di noi quando stava contribuendo le cose nella sessione ha portato delle cose che poi nel momento erano delle reazioni molto semplici, però in realtà ha portato, ha inserito dentro, magari senza neanche pensarci, delle sue esperienze personali di scuola.
Dunque, poi quello che ne è uscito fuori è una specie di commento sfaccettato e satirico sulla scuola italiana e, come dice Daniele, una situazione magari anche grottesca. Come vedete sto descrivendo delle emozioni molto complesse e io non penso che l’avremmo potuto fare semplicemente con quello che si mette lì e fa la battutina sul “ha-ha” e il prof misogino, no? È una cosa complessa che si è costruita perché stavamo comunicandoci, stavamo esprimendo in questa maniera di mutuo ascolto e stavamo ciascuno dando impatto a quello che dicevano gli altri e si è creata questa specie di visione sfaccettata sulla scuola italiana che, tra l’altro, non c’era nel materiale preparato, perché il materiale preparato era ispirato da una serie tv che è ambientata in una scuola americana.
Quindi non so, questo può essere un esempio. Magari, Daniele, se vuoi venire a parlare del tuo punto di vista a tocchetti in quella sessione lì, se ti va di venire a parlare?
Daniele
No, va bene, è che di solito non mi muto, per cui non devo smutarmi. No, ci stavo proprio ragionando e in particolare, al di là di quella sessione di cui hai già parlato tu, mi è venuto in mente anche un’altra volta dove mi era successa questa cosa, forse ancora più iconica. Sarà per questo che mi è venuto in mente, perché mi era successo l’ultima volta che ho giocato la mia vita col padrone, dove ovviamente i personaggi erano costretti a fare cose orribili perché il padrone glielo ordinava e il gioco si basa su questo.
E ovviamente, nonostante la pesantezza di alcune scene, a volte ti veniva, come dire, da riderci sopra, ma credo che fosse un meccanismo di difesa, perché se non schermavi, diciamo, le azioni del tuo personaggio in questo modo, cioè diventavo molto pesante, ecco. Però il tono della partita era comunque abbastanza serio, ecco. Però ogni tanto capitava di scherzarci sopra. Ed è successa la stessa cosa, secondo me, anche nella nostra partita di Inquest, sebbene magari con gradazioni diverse, perché è chiaro che tutti noi eravamo consapevoli del fatto che quelle cose fossero gravi, tant’è che poi quando abbiamo raccontato la sessione ad altri hanno detto “Mamma mia che pesantezza!” Però lì per lì affrontarle così, almeno per me, non è stato pesante, ecco.
Devo dire che mi aveva preso molto la situazione, nel senso che mi sentivo in una situazione di ingiustizia e poi ho giocato il mio personaggio, chiaramente, credo in maniera spontanea, per quello che credevo fosse giusto per lui e probabilmente anche per me, perché in un certo qual modo è chiaro che ho travasato dentro il personaggio anche una parte delle mie convinzioni, ecco. Non so se ho detto quello che pensavi che avrei detto, comunque sia…
Froggy
Ma io non tiro fuori le persone perché voglio che dicano qualcosa, quindi mi sembra un ottimo contributo, comunque ti ringrazio. Alessio, Greta, voi avete qualcosa da aggiungere?
Greta
Posso? Io sì. A me, visto che state raccontando esempi, ne è venuto in mente uno che mi è capitato qualche settimana fa.
Stavo giocando a un gioco serio di Antonio Mato, che è un gioco, anche quello, abbastanza peso, ispirato al Sentiero dei Nidi di Ragno, quindi c’è questa persona molto giovane, dagli 8-12 anni, che vive le esperienze dell’essere tra i partigiani ambito.
E la cosa bella è stata che nella scena finale, è un gioco a rotazione di ruoli, ma non è importante, nella scena finale io giocavo questa ragazza che aveva dei problemi con il fratello, il fratello era più grande di lei ed era partigiano, ma aveva problemi fisici, zoppicava da una gamba, era un po’… sì, zoppicava da una gamba e basta, in realtà.
E quindi lei l’aveva sempre preso in giro dicendogli, ah, ma che partigiano sei, non puoi essere un partigiano, che schifo, bla bla bla. E alla fine, io involontariamente ho fatto qualcosa di cui non mi ero neanche accorta, perché lei ha detto, sono felice che voi partigiani mi abbiate accettato tra di voi. E un altro giocatore che era con me fa, ah ma quindi lei si è riconciliata col fratello perché ha usato il voi, io ho detto, cavolo è vero, sì, e non mi ero nemmeno accorta. E questa persona ha ascoltato qualcosa che nemmeno io mi era accorta che stava succedendo. Io semplicemente mi sono espressa nel modo che secondo me era naturale per la bimba, per me era una cosa anzi molto banale, era una scena tranquillissima. E quest’altro giocatore l’ha resa involontariamente una cosa molto più complessa emotivamente, perché ha notato nel linguaggio qualcosa che nemmeno io avevo visto. Questo è stato molto bello per me.
Froggy
Molto bello, davvero. Alessio, hai qualcosa da aggiungere?
Alessio
Sì, ho qualcosa da aggiungere, nel senso che, come ne stiamo parlando ora, ovvero per esempi di gioco concreto, mi conferma il fatto che l’ascolto è veramente, come ho detto prima, la parte più difficile, no? Cioè, prendo l’esempio di Greta, cioè, per me è il benchmark. Cioè, abbiamo giocato con lei assieme, ho giocato separatamente con lei quando magari non c’era e così via, e effettivamente, se anche Greta a volte, che è la maestra dell’ascolto fra di noi, a volte si perde appunto queste sfumature, vuol dire che poi effettivamente il tessuto di questa attività che facciamo, quel gioco di ruolo, no?
È veramente una roba difficile, e ne possiamo parlare solo per esempi, però perché effettivamente è qualcosa di pratico, cioè non è qualcosa che verbalizzi, puoi mostrare e hai il feeling che appunto viene ascoltato, ma non lo puoi descrivere, qualcosa che esperisci, no? Se molto spesso io ho problemi, quando provo a trasmettere questo concetto a qualcun altro, ho grossi problemi perché effettivamente è difficile verbalizzare la sensazione di essere ascoltati e che questo abbia successo, sono quello che esprime le difficoltà stasera.
Froggy
Allora, volevo solo dire che esprimo il mio disaccordo su una cosa, cioè che secondo me, per questo volevo renderlo chiaro e senza voler metter meno alle difficoltà che Alessio sta esprimendo e che l’ho visto lottare con esse e che dobbiamo tutti supportarlo in quello che sta esprimendo. Sono sicuro, le ho passate anch’io e qualcuno nella chat che ci ascolta sicuramente sta vivendo delle difficoltà simili.
Vorrei invece dire una cosa che secondo me, spero che sia incoraggiante, non penso che il tessuto del gioco di ruolo sia difficile da mantenere, perché non penso che questo ascoltarsi sia una cosa fondamentalmente difficile. Il problema fondamentale è che nel giocare, in molte culture di gioco, ci siamo dimenticati come si fa, ecco, mettiamola così, e che quindi ci sono delle disabitudini. Però io penso sia una cosa molto naturale e tutto sommato resiliente, e non voglio che con questo Alessio tu ti senti che le tue difficoltà vengono sminuite, perché sono assolutamente valide, però volevo esprimere questo disaccordo perché appunto non sono d’accordo che sia una cosa fragile.
Alessio
Non sono contrariato, al contrario. Forse il problema è che gioco da tanto. È una roba così ovvia, così perspicua, non trovo un termine più semplice. È qualcosa di così ovvio e naturale che a un certo punto, anche se ce l’hai di fronte, non lo noti. Cerchi spiegazioni, cerchi tecniche e così via per praticarlo e ti dimentichi che effettivamente poi il punto della questione è quello. E credo sia un problema per chi gioca da tanto come me, e non è una medaglia, cioè la porto come parte del problema. È che effettivamente noi veniamo molto spesso da una cultura dominante, dove il punto che solleviamo stasera è completamente ignorato.
Froggy
Possiamo dire minimizzato. Completamente ignorato magari no.
Alessio
Siamo così abituati ad applicare altre tecniche quando giochiamo, per impressionare gli altri o per mille altri motivi, che a un certo punto abbiamo atrofizzato questa capacità che, come dici tu, per certezza è naturale. E se noti, io non ho problemi effettivamente poi a giocare con i neofiti. Sto giocando a Dungeons & Dragons BX e lì è veramente, invece, un’esperienza dove mi sento ascoltato, dove lì non faccio fatica, ci ascoltiamo, giochiamo. Io faccio più fatica e per me è più complesso spiegarlo a chi gioca da tanto, no? Perché gli spieghi questa cosa, le dicono “no, ma in realtà è lo spazio immaginato, no?”
Placeholder di quello che ritiene sia poi l’essenza del giocare.
Perché effettivamente, più giochi, più giochi con una postura sbagliata, tra virgolette, quindi ho tante assunzioni errate per mille motivi. Sarà oggetto in un’altra puntata, forse, che effettivamente atrofizzo questa capacità. Come sta, come effettivamente è normale, è naturale camminare, ma se poi passo tutto il giorno seduto facendo la spora o letto, a un certo punto ti si atrofizzano i muscoli delle gambe o del torso. E per me, almeno, l’esperienza è quella. Quello che poi sto cercando di fare è ripartire da zero, ricominciare a fare i passettini e poi a correre. Forse per questo delle difficoltà.
Froggy
Io ho un’esperienza da condividere che risponde sia a Greta che ad Alessio, in realtà, perché ho giocato recentemente e ho anche fatto un post sulla locanda dei GDR. Quindi forse qualcuno di voi ha già letto questa storia, però in ogni caso la riracconto.
Ho giocato di recente con un mio amico che è venuto a trovarmi qua in Finlandia, che non è un giocatore di ruolo, non è neanche un giocatore da tavolo e non sapeva neanche riconoscere le forme dei dadi poliedrici. Quindi siamo proprio al livello base, base, base. Però è un ragazzo molto creativo, espressivo, che gli piace andare all’avventura, andare alle feste, andare ai rave, queste cose qua. E ha visto la scatola di Mausritter che avevo sul tavolo, perché la mia casa è molto disordinata e ho libri e scatole giochi di ruolo sparsi dappertutto, e mi ha chiesto che cos’era, avevo visto l’immagine e lo voleva giocare.
Quindi io l’ho fatto giocare a Mausritter. Quello che è successo è che se tu cominci con semplicemente il fare piccole dichiarazioni ed ascoltare, e lui fa lo stesso, le regole del gioco… Sì, scusate, l’ho pronunciato con la pronuncia tedesca, Spacerunner mi prende in giro. Però se cominciamo con queste piccole dichiarazioni dove ci ascoltiamo a vicenda, poi reintegriamo, diamo impatto e rispondiamo, e poi lui fa lo stesso, questa cosa è completamente naturale nelle persone che non sono disabituate.
A parte che il gioco è ben adatto ai neofiti anche per via delle sue meccaniche semplici, però gliel’ho insegnate man mano che servivano, non gli ho spiegato praticamente niente prima d’iniziale, e ha capito subito come funzionava il gioco in maniera, come direbbe Ron, esperienziale, cioè in maniera intuitiva facendolo, ha imparato facendolo.
E mi è capitato un momento simile a quello che ha detto Greta prima, cioè che io, a un certo punto, questo è un gioco dove l’inventario conta, quindi tu hai un inventario diviso in delle caselle, e puoi spostare gli oggetti da una casella all’altra praticamente. A un certo punto, per liberare l’inventario, aveva lasciato dei semi di girasole magici in una stanza. Era tornato in questa stanza con tutti questi topi che facevano il culto al quale stava cercando di ottenere favore, uno di questi era ferito, voleva usare i semi magici per guarirlo, però li aveva lasciati in un’altra stanza.
Ora, in questo contesto non c’era pericolo in questa sezione della mappa, quindi non dovevamo contare i turni per vedere se c’era l’incontro casuale eccetera eccetera, però invece di dire ok, vuoi tornare indietro a prenderli e poi dire che li aveva presi? Io gli ho detto, non so perché, gli ho detto ah, non ti preoccupare, i semi li avevi già portati qui. E lui mi ha guardato e ha detto no, i semi li avevo lasciati nell’altra stanza, perché chiaramente non ha questa abitudine a dire no, quell’altro mi ha detto sta cosa ed è il master, quindi quello che dice va bene. Dice no, io ti ho detto che li avevo portati nell’altra stanza.
Io mi sono fermato un attimo e ho detto ah sì, hai ragione, scusami, allora immagino che spenderai qualche minuto per andarli a riprendere. No? Uno scambio piccolissimo, però in quel momento io non avevo ascoltato quello che aveva detto e soprattutto non avevo dato impatto a quella cosa lì. Ora, è una cosa piccolissima che magari in quel contesto non avrebbe avuto un vero impatto su come sarebbero andate le cose, però io non potevo saperlo. Cioè, mi sono arrogato il diritto di dire che quella cosa non aveva impatto, invece di cercare dagli impatto e vedere dove andava a finire. Perché, you know, qualunque cosa poteva succedere a partire di quella cosa, e anche se non fosse successa qualunque cosa, ho leso a la coerenza di quello che stavamo dicendo per nessuna buona ragione, fondamentalmente, perché non è che ho abbreviato particolarmente quello che stavamo facendo.
Basta, ho concluso. Se qualcun altro vuole dire qualcosa, o tra Greta e Alessio, o dalla chat, il palco è aperto. Vai, allora, InvernoMuto, non chattare, vieni a darci la tua esperienza, demutati e vieni a parlare. Sì, siamo sicuri, siamo sicuri. Parla. Sì, sì, se parli troppo ti fermo, non c’è problema.