Il post è crudemente relativo ad una questione di regole del gioco.
L’altro giorno ero al mare con amici e sono riuscito a coinvolgerli per una veloce partitina.
Non avevano mai giocato a The Pool.
Uno dei due ha scelto di tenere in riserva tutta la pool di dadi (15).
Non mi era mai capitato e non ho mai letto resoconti o thread in giro per la rete che citassero il caso!
Le regole non fanno cenno ad alcun divieto al riguardo.
Il punto è che, con l’ausilio veloce (e superficiale) di un programmino di statistica, ci è parso di capire che se un giocatore tiene tutti e 15 i dadi in riserva e i scommette sempre tutti, la percentuale di successo nel conflitto (pertanto conservando tutti i dadi) è vicina al 99%.
TL;DR: Con 15 dadi la possibilità di fallire è 6.5%, e se fallisci perdi tutto e sei senza tratti. Strategia legittima se ti piace il rischio, ma non la consiglio se ti va di giocare e divertirti. È come dire – ogni mese ti regalo 10.000€, ma hai il 6.5% di probabilità di perdere tutti i tuoi averi. Lo faresti?
Spiegazione lunga:
Il sistema di dadi di The Pool è progettato in maniera da presentare i cosiddetti diminishing returns, ovvero che per ogni dado aggiunto al tiro di conflitto il ritorno è sempre minore.
Come vedi, anche con 15 dadi c’è il 6.5% di possibilità di fallimento. Tra 93.5% e 99% che hai detto tu c’è una bella differenza. Dal punto di vista della probabilità di fallire, è 6.5 volte più grande. È estremamente difficile portare la possibilità di fallimento sotto al 5%, e se segui questa strategia il fallimento non implica soltanto il fallimento del tiro corrente, ma anche la perdita di tutti i dadi pool rimanendo senza tratti – vuol dire che fallirai molto a lungo anche dopo. È un fallimento molto, molto d’impatto.
Se aggiungiamo più dadi comunque non diventa molto meglio. Metti pure che gli dai 3 dadi bonus – cosa che non dovresti fare in questa situazione – comunque rimane il 4.5% di fallimento. Anche se accumulasse fino ai 20 dadi rimarrebbe il 2.6% di fallimento. Non è abbastanza piccolo da essere virtualmente impossibile. E ripeto, parliamo di possibilità di perdere tutto e rimanere senza tratti.
Quello che ha fatto il tuo amico è un ragionamento che fanno tante persone che approcciano questo gioco per la prima volta. L’ho anche visto fare io stesso. Ma non c’è davvero ragione di scegliere questa strategia a meno che non percepisci il gioco come una serie di tiri separati dalla situazione corrente. A mio parere se pensi in questo modo non stai giocando bene – alcuni tiri ti importano più di altri e vuoi mantenere il pool per i tiri che ti importano davvero. I tratti ti aiutano ad avere dadi gratis senza rischiare in maniera da poter vincere tiri che ti importano di meno.
Aggiungo anche il fatto che spendere 1d per avere +1 a un tratto +0 prima di tirare è letteralmente gratis. Non c’è ragione di non farlo.
Quando un giocatore mi dice che vuole seguire questa strategia, di solito gli spiego perché secondo me è una cattiva idea, e che gli consiglio di spendere almeno la metà dei suoi 15 iniziali in tratti. Poi fa quello che gli pare – la bellezza delle meccaniche di The Pool è che sono completamente in mano ai
giocatori. Insomma, il gioco va bene così.
Poi, se posso permettermi un commento finale, giocare in questa maniera è letteralmente buttare il proprio principale strumento di scelta in pasto al mostro stocastico. Non riesco a pensare a una situazione dove da giocatore potrei considerare comportarmi in questo modo; non è proprio ottimale dal punto di vista dell’appagamento personale.
Come ha detto @ranocchio, è una bassa probabilità di fallire ma a fronte di un enorme costo del fallimento. Non so se è così vantaggioso.
Racconto due esperienze personali.
La prima volta che ho giocato a The Pool ho speso quasi tutti i dadi in tratti, lasciandone solo due o tre nel pool: per inclinazione personale non amo il rischio. Li ho persi quasi subito, rimanendo con zero, e ho fallito quasi tutti i conflitti fino alla tragica fine del mio PG. Mentirei se dicessi che è stata un’esperienza appagante dal punto di vista del “gambling”, anche se è stata gratificante per altre ragioni (persone simpatiche, bello scenario masterato bene, eccetera).
La seconda volta ho deciso di provare una strategia diversa: ho lasciato un’abbondante quantità di dadi nel pool (anche se non tutti; mi pare più di metà). Questa volta ero determinato a vincere qualche conflitto. All’inizio ho avuto diversi risultati positivi. Poi, a un certo punto, su un conflitto a cui tenevo molto e in cui ero andato all-in, sono riuscito a perdere nonostante avessi tirato una decina di dadi insieme. A quel punto sono tornato alla situazione descritta prima.
Secondo me sono un po’ due modi diversi di giocare: da un lato quello prudente, a basso rischio, che vola basso e cresce per piccoli passi, dall’altro quello “rocambolesco” da scommettitore, ad alto tasso di successi ma alto rischio di disastro. Forse, detto ancora meglio: da un lato l’approccio che protegge i dadi più che il personaggio, dall’altro quello che protegge il personaggio ma non i dadi. Tra questi due estremi poi ci sono infinite sfumature.
Aggiungo che secondo me non c’è da preoccuparsi del rischio di “vittoria facile”: The Pool è così punitivo che prima o poi coglie in flagrante tutti.
Curiosamente, nella giocata che sto masterando adesso (la seconda parte sarà proprio questa sera!), c’è un giocatore che ha fatto un personaggio molto conservativo, con pochissimo pool e tanti tratti, e una giocatrice che invece ha adottato la soluzione “ad alto rischio” con pool abbondante (ed essendo meno iellata di me, e continuando ad accumulare dadi con le vittorie, ora ha tipo 11 o 12 dadi nel pool). Finora lei se l’è cavata meglio, con più successi, ma il giorno che perderà un conflitto sarà “rovinata”
Poi la mia opinione, o, per meglio dire, sensazione su questa parte del gioco non è del tutto positiva, ma si andrebbe probabilmente off-topic.
“Poi la mia opinione, o, per meglio dire, sensazione su questa parte del gioco non è del tutto positiva, ma si andrebbe probabilmente off-topic.”
Considerala In-Topic , visto che la risposta secca alla domanda sulla percentuale è già arrivata, ma il thread ha proprio il senso di esplorare le configurazioni e progressioni matematiche del gambling ed i rapporti con la godibilità e “il senso” percepito durante la giocata
Allora, provo a spiegare così la mia sensazione, vediamo se ci riesco. Perdonatemi qualche uso goffo o improprio dei termini.
La meccanica centrale di The Pool è basata su due scelte chiave del giocatore: l’esito voluto (come si vorrebbe influenzare la storia in quel momento) e la “puntata” (la quantità di dadi del pool da scommettere).
Si tratta di una meccanica dissociata, nel senso che quelle scelte non descrivono scelte corrispondenti del personaggio. E, in effetti, le due scelte sono anche scollegate tra loro. Queste sono cose che all’inizio possono spiazzare chi, come me, è abituato a impostazioni diverse, ma non sono un male di per sé.
Una volta afferrato il concetto, ha senso: decidi (dal punto di vista, diciamo, “registico”) da che parte vuoi spingere la scena, e decidi quanto ci tieni a spingerla da quella parte, quindi quante delle tue risorse di giocatore sei disposto a rischiare per questo.
La cosa che mi crea delle perplessità è che il trade off fondamentale della seconda scelta consiste nell’aumentare le probabilità di successo al prezzo di aumentare il costo del fallimento.
Le mie risorse di giocatore, i dadi, non vengono spese, vengono appunto “scommesse”: le metto sul piatto e poi “o bene-bene o male-male”.
Questo, unito alla particolare distribuzione, molto nonlineare, delle probabilità, genera un andamento molto “a scossoni”.
Come ho detto, si può puntare poco (o niente) e avere fallimenti molto frequenti, o si può puntare un sacco e avere ottime probabilità di successo a fronte di un piccolo rischio di bancarotta.
Il secondo approccio è molto rischioso ma, quando i dadi che si hanno sono davvero tanti, rischia di produrre delle serie anche molto lunghe in cui non solo il giocatore non si confronta mai col fallimento, ma continua ad accumulare sempre più dadi rendendo la probabilità di disfatta sempre più sottile.
Il primo approccio può portare, in teoria, a mettere da parte qualche dado, ma solo sulla lunga distanza, e comunque tre o quattro dadi in più non fanno una gran differenza: al momento di usarli, in una scena a cui tieni tanto, si ricade su una “versione più debole” del secondo approccio, in cui la probabilità di successo è buona ma non altissima, mentre sul piatto del fallimento c’è la stessa cosa: la bancarotta.
Infatti, mi preme sottolineare che “perdere tutti i propri dadi e trovarsi a secco” è (quasi) altrettanto “brutto” per chi di dadi ne ha 3 e per chi ne ha 12: alla fine sei comunque a zero. Chi fa un all in con 3 dadi in apparenza rischia di meno di chi lo fa con 12, ma solo in apparenza: nella sostanza rischia comunque tutto. (Non è un caso che il Poker preveda per l’all in delle regole specifiche.)
Certo, si presume che il primo abbia pochi dadi perché ha sviluppato di più i tratti. Ma non è detto, potrebbe semplicemente aver avuto meno fortuna fino a quel momento. Inoltre, un’altra cosa che ho notato è che non c’è una differenza così sostanziale tra avere un tratto da +2 e avere quattro o cinque tratti da +2: quando arriva il conflitto ne userai comunque uno, riuscirai sempre a giustificarlo (non ricordo molti casi in cui non sia risultato possibile), e avere una gamma maggiore di scelte è un vantaggio davvero modesto.
Ci tengo a concludere dicendo che non sto proponendo di cambiare il sistema. Nel complesso lo ammiro. Mi rendo conto che dietro di esso ci sono precise scelte di design, e che permette di raggiungere una semplicità davvero unica, che sarebbe ben difficile ottenere altrimenti.
Ottimo! Mi pare che il thread sia molto denso e, per un certo tipo di gioco, importante (magari lo penso solo io eh…).
Esprimo le mie idee sui punti che hai toccato.
A parte la considerazione che le due features da te citate, seppur forse le più importanti, non sono le uniche che entrano in considerazione per la scelta di andare al conflitto e per che cosa, mi sento di fare un appunto a ciò che hai scritto, consapevole che forse si tratta solo di differenza di parole (insomma magari basta intendersi).
Sembrerà una sottigliezza, che a molti sembrerà solo follia e sesso degli angeli, in realtà non lo è per nulla e non lo è nel gioco concreto.
Ciò che un giocatore dovrebbe fare non è cercare di andare verso conflitti immaginati e progettati per “il bene di una bella storia”.
Non dovrebbe nemmeno immaginare, pensare e progettare direttamente ed immediatamente le più belle svolte possibili della storia per come vorrebbe virasse, come se ne fosse lui l’autore.
Questo in ogni momento del gioco, sia prima del conflitto, cioè per decidere se andare al conflitto, sia nel momento di scommettere i dadi (e/o di coinvolgere tratti, che è pur sempre una scelta no obbligata) per il conflitto, sia nel momento di narrarne l’esito.
Invece ciò che il giocatore è chiamato a fare è solo giocare il suo personaggio in modo serio, consistente e appassionato, cercando di capire, lui prima di chiunque altro al tavolo, chi è e che cosa vuole quel personaggio, in primis rispetto alla storia che ha scritto.
(Per questo le meccaniche di un titolo come Pendragon sono ancora nuove e geniali: tu, grazie alla meccanica di vizi/virtù **tiri contro te stesso come autore del personaggio, per capire chi davvero sia il tuo cavaliere e generare contenuto di fiction esistenziale obbligato, di cui poi però narri autorialmente l’esito: fai giocare una procedura dle genere a chi è abituato a giocare D&D e ti dirà che non è libero di decidere com’è il suo pg e che la cosa fa schifo!)
Dalla “Situazione” e dall’interazione con gli altri pg/png nasceranno e verranno letteralmente sbattuti in faccia al tuo personaggio momenti di tensione, di rottura e conflitti dipendenti esclusivamente dall’intreccio del gioco giocato, rispetto ai quali tutti al tavolo vogliamo sapere cosa può accadere.
E verremo a sapere cosa accade come se si trattasse di co-incidenza del Rimbalzo rispetto alle intenzioni “diegetiche” delle ICONE di gioco coinvolte in quello specifico conflitto.
(in tal senso in Pendragon , citato prima, i momenti di rottura vengono generati fin dall’interiorità e dalla personalità del tuo stesso pg…come se si trattasse di un png-specchio del pg!)
Insomma, la “posizione-Autoriale” (author stance) è rispetto al tuo personaggio, non alla storia.
I conflitti sono fra personaggi non fra giocatori per il controllo della storia.
I Conflitti li devi quindi solo riconoscere nel momento in cui te li trovi addosso e contro, come avere un animale ringhiante che già ti ha graffiato, non li programmi nè decidi come se dovessi costruire la storia.
Per questo è importante che il master apra le scene con framing preciso se non aggressivo e sia dotato di bang e potenziali tensioni che incrociano la strada dei personaggi, non può essere passivo stile sandbox.
Allo stesso modo quando narri, se narri, lo fai a partire dal tuo pg e dalle sue intenzioni, non per far svoltare la storia come se stessi scrivendo un libro o un copione “dall’alto e con distacco”.
La storia emerge dall’interazione fra Icone, visto che il personaggio giocante è il mezzo di espressione della creatività del giocatore: nel senso che il giocatore ha quel mezzo lì e non altri mezzi sulla storia. Se hai un macellaio di mercenario, quello è il “filtro” per dare contenuto e colore all’azione della storia.
Non se ne può prescindere.
Se pensi “come sarebbe bello se il macellaio mercenario si fermasse dal massacrare perchè ad un certo punto si innamora di Isabella! Adesso lo voglio far accadere” e vai a cercare e provocare il conflitto su quello…non stai giocando bene (la cartina di tornasole è che non hai affatto bisogno di un conflitto per questo…).
Se il macellaio incontra Isabella in un momento significativo e tematico, di incertezza del macellaio, di interazione magari delicata o intima e tu ti accorgi che quella cosa lì non può essere stata normale per il tuo personaggio per come lo avevi pensato…beh…allora ci puoi chiamare sopra un conflitto (o puoi decidere un comportamento consistente e adeguato o una svolta anche senza conflitto) o forse qualcun altro al tavolo può farti domande (e/o continuare l’interazione in gioco fra pg e png) e magari chiamare lui il conflitto in seguito alle tue risposte.
Non sei lì per decidere di una storia d’amore fra un macellaio mercenario e una delicata dama, sei lì per giocare un macellaio mercenario in una determinata situazione problematica con un tema dentro e solo dopo poter decidere su una storia d’amore fra un mercenario e una dama, SE questa cosa impatta il tuo png, capita al tuo pg
Poi è chiaro che il piacere estetico è del tutto soggettivo, sempre del giocatore, però è come se certe decisioni, o meglio, la stessa possibilità di certe decisioni dovesse essere vagliata, trovata e constatata durante il gioco giocato ed in base al “filtro-pg”.
Il Pg è reale , non è una
scusa per scrivere una storia.
Commenterò altri passaggi, sui quali in parte sono d’accordo, soprattutto sull’esuberanza di certe percentuali di successo con pool di scommessa giganti (che è poi il tema del thread).
Questo in parte è vero. E’ voluto. nessun compromesso: i conflitti, in un senso o nell’altro spostano e incidono, in profondità, nessun massaggio di fiction da parte di nessuno che possa far rientrare la svolta lungo un tracciato “stereotipato e sicuro per i partecipanti” nel quale è assicurata la bella storia e il successo dei giocatori.
E’ un pò come il 6- “@ranocchio style” nei PBTA, picchia giù duro.
Ma bisogna capirsi: gli scossoni per chi sono, per il personaggio o per il giocatore? (in generale, vedi il precedente messaggio, trovo che si rischi di fare confusione fra i due)
Inoltre, gli scossoni da cosa sono dati, dal numero di dadi disponibili per scommettere nel conflitto e poi magari persi, o piuttosto sono provocati dal tipo di conflitto che scegli e dal suo “perimetro”?
Se parli di scossoni “nell’andamento” viene da pensare che tu ti riferisca prima di tutto alla storia e quindi alla vicenda del personaggio.
Ma questo penso proprio che sia un bene: rende drammatica e non lenta la storia, rende tutto trasparente e percepibilissimo in termini di rischi e aspettative e posizionamento in fiction per le varie Icone; costringe il giocatore a fare scelte (anche drastiche); genera sorpresa per tutti al tavolo non consentendo a nessuno di “portare a spasso” la storia; costruisce i personaggi in modo forte.
Ma, se parliamo del personaggio, questo è l’effetto prima di tutto del tipo e della qualità di conflitto, non dalla meccanica dello “scommetto tutto e vinco/perdo tutto”.
Se, per esempio, faccio conflitto per armarmi in modo superbo in vista del combattimento sulle mura e perdo, a prescindere dal numero di dadi che perdo, anche TUTTI, cosa succederà in termini di meccanica e di continuazione della storia?
Potrà succedere che sulle mura all’alba il master non mi darà dadi bonus a causa del mio armamento approssimativo, o potrà accadere che mi imponga un conflitto in più avente ad oggetto il rischio che il mio armamento si verifichi inadeguato o insufficiente, oppure che nella narrazione del conflitto ne tenga conto per imporre complicazioni (o nel monologo di vittoria del giocatore che possa legittimamente indicare di tenerne comunque conto).
Tutti aspetti che insegnano molto sul gioco di ruolo in quanto tale: sono i giocatori che con la narrazione, il pacing e la perimetrazione dei conflitti adeguano gli strumenti del sistema per intrecciare, costruire la storia e declinare la fiction, non viceversa.
Non c’è bisogno di una regola di meccanica quantitativa che mi dica quanto incide l’armatura buona o scarsa, che mi imponga un tiro in più come tiro intermedio con effetto laterale, prima di un tiro decisivo.
QUESTO è fiction first, cioè un modo di intendere e utilizzare le meccaniche del sistema, un atto già di per sè di tipo autoriale e creativo, un modo cioè di dare un giudizio sulla fiction e su che cosa è davvero in palio, incerto, pericoloso, interessante per l’uso delle meccaniche solide
Dunque rispetto alla storia che sta emergendo ed al personaggio in essa coinvolto, non definirei questi eventi come “scossoni o come procedere a scossoni”.
Se invece ti riferisci al giocatore , alla quantità di risorse a sua disposizione per provare ad incidere sulla storia allora trovo che ci sia del vero.
In particolare si possono verificare dei casi in cui il giocatore si ritrova sulle montagne russe, su e giù, pool piena o pool svuotata, con l’aggravante che in una giocata magari ti puoi ritrovare con la pool deprivata da morire o incrementata da morire (e fin dall’inizio), la sera successiva viceversa (e magari con l’assetto ribaltato fra giocatori al tavolo).
Ma allora bisogna rilevare subito 2 cose:
la cosa si verifica proprio quando i giocatori tendono a scommettere l’intera pool sempre, senza selezionare i conflitti più importanti in cui rischiare di più per avere più chances.
Si tratta insomma di una scelta, probabilmente nemmeno bella narrativamente, come già ha scritto @ranocchio, legittima ma rischiosa. Se un giocatore finisce in pasto al mostro stocastico…imputet sibi, se ha voluto giocare il personaggio come un “vincitore di combattimenti”, sa che ne può pagare le conseguenze;
con un tratto a 2 che porti in gioco, un posizionamento intelligente e accorto che ti fa guadagnare, poniamo, 2 dadi bonus dal master, 1 solo dado da scommettere e magari 2 dadi “prestati” da un altro giocatore in base alla fiction, ti ritrovi a tirare 7 dadi, con il 70% circa di probabilità di successo.
Mica male per uno che ha solo 1 dado da scommettere.
Se nessuno ti presta niente, nel caso sopra hai comunque più del 50% di successo.
Significa che la scelta di non scommettere tutta la propria pool sempre, ma di “centellinare” i dadi selezionando i conflitti capitali per le scommesse più forti e rischiose, ha davvero senso sia narrativamente che meccanicamente e può pagare anche in termini di utilità.
Oso dunque affermare che il problema del randomizzatore di the pool non stia in questo, non stia negli “scossoni” che subisce la pool dei dadi, rispetto allo svolgimento della storia, all’esperienza e all’agency che il giocatore ne può ricavare.
Il problema, a mio avviso, rimane il fatto che un limite alla percentuale di successo ci deve pur essere. Il mio gradimento soggettivo è che non possano essere scommessi più di 9 dadi, che sommati a dadi dei tratti e magari 1 dado bonus (per non esagerare) fanno arrivare a 12 dadi, con una percentuale di successo di circa il 90%.
In particolare è a mio avviso innegabile che mentre la spirale verso il basso (il “nulla di pool”) è contrastabile con i rimedi che già ho indicato nel thread “Antiochia” e con la considerazione che anche 5 dadi tra tratti e dadi bonus garantisce il 50% di successo, la spirale verso l’alto sembra incontrastabile.
Con 12 dadi tirati ho 88% di successo. Ho successo, prendo il dado e la volta dopo ne hop il 91%. Ho successo prendo il dado e la volta dopo ne ho 92,3%…e così via fino al 96%.
Insomma in 4 tiri che partono dall’88% sono finito al pressochè annullamento dell’alea matematica dell’unico randomizzatore del gioco.
E potrei partire già dal 92% fin dal primo tiro ad essere spietati.
Oltretutto a fine sessione mantengo il numero di dadi nella pool anche se superiore a 9.
Il pericolo di The Pool non è la spirale discendente di morte, è la spirale ascendente di vita eterna!
Non si può rispondere con “il giocatore farebbe bene ad autolimitarsi perchè altrimenti il gioco fa cagare e vince il mostro stocastico”. E’ troppo da chiedere onestamente.
Mi pare proprio una tentazione troppo forte per il giocatore perchè possa essere vinta con discorsi teorici sull’autorialità e il fiction first.
Nè una buona risposta mi sembra quella, lato master, di introdurre una granularità artificiale (e volutamente punitiva) nei conflitti, in modo da alzare notevolmente il numero dei tiri che il giocatore è chiamato ad effettuare con conflitti “minori”, alla ricerca della sfiga statistica.
Insomma, trovo che in questo un hack sia auspicabile
Trovo anch’io che l’hack che dici sia auspicabile, anche se non sono del tutto convinto che risolverebbe il problema (o meglio, il mio personale discomfort, che poi è soggettivo e magari è solo questione di gusti).
Sono perplesso sul resto del discorso.
Magari, come tu stesso dici all’inizio, si tratta di fraintendimenti semantici. Da molto tempo lotto per perfezionare il mio modo di esprimermi su questo forum in modo da essere comprensibile evitando gli equivoci, ma temo di esserci ancora lontano.
Non credo di afferrare bene la distinzione tra autorialità verso il personaggio e autorialità verso la storia. Non mi sembra di aver parlato di progettare conflitti per “il bene di una bella storia”.
Comunque, per come sono fatto io, quando un giocatore prende una decisione in un GdR non ho la pretesa di scendere nel come e perché dentro la sua testa è arrivato a quella decisione, a cosa pensava e come ci pensava. Dubito, francamente, di poterlo ricostruire in modo affidabile perfino per le decisioni che prendo io stesso.
Se dici che ragionando in un certo modo si gioca male accetto il tuo giudizio, ma non saprei bene come applicarlo ai contesti concreti del gioco.
Gli “scossoni” di cui parlavo sono assolutamente del giocatore: non sono del personaggio né della storia. Con “andamento” mi riferivo all’andamento del gioco dal punto di vista del giocatore. Non so perché ti sia venuto da pensare altrimenti; evidentemente anche quella è una parola equivocabile che devo stare attento ad evitare o a misurare meglio in futuro.
Dadi prestati da un giocatore all’altro non li ho visti praticamente mai.
Se eliminiamo questa eventualità, nel tuo esempio col tratto da +2, i 2 dadi del master e 1 dado scommesso ho circa il 60% di probabilità di riuscire e guadagnare un dado; e circa il 40% di probabilità di fallire e perdere un dado. Non è proprio come giocarsi il dado a testa o croce, ma la differenza è così piccola che ci vogliono (secondo me) almeno 4 o 5 ore di gioco per apprezzarla.
Ma non è solo questo a farmi storcere il naso: è proprio il fatto della scommessa. Il fatto, cioè, che la mia unica leva per aumentare la probabilità di successo sia aumentare le risorse (di giocatore) che perdo se fallisco. Come ho detto, probabilmente è questione di gusti: non amo molto l’azzardo.
Lo faccio perchè, incidentalmente, ho notato che di qualcosa di molto vicino al tema di quel thread hai parlato recentemente sul tuo blog.
Nel blog hai riportato il podcast di, credo, @Red_Dragon, che sottolinea come lui si stia convincendo che giocare di ruolo non è raccontare una storia, ma, lo dico in maniera secondo me un pò più precisa di quanto ho letto nel blog, è giocare una storia (la frase del blog a cui mi riferisco riporta invece: "giocare a raccontare una storia, che è ancora troppo vicino come concetto a quello di “raccontare una storia” e che, a mio personale giudizio, è cosa tipica di certi “story games” come lovecraftesque, che non mi piacciono e mi annoiano).
Ecco, intendevo proprio questo.
Se hai un png, la “storia” è quella che emerge attraverso il gioco che lo vede protagonista in virtù di un sistema di regole e di una situazione che sviluppa circostanze concrete e temi morali che lo riguardano e che tu affronti tramite lui.
Non è quella che decidi di raccontare come se tu fossi l’autore di un libro, che deve produrre un bel risultato finale perchè qualcun altro ne goda e ci si diverta.
Il passaggio che mi ha “mosso a fare questa precisazione che sembra sesso degli angeli” del tuo precedente post è questo:
Qui, “meccanica dissociata” lo metti tu in modo totalmente arbitrario, tanto che, scusa se ricado nei miei toni scortesi, può sembrare che qualcosa del gdr in effetti sfugga, anche se so perfettamente che non è affatto così.
Quale sarebbe una meccanica “associata” e non dissociata?
Forse quella che assegna al personaggio un certo numero di dadi combattimento e un altro numero di dadi manipolazione sociale e che quindi ti consente di usare solo i dadi della caratteristica appropriata rispetto al tipo di azione che il personaggio in play sta conducendo quando scoppia il conflitto?
E magari, continuando, quella meccanica che non ti fa perdere i dadi così “associati” attraverso un meccanismo di scommessa quando li usi, perchè…*se sono associati alle azioni e caratteristiche del personaggio come fai a perderli, non devono forse rimanere quelli? (è pieno pieno di giochi che hanno sistemi simili a pool di dadi ovviamente e non c’è nulla di male altrettanto ovviamente).
(tralascio il fatto, in realtà fondamentale, che dovremmo prima stabilire se la meccanica per essere associata debba riguardare proprio le azioni già compiute e “viste sullo schermo”, che hanno generato o fatto deflagrare il conflitto, oppure anche solo le modalità e i mezzi di risoluzione che dichiari di usare nel conflitto o addirittura solo le intenzioni di azione o di risultato dichiarate per il conflitto)
Davvero siamo a questo punto? Davvero consideriamo una meccanica “dissociata” perchè la decisione dell’utilizzo di risorse del personaggio e la sua incisività statistica sono lasciate alla discrezione del giocatore e non sono “taggate” o vincolate ad “aspetti in character sulla scheda” o a “numeri specifici”?
Allora è dissociato lo stress in Blades in the Dark, la Moneta portafortuna in Broken Compass, la “fortuna” in Dungeon Crawl Classic e millemila altre meccaniche.
Una meccanica non è quasi mai dissociata! E’ la stessa superstizione del “fiction first”.
C’è quasi sempre la giustificazione e ricaduta di fiction per l’uso di una meccanica.
C’è stata una discussione qui in Locanda, che pure ti segnalo insieme a quella sulle “mosse vanno e vengono dalla fiction”, sullo stress in Blades, proprio fra chi la riteneva troppo dissociata e difficile da applicare senza rompere la fiction “già vista e narrata” e chi invece non vedeva particolari problemi nel giustificare la spesa dei punti stress associata a particolari nuove azioni del pg in grado di correggere il risultato nefasto prima solo ipotizzato.
L’associazione tra meccanica e fiction, come quella fra dado e fiction, è sempre data dai giocatori.
L’innesco di una Mossa è sempre voluto dai giocatori.
Anche in D&D, per quanto gioco più tendente (soprattutto nelle prime edizioni) alla regolamentazione boardgamistica.
Una volta che l’utilizzo di una “moneta di gioco” è deciso dal giocatore, giustificare se, quanto, perchè e come questo incide sulla fiction, come e perchè quel determinato personaggio con quelle caratteristiche è riuscito/non riuscito anche grazie, o a causa, o nonostante quella moneta, è praticamente sempre possibile, pipa in bocca.
Lo hai notato infatti anche tu qui:
Hai usato e tirato 1 solo dado ed è uscito 1?
Puoi narrare di un gran colpo di fortuna del personaggio in fiction.
Hai usato 12 dadi e tirato nel complesso 15 dadi e non è uscito alcun 1?
Puoi narrare di una sfiga di coincidenze incredibili.
Hai coinvolto un tratto e vinci?
Magari hai vinto perchè il nemico è scivolato e non perchè hai “lama invincibile +2”.
La cosa è obbligata e mandatoria? No è AUTORIALE.
Infatti: che cosa è che realmenteassocia una qualunque meccanica o un tiro di dado ad una determinata fiction?
Cosa vincola il contenuto di ciò che in ogni momento accade in fiction, ma soprattutto di quello che accade in fiction per effetto dell’utilizzo di una specifica meccanica di gioco?
La narrazione e il giudizio narrativo dei partecipanti.
Per vincere in un combattimento Sir Grozzo Grozzo posso usare la mia skill “inganno” ipotizzando finte e distrazioni contro di lui?
Certo! abbiamo detto in precedenza che Grozzo Grozzo è stupido…
OPPURE…manco per niente! Grozzo Grozzo sarà anche ciula, ma questa volta è talmente arrabbiato e concentrato, gliene hai già fatte talmente tante, che non ci cascherà mai!
Chi decide di associare?
I giocatori che narrano in base a quello che è stato già narrato e al loro gusto estetico.
Anche se Grozzo Grozzo ha il tag o l’aspettociula o intelligenza 6 o nella pool da lanciare sotto “mente” usa il d4.
Le meccaniche possono essere **più o meno specifiche, complesse, astratte, ma necessiteranno sempre di un fiat dei partecipanti, che traduce in fiction la meccanica.
Dunque il giocatore a quel particolare conflittoassocia 9 dadi e ci spiega come e perchè.
E’ il perno di quanto si discuteva anche qui:
E naturalmente di ogni mio ragionamento nei post sulla Realtà dell’Immaginato.
Per questo The Pool è adatto ad iniziare ad imparare a giocare di ruolo.
Non ha nulla, è naked, ti costringe a capire e toccare con mano che tu sei il vero autore della storia, soprattutto come giocatore-non master, in ogni momento e solo sulla base del fatto che sei seduto lì al tavolo e tutti ti ascoltiamo e ascoltiamo le tue scelte… scelte che sei costretto a fondare sulle sfumature di fiction, certamente molto di più su quelle che non su elementi di meccanica quantitativa.
E le sfumature di fiction le puoi avere solo se ascolti davvero gli altri partecipanti e reagisci di conseguenza a quanto raccontano.
E questo garantisce agency a tutti.
Quanti conflitti, quando, con cosa in palio, con quale perimetro narrativo, con quanti dadi e con quale conseguenza da narrare…sono tutte cose che dipendono dalla nostra autorialità.
E’ così in tutti i giochi di ruolo, solo che normalmente ci sono molte più lucine e canditi che ti abbagliano e a volte nascondono questa verità.
E’ una cosa banale e facile da fare, è ragionarci sopra che la fa sembrare complicata e difficile e arcana (e dover paragonare e pensare la cosa all’interno di sistemi, a cui aimè siamo tutti assuefatti, che hanno 10000000000 di cosine “simulazionistiche” che fanno tanto rumore per nulla).
Ma è davvero la scoperta dell’acqua calda.
Se sono ferito gravemente perchè è emerso durante un precedente conflitto e mi trovo nel bel mezzo di un nuovo conflitto di combattimento, posso scommettere tutti i dadi della mia pool (ad esempio 10) se ho intenzione di vincere in singolar tenzone il campione del nemico?
Certo.
E’ dissociata dalla fiction come scelta meccanica?
E chi lo dice di grazia?!
Certo che no. Il personaggio evidentemente aveva ancora forza per un ultimo colpo disperato proprio al momento giusto! O è riuscito ad ingannare l’avversario fingendosi più morto che vivo o mettendosi all’ultimo momento spalle al sole per accecarlo, o non ce l’avrebbe fatta ma una sezione della torre a cupola è crollata al momento giusto sotto i colpi delle artiglierie e nella polvere e fra i detriti la lama del pg ha trovato il cuore del nemico piegato a tossire.
Voglio scommetterne solo 2 perchè sono ferito?
Ovviamente posso farlo ed ecco che magicamente ho dato un giudizio di associazione della meccanica alla fiction diverso dal precedente.
Perchè sono un Autore. Di cosa? DEL MIO PERSONAGGIO.
Ecco perchè mi storce il fatto che tu abbia fatto riferimento all’ “autorialità della storia” e non del personaggio.
Perchè potrebbe presupporre il seguente giudizio: le regole di the pool sono un sistemino a scommessa che non riguarda in alcun momento la realtà di quello che sta accadendo in gioco.
Ci stiamo solo raccontando una storia tanto per raccontare una bella storia, stiamo…“giocando a raccontare una storia” (per chiudere il cerchio del ragionamento) e tiriamo quando ci piace in base ad una meccanica, peraltro farlocca, che c’entra una fava.
Da qui al famoso atteggiamento: “questi non sono veri giochi di ruolo ma sono giochi di narrazione” il passo è breve.
E’ un gioco story now, a storia emergente, non è un gioco a quest dove dobbiamo completare missioni e sfide con un certo grado di sfida che imposta un bravomaster (qualcuno mi dica come si mette il tm piccolino) in base a tratti simulazionistici.
Che poi il simulazionismo nel gdr non esiste dai, non è proprio possibile fenomenologicamente.
Ti piace una meccanica che ti indirizzi in modo più vincolante e stretto verso una conseguente descrizione di fiction ante e post randomizzatore facendo riferimento ad aspetti ed elementi descrittivi più precisi (probabilmente con “simulazionismo” la gente intende questa cosa)?
Benissimo, anche a me!
Ma associato o dissociato rispetto alla fiction, rispetto a scelte o a caratteristiche del personaggio in fiction, non c’entra nulla.
In Fate l’aspetto “forte come un toro” è rivolto ai giocatori (infatti le regole di tentazione e invocazione girano sui giocatori fuori fiction) e alle loro possibilità di usare quella meccanica con giudizio narrativo sulla fiction come e quando ritengono, non è una caratteristica del personaggio se non “descrittivamente”.
Questa sembra grossa ma l’ho detta. Spero si sia capito il senso…
Sono stato citato, quindi faccio una veloce comparsa per spiegare una cosa (poi se ho inteso male Bille Boo corregge): Meccanica Associata: decidi di far fare una cosa al tuo personaggio e quella si riflette automaticamente in ciò che devi fare in termini di regole. Le Abilità dei GdR “tradizionali” o le Mosse di Dungeon World (le sue, non di tutti i PbtA) sono associate. Meccanica Dissociata: l’esecuzione della regola è totalmente indipendente da ciò che fai fare al tuo personaggio. Se scommetti zero dadi o 15 dadi è totalmente indipendente da ciò che hai deciso di far fare al tuo personaggio.
Esempi (ipotizzo un pericolo da evitare, non fatemi fare un post lunghissimo):
Meccanica Dissociata: il tuo personaggio vuole prendere la Lancia, ma a te come giocatore non importa niente di questa cosa. Lo fai fare al tuo personaggio perché ti sembra logico, non perché ti importi il risultato. Non chiami nemmeno il conflitto.
Meccanica Associata: Il tuo personaggio vuole prendere la Lancia, ma a te come giocatore non importa niente di questa cosa. Lo fai fare al tuo personaggio perché ti sembra logico, non perché ti importi il risultato. Solo il fatto che ci provi ad afferrare la lancia, fa scatenare la Mossa Sfidare il Pericolo.
Ovviamente un gioco può avere sia meccaniche associate, sia meccaniche dissociate nello stesso regolamento: i già citati punti fortuna, ad esempio.
Ciò detto, a me The Pool non piace per niente: la trovo una meccanica acerba. Statisticamente parlando, poi, conviene sempre avere un solo tratto a +2 e tutto il resto nel pool. Ogni volta che chiami un conflitto, ti conviene sempre puntare tutti i dadi, tanto non c’è differenza a rimanere con zero dadi, sia che avevi un dado nel pool, sia che ne avevi 15. Ma con 15 hai maggiori probabilità di vincere il conflitto che ti interessa. In altre parole the Pool spinge a creare tutti personaggi di questo tipo.
Ciao
PS: @Bille_Boo certo che non ti prestano mai dadi per un conflitto: nessuno di quei PG collaborava, ma erano “l’uno contro l’altro”. Per quale motivo dovrei prestati un dado per perdere?
Poi forse, in un secondo momento, dopo una rilettura molto calma e attenta, mi azzarderò ad affrontare il cuore del lunghissimo post di @Davos. La mia impressione (superficiale, dovuta a una sola lettura - potrei ricredermi) è che di nuovo si sia scatenata un’enorme ondata di considerazioni basata semplicemente su un’incomprensione - o, diciamo, sulla mia ormai conclamata incapacità di esprimermi.
Precisazione 1:
Non so a quali PG tu ti riferisca. Non tutti i PG delle giocate di The Pool a cui ho partecipato erano necessariamente uno contro l’altro: alcuni collaboravano, anche se non tutti. Trovo anche difficile (per la mia limitata esperienza) applicare a The Pool il concetto di “vincere” e “perdere”, cosa invece più agevole nel gioco “a sfida” come D&D (benché molti anche lì trovino quei termini blasfemi - secondo me erroneamente).
Precisazione 2:
Mi fa davvero piacere che tu segua il mio blog; credo che tu ti riferisca all’ultimo speciale, “Tre sfumature di Rosso”. In tal caso l’intervistato, autore del podcast nonché delle parole che stai riportando, è Andrea Lucca de La Locanda del Drago Rosso. Viene presentato con dovizia di particolari. Sono abbastanza sicuro che non abbia niente a che fare con @Red_Dragon, anche se sono pronto a essere smentito, visto che con queste identità digitali non si sa mai.
Precisazione 3:
Non ho mai visto il ruolo dei giocatori di The Pool (o di qualunque altro GdR) come “raccontare una storia come se si fosse l’autore di un libro” eccetera. Il passaggio da te citato, quello “decidi (dal punto di vista, diciamo, “registico”) da che parte vuoi spingere la scena” etc., si riferiva a qualcosa che ritrovo pienamente qui:
e a nient’altro.
Il termine “meccanica dissociata” (che a questo punto mi pento amaramente di aver usato) non si riferiva affatto ad una presunta “dissociazione della meccanica dalla fiction”, come tu hai scelto di intenderlo (giustamente la ritieni un’assurdità - cosa su cui concordo), e soprattutto non aveva nessuna accezione dispregiativa. Era solo volto a esternare la natura delle particolari difficoltà di adattamento mie personali, derivanti dalla mia cultura di gioco, e “colpa” assolutamente mia e non del gioco stesso.
I vari thread da te citati (sulle mosse che vanno e vengono dalla fiction, sulla realtà dell’immaginato etc.) li ho letti, e mi riprometto di andarli a rileggere in futuro, ma temo purtroppo che il loro livello fosse troppo al di sopra delle mie limitate facoltà mentali da permettermi di comprenderne più di un 10%.
Se ci tieni provo a spiegare, con calma e in un altro thread, cosa intendevo con meccanica dissociata (non è nemmeno un’espressione mia, è di The Alexandrian), senza, lo ribadisco, alcun intento di critica al gioco, semmai a me stesso.
Permettimi però, usandoti la cortesia della stessa franchezza che tu hai usato con me, di dirti che sono convinto che il dialogo tra noi funzionerebbe meglio, in questo e in altri casi, se di fronte a una mia frase o espressione che ti ingenera perplessità tu mi chiedessi chiarimenti su cosa intendo, anziché buttarti subito a criticarla con lunghe e raffinate invettive basate su ipotesi e assunzioni.
Non so se troverò mai un linguaggio o una terminologia che mi eviti di evocare involontariamente, ogni volta che posto, qualche nuovo mulino a vento contro cui scagliarsi, ma credo che con il tuo aiuto e l’aiuto di tutti potrò fare dei passi avanti in tal senso.
Fatto. Comunque, chiedo venia per aver usato un termine in modo azzardato e senza definirlo, ma davvero quel termine non era il punto. Serviva solo a descrivere una mia difficoltà iniziale che ho poi superato. Nessuna delle successive osservazioni che ho mosso al sistema di The Pool, e alla sua “scommessa”, ha niente a che vedere (neanche di striscio) con la “disassociazione” della meccanica.
Scusate se mi immetto a gamba tesa, ma giocando a The pool non sono molto convinto dall’assenza di un limite massimo di dadi che possono essere scommessi.
Trattato eticamente:
Cosa rappresenta un dado scommesso?
Una grande scommessa comporta un grande rischio, ma se scommettere non porta alcun rischio, cosa sto facendo?
Se sono portato a non scommetterne troppi, perché non voglio vincere sempre il conflitto, cosa sto realmente giocando? Ho completo controllo su ciò che accade e le conseguenze che posso generare. Posso decidere quando posso perdere e quando vincere, con piccoli errori.
Trattato matematicamente:
Non so se i conti sono giusti, non sono un matematico.
Probabilità di fare almeno un 1 con x dadi ad y facce:
(1- (y-1)/(y) )^x
Sto normalizzando ad 1 e tolgo dalla certezza il caso in cui non faccio alcun uno.
Nel nostro caso abbiamo 6 facce:
(1-(5/6))^x
Mettiamo caso che punto 12 dadi. Dato che voglio confrontarlo con un numero di perdite equivalente puntando diverse volte 2 dadi, considero un fallimento il raggiungimento dello 0.1 di probabilità (normalizzata ad 1. Quindi 10% normalizzata a 100)
Se scommettiamo 14 dadi su una base di 2, li perdiamo tutti insieme dopo 41.4 lanci:
((1-5/6)^16)^20 = 0.1
Se scommetiamo 2 dadi su una base di 2, li perdiamo dopo 3.5 lanci:
(1-(5/5)^4)^3.6 = 0.1
Quindi dopo 24.5 lanci, ne perdiamo 14.
Senza considerare che ogni successo può portarti a dadi aggiuntivi, che ovviamente sono 6 di più nel caso di 14 dadi scommessi ed 1 fallimento, rispetto a 2 dadi scommessi e 7 fallimenti.
Considerandoli, con 2 dadi scommessi e dopo 5 fallimenti, in totale 16.5 lanci si perdono 10 dadi e non se ne guadagnano 4 in più, in totale 14, come quelli persi nel caso di 14 scommessi ed 1 fallimento.
Se i calcoli tornano, ho provato che buttare più dadi risolve le cose con un rapporto 41 tiri su 16.
Ma davvero dovrei riuscire a capire cosa vuol dire questo messaggio???
Di matematica non capisco e non voglio capire proprio nulla, ma ci sono dei passaggi che non possono significare alcunchè.
Magari invece la conclusione ha senso:
Io non so nemmeno cosa significa concretamente, magari se lo sviluppi a parole lo capisco .
Ma è tutto molto più banale mi pare.
Se scommetti 15 dadi hai il 96% di riuscire.
Per me è troppo.
Ma è troppo già 91% di riuscita con 12-13 dadi.
Il gioco concreto me lo sta dimostrando, anche se ho accumulato un numero di partite che non può fare statistica, anche se per nulla piccolo.
Se riusciamo a finire le gioczte con @ranocchio e @Osiride magari faccio l’actual play.
Ma ora come ora rimango convinto che il metodo di risoluzione di questo gioco ha necessità di correttivi, fermo restando il valore del gioco, soprattutto per imparare le strutture fondamentali del gdr e buone pratiche di gioco.
Parlandone ieri con @_Elil_50 durante la sessione, inizialmente ero d’accordo anche io a mettere un massimale. Come sensazione “di pancia”. Mettendomi però a fare una statistica con un lanciadadi web ( io uso Troll dice roller and probability calculator ) e valutando i risultati, sono d’accordo con @ranocchio.
A meno di un preciso intento del gruppo di dirigere la fiction su un certo tipo di “punitività”, il massimale non serve.