Autorità: In o Sopra

Con il suo permesso, ho tradotto questo post di Ron Edwards su Adept Play. A mio parere è rilevante a molti discorsi che stiamo facendo in questo forum, e mi sono dedicato per rendere l’italiano il più facilmente comprensibile possibile. La scrittura di Ron è molto idiomatica e richiede molto tempo trovare perifrasi che funzionano – spero di aver fatto bene il lavoro e vi invito a confrontare con l’originale e partecipare alla discussione in inglese se ne siete capaci.


“Autorità”. Da quando ho articolato il concetto per la prima volta nel 2004, c’è chi si è sfasciato su questa parola. Non c’è da sorprendersi: chiunque si definisca “l’autorità” si dichiara apertamente e non ironicamente uno stronzo che esercita una forza arbitraria. Siamo tutti cresciuti con le frasi alla moda “metti in discussione l’autorità”, “vaffanculo l’autorità” e i meme di “rispetta la mia autorità”:. Applicato al gioco di ruolo, il diffuso non-gioco fondato su “lo decide il GM” determina un’associazione istantanea con il voler prescrivere l’interpretazione e l’applicazione di quello che dicono gli altri, includendo l’approvare ciascun loro contributo, e il decidere se gli esiti siano efficaci e in qual misura.

Per il giocatore di ruolo intrappolato in strane lotte per il potere sullo svolgimento del gioco e su chi “deve” accettare le cose e farsele piacere, l’autorità non può che significare nient’altro che il pugno di ferro, e l’unica domanda è se indossi o meno il guanto di velluto.

Così, quando parlo di “distribuzione delle autorità”, abbondano le immagini di persone che si sottomettono umilmente a ciò che gli viene ordinato, o che si spintonano l’un l’altro per vedere quale autorità (per come concepiscono la parola) soppianterà quella di qualcun altro. So perché nessuno usa il termine o vi fa riferimento, relegandolo alle “cose da Ron” che non sono importanti o forse imbarazzano. So perché i pochissimi che lo usano lo fanno per poco dopo invocare un’altra parola.

C’è solo un problema. È la parola giusta.

Con Autorità intendo quando una persona afferma qualcosa su qualcos’altro di presente in gioco, che a questo punto si può considerare un fatto noto sulla base del quale gli altri possono agire. Robbie ha detto, durante una lezione di “People and Play”, che ha perfettamente senso parlare di autorità in gioco, in contrapposizione all’autorità su altre persone. Ho prestato attenzione a questo particolare durante la successiva edizione del corso e ho scoperto alcune cose molto interessanti e rilevanti.

La prima è la sequenza logica/connessione tra questi punti.

  • Il mezzo dell’ascolto, cioè la reincorporazione[1],
  • quindi la necessità di sapere quali cose, tra tutte quelle che ascoltiamo, siano utilizzabili,
  • per cui il bisogno di sapere come ciò possa avvenire mentre si gioca, cioè come o quando una data cosa venga resa utilizzabile, il che implica anche un “chi”.

Questo significa “avere l’autorità” – per quella cosa lì, è come se si premesse un interruttore o un segnale in maniera che da ora in poi, quella cosa è quella[2]. Autore-ità, direttamente correlata alla paternità autoriale[3] nel significato più puro di questo termine: una cosa non era nota o definita, e ora lo è. È meglio intenderla in termini di persone reali che si affidano l’una all’altra per farlo.

Il che ci porta al secondo punto: il gioco non può avvenire se non si intersecano almeno due autorità.

  • Quando qualcosa sul quale hai “premuto l’interruttore” diventa utilizzabile per qualcun altro, e lui ti “risponde” – in parole povere, “il goblin corre verso di te per infilzarti con la lancia” + “io gli sparo le frecce con l’arco!”.
  • Ma questo è un esempio ovvio – pensate invece a quando vengono introdotte delle cose che non prendono realmente “vita” fino a quando un certo numero di esse non sono al loro posto, spesso messe lì senza la consapevolezza di come avrebbero potuto essere rilevanti.
  • Bisogna più spesso del contrario applicare una certa morbidezza e fare domande, cioè non si può “premere l’interruttore” sul nulla e quindi bisogna informarsi su molte cose, spesso facendo domande, prima di farlo.

Ed ecco il terzo punto per concludere, che è legato al fatto sgradevole che non faccio didattica su aspetti di quasivoglia cosa qualcuno possa fare intorno a un tavolo di gioco di ruolo di cui si presume l’esistenza ma che non sta effettivamente giocando.

  • L’autorità non riguarda chi inventa qualcosa o quando questo accade.
  • L’autorità non riguarda lo scavalcare tutti gli altri quando una particolare cosa accade al momento della risoluzione e degli esiti.

Il fraintendimento o la violazione di questi due punti sono i risultati tossici del non-gioco. In particolare, essere soggetti a una persona che scavalca o sostanzialmente invalida l’autorità di chiunque altro, arbitrando “ciò che entra” e “ciò che esce”. È irrilevante se si tratti di una persona sola o di un gruppo di persone.

È questo che consegue dal pensare che stiamo parlando di autorità sulle persone.

Spero davvero di poter ottenere la vostra comprensione e il vostro sostegno per un maggiore dialogo e un’applicazione accurata, in quel dialogo pubblico, riguardo le autorità (plurali) in gioco.


Dalla discussione relativa alla prima presentazione di questo punto su Patreon:

Jesse: Sì, è difficile. Poche ore dopo aver letto questo articolo ho visto qualcuno parlare di “GM autoritari”. Fortunatamente, non stava insinuando che tutti i GM fossero autoritari. Allo stesso modo, ho visto un altro post che parlava di come il metagaming sia una porta che conduce alla narrazione collaborativa e che i GM che lo reprimono hanno paura di veder rovesciato il loro potere.

Perciò, è difficile separare il semplice concetto di autorità dal comportamento autoritario. Anche l’attuale clima politico negli Stati Uniti e altrove non aiuta.

È davvero ovvio che la prima volta che parlo di autorità in questo contesto tutti saltano immediatamente al “quindi, tutti gli altri stanno zitti e accettano”. E si risponde immediatamente con una reazione di “collaborazione”, “consenso” e “consensualità”. Poi faccio un respiro profondo e spiego, e se sono fortunato la situazione si calma: “Ok, sì, capisco, ma amico, hai bisogno di un’altra parola”.

Non so quanto sia utile (probabilmente non lo è), ma ho sperimentato l’espressione “diritto di precedenza” perché, per qualche motivo, porta con sé l’idea di controllare l’ambiente circostante e il concetto di “cedere la strada” se si vuole. Preferirei usare solo il linguaggio delle autorità, ma dipende se ho o meno l’energia per passare attraverso la fase “Oh, quindi sei Hitler del gioco di ruolo” della discussione.

Helma: questa reazione di non ascoltare come descrivi le autorità prima di accusarti di promuovere un comportamento autoritario è probabilmente il cuore del problema. Non capisco davvero cosa stia succedendo. Non credo che sia solo perché traduco tutto quello che diciamo – e non traduco autorità nelle nostre discussioni con il tedesco Herrschaft (il mio dizionario online dà almeno 30 opzioni, tra le quali mi piace di più Handlungsvollmacht).

Nel caso dell’uso di termini di uso comune, attribuiamo significati specifici (autorità non è l’unico, si pensi a IIEE, bounce …) So che noi (tu) abbiamo sviluppato una nomenclatura che funziona per noi e per il nostro argomento, così come le nomenclature utilizzate per altri argomenti possono utilizzare parole di uso comune e dare loro significati specifici e “insoliti”.

Forse potete evitare la fase di rifiuto spiegando prima di cosa state parlando e poi aggiungendo "è così che io/noi/Ron chiamiamo le autorità? Di solito ho difficoltà anche solo a spiegare queste cose - semplicemente non sono brava a parlare in modo teorico, sono arrivata ad accettare il fatto che di solito vivo la mia vita e prendo le mie decisioni d’istinto, il che mi rende una pessima “insegnante” ed è frustrante a modo suo.

Io: L’unica soluzione, a mio avviso – al di là del requisito necessario per stabilire una buona discussione in primo luogo – è lavorare a partire dal contenuto immaginato verso l’esterno. Se X è nel retroscena, o nella situazione attuale, o stabilito attraverso un esito, o inserito come risultato di un esito… allora come ci è arrivato?

Allora il lavoro consiste nel riconoscere che tutti i discorsi sulle regole, ad esempio: il tavolo mi ha detto cosa succede, i dadi mi hanno detto cosa succede, il testo dello scenario mi ha detto cos’è, le regole di risoluzione mi hanno detto di inventare, i miei appunti di preparazione mi hanno detto cos’è, sono subroutine del principio che “devo dirlo e farmi sentire, e tutti gli altri fanno affidamento su di me e su nessun altro (in questo momento) per dirlo”. Da qui si possono sollevare le questioni sostanziali, prima fra tutte l’argomento del post: superare l’errore di base che “dire” sia una sorta di status magico per inventare tutto e affermare ciò che accade senza vincoli. [Questo è importantissimo! È il motivo per cui si pensa che il gioco di ruolo consista nel sedersi e cinguettare quando si viene chiamati in causa].

Gli argomenti da trattare – e impenetrabili fino a quel momento – includono:

  • La non-soluzione di fare a turno lo pseudo-dittatore, che per qualche ragione è spesso percepita come una soluzione all’avere uno pseudo-dittatore fisso.
  • L’applicazione morbida/interrogativa dell’autorità, cioè non significa “re per un giorno”.
  • L’ovvio punto di vista che si applicano regole diverse (“chi e come”) per i quattro diversi tipi, anche quando i contenuti sono spesso combinati in un’unica entità o evento durante il gioco.
  • Il punto altrettanto ovvio che le autorità, per definizione, non possono entrare in conflitto tra loro e che qualsiasi evento in gioco richiede un input da parte di più di una autorità.

  1. NdT. reincorporazione di quanto ascoltiamo ↩︎

  2. NdT. interpretazione libera in base al contesto precedente e successivo – grammaticalmente nell’originale è un po’ contorta ↩︎

  3. NdT. authorship ↩︎

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A una prima lettura credo di aver capito solo una minoranza, ma mi sembra già abbastanza interessante. Mi riservo di leggere meglio nei prossimi giorni e di andare a leggere anche il testo originale, se posso, prima di azzardare dei commenti.

Mi limito a dire che sono contento di vedere che anche Ron Edwards, in questo caso, ha imboccato coraggiosamente la strada di prendere un termine che si porta dietro un grosso carico di implicazioni ed equivoci, ma che lui considera corretto se usato in un certo modo con un preciso significato, e rivendicarne l’uso previo chiarimento di quel significato, anziché rinunciare a usarlo per via di quel carico di implicazioni ed equivoci. :slight_smile:

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Per molti dei suoi termini, ha fatto quello che hai detto. Autorità e Agency sono quelli sui quali si è impuntato, forse (immagino) per mancanza di parole migliori. Puoi trarne le conclusioni che preferisci :slight_smile:

Se noti, comunque qua sta proponendo di estenderlo a “autorità in gioco”, proprio per contrastarlo a “autorità sugli altri”.

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mmm, non so, leggo delle cose su cui concordo e altre che invece non capisco.
partendo dal presupposto che io non ho mai avuto nella mia esperienza problemi con la parola autorità, né io come persona né io inteso come situazione al tavolo di gioco, mi sfugge una cosa.

Autorità: una persona afferma qualcosa su qualcos’altro di presente in gioco.
L’autorità non riguarda chi inventa qualcosa o quando questo accade.

la 1°, mi sembra di capire, è … “giusta”?
e la 2° sbagliata?

perché?
e soprattutto, se ci sono giochi che funzionano esattamente così sarebbero tossici?

I post di Ron, come al solito, oltre a essere scritti con le chiappe, sono da macellare, nel senso che occorrerebbe smontarli, lavorare ed affrontare le varie parti separatamente, per condurre approfondimenti lungo diverse strade, per poi ricomporre il discorso così digerito in un’unità complessa superiore alle sue singole parti ed avere il quadro complessivo, il modello. E così una certa chiarezza, finalmente.

Non è possibile farlo qui credo, per lo meno non senza il suo aiuto e non in un unico post.

Mi limito tuttavia a dire 2 cose, che forse possono aiutare come chiavi di lettura, con l’ovvia precisazione che non sono interprete nè difensore (non ne ha bisogno) di Ron e che si può essere d’accordo o meno, trovare utile o meno questa linea di pensiero sul gdr, apprezzarla o buttarla (sperando che sia sostituita non tanto da un’altra linea, ma almeno da un pensiero, perchè spesso nel settore manca e non è vero che “sono tutte pugnette! basta giocare!”) .

Per Ron l’Autorità di qualunque genere è sempre VINCOLATA, DIPENDE da vincoli di contenuto qui e ora.
Cioè dipende da precisi vincoli di contenuto che vengono prima della sua applicazione allo spazio immaginato condiviso, come tale non esiste mai “in astratto”, ma “nasce” proprio in base a ciò che sta succedendo in gioco.
E’ come se la fatidica domanda dei Pbta: “cosa fai? Cosa scegli?” venisse rivolta a chi (anche un master) al tavolo si occupa di un compito rispetto a ciò che concretamente è avvenuto.
In pratica è un Compito mandatorio senza il quale il gioco, la stessa conversazione non può andare avanti strutturalmente.

Significa che un sistema che si limita a ripartire il diritto di parola (l’Autorità) in base a turni, scene, macroargomenti teorici o settori dello spazio immaginato, o a dei ruoli che circolano e si scambiano fra i giocatori, finanche in base ai lanci di dado è assai probabile che alla fine crei N dittatori rispetto a quanto verrà detto e introdotto nello spazio immaginato e non garantisca “democrazia narrativa”.

Cioè che finisca per imporre autorità sulle persone e sulla loro creatività/autorialità al tavolo o a risolversi in un necessario Accordo esplicito o implicito su ciò che deve accadere.
Con la conseguenza, in pratica, che il gioco vero in tali casi spesso consiste nella pura Negoziazione o in una lotta per tenere fermo quello che piace a un giocatore o alla maggioranza del tavolo.

Perchè un tale sistema tende a rendere precario tutto quanto detto fino all’istante prima dagli altri giocatori in qualunque istante successivo, solo sulla base della volontà del dittatore di turno, slegato da qualunque vincolo di contenuto del qui e ora. L’Autorità è concepita, in casi come questo, in astratto, cioè come un diritto potestativo.

Per Ron la parte importante della parola Autorità è la prima: “Auth-”, che nell’etimologia sta per "appartiene a ", "è intestato a ", "è "paternità di/proviene da ", a sottolineare il legame del tutto personale e creativo della dichiarazione rispetto alla situazione di gioco con una specifica persona. La parte importante non è il suffisso che indica un Potere e il suo esercizio esclusivo.

Non si tratta di Potestà, ma di Paternità, come quella di cui si parla quando si deve attribuire un’opera creativa al suo Aut-ore.

Dunque si ha un’Autorità solo quando la situazione concreta di gioco vincola, costringe qualcuno a rendere una dichiarazione che superi un blocco, un’assenza di informazione obbligatoria per poter continuare a immaginare lo spazio condiviso in modo personale e con libera scelta entro il perimetro di quella situazione che ha devoluto l’Autorità.

L’Autorità non riguarda “** la Storia come trama astratta o come prodotto finale dei fatti e degli accadimenti del gioco**”, ma riguarda singole e precise situazioni del gioco concreto che vanno “sbloccate” perchè altrimenti non si va avanti qui e ora.

Capito perchè io e @ranocchio tendiamo a pensare male, ad esempio, se il testo di un gioco ti dice di tirare solo quando la situazione è interessante (a prescindere dal vuoto semantico dietro la parola, una di quelle parole che nel 2022 non hanno più alcun significato reale)?.
“Interessante” non vincola nessuno, non costringe ad esprimere un’autorialità altrimenti non andiamo avanti. “Interessante” è una scusa per riprodurre un genere, un avviso per simulare le solite storie.
O quando un gioco tende a ripartire autorità in modo astratto stile conch shell game?
Nei conch shell game sembra di sentire il sergente Hartman “qui vige l’Uguaglianza assoluta non conta un cazzo nessuno!”.
O quando detta in modo diretto, esplicito ed automatico il tema, il colore, la conseguenza di un’azione/dichiarazione di gioco? (ex: la vecchia umanità in Vampiri o anche l’umanità in Cyberpunk 2020., ma anche altri).
Qui tende a far tutto il gioco da solo e togliendo autorialità … toglie Autorità e togliendo Autorità … toglie agency, perchè nessuno in quel momento deve ascoltare nessuno, tutti subiscono il gioco.

Sono semplificazioni e approssimazioni orribili me ne rendo conto.

Un gioco è ben più di una singola regola, tutte le sue regole cooperano e si influenzano a vicenda creando un risultato complesso e uno spazio di scelte che può ben far recuperare autorialità, laddove una singola regola la appiattisce (a mio parere è il caso di Blades in the dark, che nel suo complesso la garantisce eccome, in alcune regole di per sè no).
Inoltre il sistema non dipende solo dal testo di un gioco, come più volte detto.

Però ci tenevo a inquadrare un pò meglio il tema.
Non so se ci sono riuscito.
Un saluto!

Per Osiride e per Apis! (2 cents a chi riconosce la citazione…)

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ok, mi è molto più chiaro effettivamente (e ti ringrazio per questo).
torno a condividere alcuni concetti, ma non sono sicuro se/di tutti.

faccio una domanda perché c’è un punto che non mi convince per nulla, cito:
un sistema che si limita a ripartire il diritto di parola (l’Autorità) in base […] è assai probabile che alla fine crei N dittatori rispetto a quanto verrà detto e introdotto nello spazio immaginato e non garantisca “democrazia narrativa”.

in pratica, ammettendo di aver capito, il cuore stesso di Archipelago (Holter 2012) funziona così e per quanto io l’abbia giocato poco, nei miei A.P. non si è mai verificato nessun tipo di situazioni neanche lontanamente associabili, secondo me, a quanto detto sopra, o meglio, non le ho mai sentito come dittature ma come ripartizioni di domini della narrazione.

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No, @Osiride, mi sa che sei ancora fermo all’inizio – esplicitamente le autorità in gioco non sono un diritto di parola. Non so come spiegartelo ulteriormente senza invitarti a rileggere e magari giocare insieme.

In secondo luogo se noti il contesto non ci interessa in alcun modo valutare se un gioco in quanto testo/oggetto vada bene o meno. Parliamo proprio di fenomeni basilari indipendenti dal gioco.

mmm, effettivamente il post di Ron non parla di sistema mentre la frase di Davos sì (anche se dovrei capire se per sistema Davos intendesse un manuale di un gioco e le sue regole scritte o l’insieme di manuale più persone al tavolo).

@ranocchio tu hai letto/giocato Archipelago? giusto per capire se almeno possiamo parlare di/su quello.
p.s. sempre per Ranocchio. al momento (oggi) ho l’influenza è zero voglia/forze di giocare, ma ho finito un paio di campagne e ho quasi, quasi non del tutto, delle sere a disposizione.

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Con “sistema”, sia io, che Davos, che Ron, intendiamo sempre e soltanto le procedure di gioco come realizzate al tavolo, non il gioco-oggetto o il testo scritto.

Non ho giocato ad Archipelago. Se vuoi giocare insieme a The Pool è un gioco abbastanza buono per vedere insieme questi concetti. La one shot dell’assedio che ho scritto con @LordPersi è ottima. @Davos potresti partecipare anche tu se vuoi.

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Per una volta sono riuscito a capire Davos senza doverlo leggere due volte!

Da quello che ho compreso, non è il diritto di parola ma chi (o cosa, nel caso dei dadi) ha il potere di rendere reale ciò che avviene in quel preciso istante. Quindi un gioco che dice al giocatore che può narrare in caso di fallimento di un’azione (o di successo di un’azione), gli dà Autorità non perché gli dà il diritto di parlare ma perché gli dà il potere di rendere reale ciò che narra, su precisi vincoli dati e non liberamente (nell’esempio, l’azione deve fallire, appunto).

Se sto dicendo minchiate, fermatemi! :smiley:

Guardami, guardami bene…
{Asterix contro l’ipnotizzatore, nelle Dodici Fatiche di Asterix} :slight_smile:

Ciao :slight_smile:

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Più o meno corretto @Red_Dragon, poi la specifica autorità che citi la chiamiamo Autorità Narrazionale / sulla Narrazione. Se ne possono riconoscere delle altre.

Ti correggo su una cosa: I dadi non hanno autorità. Sono un vincolo procedurale. Qualcuno (singolo o multipli) li usa come vincolo per applicare l’autorità in gioco.

L’idea è che il sistema di gioco basilarmente sia composto da due cose:

  • Autorità (sugli esiti, sulla narrazione, sulle situazioni, sui retroscena) che si vanno a intersecare facendo proseguire la “linea temporale” del gioco.
  • Vincoli su queste autorità (sia procedurali o come parte del contenuto di fiction).

Quello che vorrei sottolineare è:

  1. Spostare il punto di vista di quello che dal potere alla necessità. È un’azione che bisogna fare per far procedere il gioco e qualcuno deve farla.

  2. Spostare il punto di vista da “il gioco dice”. L’autorità esiste, in pratica, nel sistema di procedure come realizzate nel gioco-attività, e qualcuno deve farlo anche quando il gioco-testo non lo dice.

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Sì, hai ragione: sono stato impreciso. E questo mi fa riflettere su una cosa:

Questo discorso viene visto come astratto e non sempre capito; quando si fa l’esempio, ci si concentra sull’esempio e ci si scorda il punto di vista generale.

Ciao :slight_smile:

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  • Posso candidamente dire che non ci ho capito nulla?
  • Può essere ad un livello così teorico che non riesco a collocarlo nella realtà del gioco che (credo) conosco?
  • E’ possibile definire questa Autorità di cui parla, in stile vocabolario, e magari costruire su questo? Mi spiego: supponiamo di riassumere in:“Autorità è quel momento in cui qualcuno dice qualcosa, e questa cosa diventa vera per tutti”.°° Cosa me ne faccio? Da quel che capisco, non stiamo parlando di regolamenti, o di tecniche di gioco; non stiamo parlando di quando (o come) dare autorità a GM, giocatori, gruppo, quel che è.

NOTA °°: non è quello che Ron dice, è una sparata mia nella speranza di capirci qualcosa. Eventualmente, provate a darmi una definizione migliore, più in linea con l’idea originale.

È tra la roba meno “teorica” di cui Ron abbia mai parlato. Qualcosa che, quando lo vedi, puoi osservare più o meno in ogni momento di gioco. Non prosegue senza. Che cosa non hai capito?

Riguardo a definizioni: puoi benissimo definirla come hai detto, ma davvero non capisco questa ossessione (comune nei discorsi in italia, non solo con te) di definire le cose come fosse un vocabolario, come se le discussioni siano puramente una questione deduttiva, e accordarsi su “definizioni comuni” sia un qualche tipo di formazione degli assiomi. Non penso che questo in qualche modo aiuti a chiarire le cose.

Parliamo di un fenomeno osservabile. Usiamo una parola per descriverlo. La definizione si adatta al fenomeno e si evolve con la sua comprensione.

Riguardo alla definizione, è perché sento che quando qualcosa può essere riassunto in modo sublime, fino a darne una descrizione in due righe piuttosto che in tre pagine, questo aiuta tutti.

Poi, il mio ovvio step mentale è “cosa me ne faccio di questa informazione/definizione/concetto nuovo?” A me viene spontaneo chiederlo. Leggo di Ron che mi parla di gente che si arroga l’autorità (stronzi), e quindi penso che voglia darmi delle idee su come distribuirla meglio, o sulle regole che possono normarla. Invece no. Leggo di “distribuzione delle autorità”, e di “L’autorità non riguarda chi inventa qualcosa o quando questo accade.” e “L’autorità non riguarda lo scavalcare tutti gli altri quando una particolare cosa accade al momento della risoluzione e degli esiti.” e “È irrilevante se si tratti di una persona sola o di un gruppo di persone.”. E quindi?

Poi ho Davos, che mi dice “l’Autorità Narrativa di qualunque genere è sempre VINCOLATA, DIPENDE da vincoli di contenuto qui e ora.”, e "un sistema che si limita a ripartire il diritto di parola (l’Autorità) in base a turni, scene, macroargomenti teorici o settori dello spazio immaginato, o a dei ruoli che circolano e si scambiano fra i giocatori, finanche in base ai lanci di dado è assai probabile che alla fine crei N dittatori rispetto a quanto verrà detto e introdotto nello spazio immaginato e non garantisca democrazia narrativa” e “Con la conseguenza, in pratica, che il gioco vero in tali casi spesso consiste nella pura Negoziazione o in una lotta per tenere fermo quello che piace a un giocatore o alla maggioranza del tavolo.” e “si ha un’Autorità Narrativa solo quando la situazione concreta di gioco vincola, costringe qualcuno a rendere una dichiarazione che superi un blocco, un’assenza di informazione obbligatoria per poter continuare a immaginare lo spazio condiviso in modo personale e con libera scelta entro il perimetro di quella situazione che ha devoluto l’Autorità.” e, niente… probabilmente è un limite mio.

Quindi, qui ci sono suggerimenti su come ripartire l’autorità? Ci sono agganci per capire quando una regola è brutta, e danneggia questo concetto? C’è qualcosa di utile per me, se devo realizzare un regolamento, o se devo individuare cosa può portare problemi al tavolo?
Nella mia spudorata incapacità di cogliere il topic, sto pensando che di solito è bello quando un regolamento è chiaro su chi deve dire cosa, e quando. Inoltre, non riesco a cogliere come quanto detto mi può aiutare a costruire un regolamento migliore, o un migliore clima al tavolo: ad un certo punto, nel modo più onesto e ragionato possibile, dopo aver parlato/discusso con gli altri, qualcuno deve andare avanti.

Ma probabilmente continuo a non capire.

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Dammi il tempo amico Pardu! Dammi tempo!

Ne serve parecchio per scrivere di sta roba senza dire cagate.

Avrei anche da sfamare una famiglia di 6 persone e fingere di essere figo in giro oltre a giocare di ruolo!

Però prometto di provare ad essere concreto, prendendo due risposte con una fava, tu e Osiride (e Apis!) !

Intanto butto là solo questo: sarebbe bene che un gioco non si preoccupasse di distribuire “Autorità come Poteri di modifica diretta dello Spazio Immaginato”, fallisce quasi sempre, finisce di essere gioco e inizia ad essere scrittura collettiva guidata di una storia.

Le Autorità non le noti in gioco a meno che non vuoi farci caso espressamente e con impegno, sono come la fisiologia per il corpo di un essere vivente, spesso nemmeno ti accorgi del battito del tuo cuore, figurati quanto ti accorgi del ciclo dell’emoglobina.

Non le noti… fino a quando qualcosa non va male e il cuore si ferma o non ti arriva sangue al cervello.
Allora il (vero) gdr “muore” e inizia la negoziazione o il railroad in una sua forma.

Non si parla di un gioco specifico, di solito per 2 motivi (ma nel prossimo post correrò il rischio e farò 3 nomi precisi): il primo, come detto sopra, è che un gioco è più di una o di alcune sue regole, è la somma di tutte le regole che si influenzano fra loro. Quindi se anche qualcosa non funziona del sistema circolatorio, magari è compensato in qualche modo da qualche altra procedura e tu al tavolo non te ne accorgi, anche perchè magari ci metti del tuo per compensare, usando regole e Autorità di tua creazione al volo che fanno da aggiustamento (a me capita spesso).
Il secondo motivo è che qualcuno che ama quel gioco di solito si incazza e manda in vacca la discussione.

Terza cosa preliminare: in D&D (qualunque edizione ma diciamo pure la 5 o la 2, OSE), quando un Pg arriva a 0 punti ferita…chi dice che è morto? Chi lo decide? Chi si permette di dirlo?
Può sembrare uno scherzo.
La regola dice che sei morto.
Purtroppo regola non ha la bocca e come sempre non si alzerà dal testo a picchiarti se il pg… non e morto.

Ora. Chi dice che il pg è morto?

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Ripeto: non stiamo valutando il testo dei giochi. Siamo a un livello molto più fondamentale: osservare e descrivere quello che succede al tavolo. Quando parliamo di sistema parliamo di sistema realizzato al tavolo nella pratica, di procedure effettivamente applicate, che siano scritte o meno.

Vi prego di non parlare di quello che un manuale di testo dovrebbe o non dovrebbe specificare. È completamente fuori tema.

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Mi permetto di precisare che la richiesta di una “definizione” non implica necessariamente la volontà di passare a un ragionamento logico-deduttivo a partire da assiomi. Spesso esprime semplicemente la non comprensione di quello di cui si sta parlando.

Parliamo di un fenomeno osservabile, per carità, ma usiamo delle parole specifiche per descriverlo. Ci sta che qualcuno non capisca. A quel punto, chiedere lumi su una parola, magari quella che riusciamo più difficilmente a ricondurre a qualcosa di concreto, è solo un modo come un altro di chiedere chiarimenti.
Nella mia (limitata) esperienza è ben raro che ci sia dietro la volontà di ingabbiare significante e significato in modo normativo, ora e per sempre, rifiutandosi di aprirsi a una evoluzione della comprensione del fenomeno. In genere c’è dietro solo il fatto, banale, che il parlante ha molto chiaro il fenomeno osservabile a cui si riferisce con quella certa parola, ma l’interlocutore evidentemente no.
Se il termine “definizione” non ci sembra appropriato, potremmo sostituirlo con “spiegazione”, “approfondimento” o “chiarimento” (per poi magari soffermarci un attimo a contemplare quanto è ironica questa cosa :wink: ).

Ron Edwards non usa una parola a caso, bensì una specifica, che sceglie accuratamente e che rivendica, con cognizione di causa.
Tutto il suo discorso, in effetti, è finalizzato a chiarire quale significato le dà, sgombrando il campo dagli equivoci e riconducendola a un preciso fenomeno concreto. Si può vedere tranquillamente come una “definizione” di quella parola, nel senso di “spiegazione”.
“Quando dico questa parola, mi sto riferendo a questo fenomeno osservabile qui:…” (segue descrizione). Se alla fine della descrizione qualche italiano ti chiede la definizione della parola, forse è perché è italiano, ma forse è perché la descrizione non è stata tanto chiara.

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Ho capito quel che vuoi dire, ma per me fare il distinguo tra “definizione” e “spiegazione” è molto importante.

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Non so se può essere una definizione o se dà adito ad ulteriori dubbi ma quella che avevo dato io:

mi sembra sia quella più vicina a ciò che cerca @AndreaParducci. È seguita da un esempio perché la definizione da sola è poco chiara.

È importante ribadire che questa autorità non è l’autorità sugli altri: se hai il potere di narrare quando fallisci (per rimanere nell’esempio da me fatto), non significa che puoi “cagare” in testa agli altri. Hai la possibilità di rendere vero ciò che esiste all’interno dell’immaginario, in quel determinato ambito e quei determinati limiti. Niente di più, niente di meno.

Come dice @Davos una regola di per sé potrebbe non dare Autorità: per rimanere nel suo esempio, quando un PG raggiunge 0 pf, non si alza il manuale e parla dicendo “il tuo PG è morto”!

A questo punto sono pronto a prendere i pomodori in faccia, se ho detto scemenze :stuck_out_tongue:

Ciao :slight_smile:

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