Ho pensato moltissimo a come introdurre questa riflessione: si tratta di un tema che è emerso durante la campagna di Fantasy World a cui sto partecipando in questo momento, ma che richiama numerose delle mie esperienze al tavolo di gioco, e mi spinge a interrogarmi, spero, per migliorarmi come appassionato dell’hobby. L’argomento è il concetto di “divertimento” nei giochi di ruolo. E’ qualcosa di vasto e potenzialmente confuso, ma cercherò di restringerlo il più possibile:
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Qui si parla di: come facciamo esperienza di quello che definiamo come “divertimento” al tavolo da gioco; di quali differenze possano intercorrere tra differenti medium al riguardo di questo ed altri termini affini. E’ soprattutto l’esperienza personale che mi interessa, e spero che dallo scambio delle nostre storie abbia modo di definire o modificare le mie aspettative riguardo a quello che cerco al tavolo di gioco.
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Qui non si parla di: come migliorare il divertimento di qualcuno (oddio, il mio si, ma non vorrei che diventasse un thread di psicoanalisi); se un medium sia superiore od inferiore rispetto ad un altro; di trovare una definizione teorica di divertimento. Su quest’ultimo punto, mi preocupa il solo fatto di allontanare la discussione da quello che si prova al tavolo; accetterei che si sfociasse in un ambito più teorico per costruire delle posizioni più ragionate, ma non vorrei mettere al centro questo obbiettivo.
Infine, un’ulteriore premessa: quelle di cui parlo sono esperienze soggettive; prendetele come il bisogno di ragionare di questi argomenti con voi, e non come posizioni definitive. Se sono più certo di quello che provo, può anche capitare che mi spinga a immaginare il perchè di queste posizioni. Non voglio costruire una teoria, solo cercare di suggerire delle spiegazioni che spero possano essere discusse.
Comincio quindi parlando di uno dei miei hobby preferiti: sono un avido consumatore di videogiochi; sono passato per diversi generi e console, e continua ad essere una delle mie più grandi soddisfazioni potermi ritagliare del tempo per questa mia passione. La mia esperienza, quando mi confronto con questo genere di giochi, risulta nella maggior parte dei casi la stessa: una sensazione di gratificazione che, in mancanza di altre parole, definirei non mediata. Intendo dire che, di fronte allo schermo, sento che non esiste una barriera tra il sistema che mi si presenta davanti e la sensazione di appagamento che ricavo nello sviscerare le meccaniche insite ad stesso. Insomma sento di riconoscere, nel momento stesso in cui sto giocando, i sentimenti di euforia o soddisfazione che associo alla parola “divertimento”. Se torno indietro alla mie esperienze, riconosco questo fil rouge in giochi anche completamente differenti.
Mi preme chiarire che la questione esclude parzialmente la curva di difficoltà di un gioco: prodotti - almeno per me - molto complessi (vedasi Dwarf Fortress, Factorio, la serie dei Total War) possono dissociarmi temporaneamente da questa sensazione; ma è qualcosa che, superato lo spaesamento iniziale, sento di riconoscere anche in mancanza di obbiettivi precisi, di sezioni di gioco incomprensibili o in generale di fronte alla mancanza di padronanza del sistema. Pensandoci, mi sembrano due gli elementi che mi consentono di sperimentare queste sensazioni:
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la presenza di una visualizzazione dello spazio immaginato: ciò di cui faccio esperienza si trova di fronte a me, sullo schermo; può anche non essere immediatamente leggibile o prevedibile, ma è presentato di modo tale che ne possa ricavare un’immagine chiara, non mediata (mi scuso per la ripetizione del termine, ma non ne trovo uno che esprima allo stesso modo quello che intendo)
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quello che chiamerei un feedback istantaneo alle proprie azioni: i comandi di un controller o di una tastiera si traducono in un’azione univoca all’interno del sistema di gioco. Non voglio dire che per questo le azioni in sè diventino facilmente prevedibili, ma che questo scatto immediato a certe reazioni renda più immersivo ciò di cui sto facendo esperienza.
Ora, di fronte ai giochi di ruolo, ciò che provo è radicalmente differente. Prendendo come esempio l’ultima campagna di Fantasy World (a cui al momento partecipano @ranocchio, @Viandante e @Davos), mi trovo a considerare quanto differenti siano le mie sensazioni. Anzitutto, non riconosco un senso del divertimento nell’atto del gioco: in quel preciso momento - al tavolo, mentre siamo impegnati ad ascoltarci vicendevolmente - mi sento troppo impegnato a spingere sui tasti offerti dalle meccaniche e dagli spunti degli altri giocatori per creare elementi che solo tra una pausa e l’altra riesco a riconnettere come “divertenti”. E’ come trovarsi in sala prove, suonando con il tuo gruppo: sei impegnato a fare la tua parte mentre ci si ascolta, si sbaglia, ci si lamenta di un assolo complesso, e solo al termine del pezzo, mentre tiri il fiato, senti di poter dire che stai facendo qualcosa che ti soddisfa, che ti fa venire voglia di tornare la settimana prossima a suonare con questo gruppo. Se penso molto attentamente alla faccenda, posso ricordare alcuni momenti, anche in altre partite, dove quella sensazione di “oh, questo si che è divertente” arriva nel momento stesso in cui stiamo parlando al tavolo; ma non la definirei come una regola quanto un’eccezione sporadica ed imprevista.
Credo che in parte il discorso tocchi i temi già esplorati da @ranocchio nel suo thread Una chitarra dovrebbe suonarsi da sola?. C’è sicuramente una parte di crescita e di riconoscimento in ciò che chiamiamo “divertimento”, che passa da un processo di responsabilità delle persone al tavolo, e che richiede un certo tempo. Ma forse queste riflessioni vorrebbero andare oltre l’esperienza di una curva di difficoltà. Mi chiedo se questi limiti che avverto siano intrinseci al medium, o se al contrario necessitino di più sforzi e attenzioni da parte mia.
Se infatti non liquido la faccenda come “ogni medium è differente, ci si diverte in maniera diversa”, è perchè riconosco la difficoltà di tradurre molte delle esperienze di actual play di gdr che leggo online di modo che non collidano con l’esperienza di divertimento che esperisco solitamente con i videogiochi. Credo che un esempio sia più pratico: su Adept Play si arriva a parlare di una campagna di Sorcerer&Sword che, comparata con una di Freebooters, sembra offrire quel tipo di divertimento non mediato, immediatamente riconosciuto che ho descritto precedentemente.
Non ho molto altro da dire, se non chiarire che il mio desiderio è riflettere criticamente sulle mie aspettative di divertimento sul gioco di ruolo. Voglio capire e riconoscere meglio cosa provo al tavolo, e anche per questo mi interessano moltissimo le vostre esperienze.