Autorità: esempio concreto

Ho molta paura ma ho deciso di provare a buttarmi.
Farò una cosa che anelavo da tempo: proverò ad esprimere questo bel concetto non solo con parole mie, ma con il mio linguaggio [1].
Essendo il primo tentativo probabilmente fallirà [2], ma voglio sperare che ci sia almeno una piccola probabilità che aiuti qualcuno (@Osiride o altri) ad apprezzare il concetto vedendolo articolato da una diversa angolazione, e applicato a un esempio reale.
Ad altri quello che seguirà potrebbe sembrare espresso in modo inappropriato: sul linguaggio vi prego di usare clemenza.
Ma può anche darsi che io non abbia capito nulla e mi sbagli profondamente. Accetterò volentieri le critiche.


Definiz… ehm… spiegazione in billebooese

L’autorità di Pino nel gioco, in un dato momento, è l’insieme delle cose che Pino ha il compito oggettivo di dire in quel momento affinché il gioco possa continuare.

A prescindere da come quel compito gli sia stato assegnato, se il regolamento glielo dia in modo esplicito oppure no; notiamo solo, all’atto pratico, che in quel momento lo sta avendo.

Le regole (che vengano dal manuale, dalle consuetudini o altro), così come i dadi (se utilizzati) e tutte le cose dette e immaginate al tavolo finora, stabiliscono i confini che Pino, quando parla, non può superare.

Se Pino dice una cosa che eccede i confini, è irregolare.

Ma se dice delle cose interne ai confini, non è detto che tutte (e sole) quelle cose assolvano il compito di esercitare la sua autorità; potrebbero essere insufficienti, o ridondanti.


Gioco concreto (sperando sia pertinente)

A questo punto farei degli esempi di gioco fittizio ma tale pratica è giustamente scoraggiata dal forum. Faccio un esempio di gioco reale mio, uno a cui tengo molto perché mi ha acceso diverse lampadine. Giocavamo una sorta di D&D.

Disclaimer 1:

Parlo di una sorta di D&D, perché è il gioco che gioco di più e gli esempi li trovo lì; “una sorta di” perché non aderisce esattamente ai manuali di nessuna edizione commerciale, è un coacervo “frankenstein” di home rule come succede a certi tavoli di smanettoni; ma all’atto pratico è un gioco di quella “tipologia lì”; i dettagli delle regole non serviranno per capire l’esempio.

Disclaimer 2:

Avevo già scritto questo esempio per un post sul mio blog che non è ancora uscito, dovrebbe uscire a gennaio. Ci tengo a precisarlo perché, quando uscirà, non si pensi che avrò preso spunto da questa conversazione sul forum per fare le mie dissertazioni private: sto facendo l’esatto opposto, sto prendendo un pezzo di una mia dissertazione privata non ancora uscita e lo sto offrendo al forum.

Al mio tavolo ho quattro giocatori. I loro PG stanno esplorando un dungeon in cerca di un’alga, utile come ingrediente di pozioni e rituali.

Incontrano una salita ripida in un cunicolo; loro potrebbero superarla, ma il loro asino da carico rischierebbe di azzopparsi. Ne parlano un po’ e decidono di dividersi: i PG che chiameremo Tre e Quattro salgono in avanscoperta, mentre Uno e Due restano giù con l’asino.

Da quel momento la mia “inquadratura” segue Tre e Quattro. Fanno un po’ di percorso, trovano una caverna con al centro l’agognata alga, entrano per prenderla, e vengono attaccati da dei mostri in agguato.

Dico che possono gridare forte, allertando i loro compagni, ma se lo fanno (in base alle regole che ci eravamo dati) si innescherà un tiro per gli incontri casuali. Decidono di non gridare e di combattere le bestiacce da soli. Faticano, poi riescono con un pazzo trucco ad allontanare un attimo i mostri, e scappano tornando indietro.

A questo punto gli altri giocatori mi fanno capire che si stavano annoiando e chiedono un po’ di spazio per “ruolare” ciò che hanno fatto i loro personaggi nel frattempo. Io e gli altri accettiamo. Inizia così una scena in cui Uno e Due fanno… una chiacchierata. Siccome Due è un incantatore, Uno gli chiede perché non abbia un famiglio, e se abbia intenzione di averne uno in futuro; da lì giungono a parlare delle implicazioni sia pratiche, sia etico-morali della cosa; quando qualcuno è in dubbio su come funzioni nel mio mondo mi chiede delucidazioni, e gliele do.

Poi faccio arrivare gli altri due PG e il gioco continua. A fine sessione c’è stato un chiarimento a cui sono seguite varie mie riflessioni.


Osservazioni personali

Ci sarebbero molti punti interessanti da toccare qui, su almeno tre classiche parole chiave del gergo dei GdR, diverse da “autorità”, che avevo iniziato a scrivere e ho subito cancellato: rimaniamo in topic (poi se avete osservazioni o volete che vi racconti il resto lo farò volentieri in un altro thread).

A turno, hanno parlato tutti e quattro i giocatori. Più o meno per lo stesso tempo. Hanno avuto lo stesso “diritto di parola”. Hanno tutti detto cose, e non da soli: interagendo con gli altri. Nessuno ha contravvenuto alle regole.

Però credo che possiamo avvertire, anche solo a pelle, che c’è una fondamentale differenza tra le cose che hanno detto i primi due e le cose che hanno detto i secondi.

Questo caso è molto emblematico perché c’è stato uno “stacco” netto tra due… uhm… “modalità” diametralmente opposte, quindi la differenza risalta [3]. Nella mia (limitata) esperienza succede molto più spesso che le due “modalità” convivano e si mescolino, in percentuali diverse, per cui è meno semplice distinguerle.

Ora, io userei altri termini per descrivere la differenza, ma proviamo a usare il concetto di “autorità”; correggetemi se sbaglio (lo maneggio da incapace neofita), ma mi sembra che funzioni piuttosto bene.

Direi che i giocatori di Tre e Quattro, nella prima parte, hanno esercitato autorità perché hanno detto una serie cose che il gioco richiedeva di dire, che era loro compito dire per dar luogo a conseguenze che sostenessero il funzionamento del gioco stesso. Le hanno dette in piena libertà creativa (avevano un’infinità di opzioni, avrebbero potuto far comportare i loro PG in un’infinità di modi, pur rispettando le regole). Ma erano, diciamo così, necessarie e produttive: il gioco aveva bisogno che le dicessero, e dirle ha creato ulteriore gioco.

Direi invece che i giocatori di Uno e Due, nella seconda parte, non hanno esercitato autorità. Si sono divertiti molto, eh, sia chiaro; non sto dicendo che sbagliavano. Ma non hanno detto niente che fosse loro compito dire per contribuire al funzionamento del gioco. La loro parte non era necessaria né produttiva. Se non ci fosse stata affatto, lo svolgimento della sessione non ne avrebbe risentito [4].

Osservo anche (di nuovo, da villico ignorante) che quanto sto dicendo dipende strettamente da quale gioco stavamo giocando. In un gioco di altro tipo, orientato per esempio (non nel senso di nostro mero desiderio: nel senso del suo funzionamento) a esplorare le relazioni personali tra i PG e i loro insiemi di valori, magari sarebbe stata la parte di Uno e Due, e non quella di Tre e Quattro, a qualificarsi come esercizio di autorità.

Vi prego davvero di correggermi se sto dicendo delle castronerie, ho scritto tutto questo soprattutto per aiutare me stesso a capire se ho capito.


  1. penso che persone diverse siano abituate a parlare del gioco usando un linguaggio diverso, anche per gli stessi concetti, e che questo spesso crei incomprensioni ↩︎

  2. in fondo il GdR stesso ci insegna che sia i successi che i fallimenti sono importanti e lasciano comunque il segno sulla giocata :sweat_smile: ↩︎

  3. per questo sono affezionato a questo esempio, e molto grato ai giocatori che mi hanno fatto fare questa esperienza ↩︎

  4. ne avrebbero risentito i giocatori per il loro personale benessere, me l’hanno fatto capire, ma questo è un altro discorso ↩︎

5 apprezzamenti

Allora, sulla definizione ci sei secondo me. Sull’esempio un po’ meno. Appena ho tempo ti faccio una risposta completa.

2 apprezzamenti

Sì, secondo me con questo più o meno ci sei. La cosa importante da aggiungere è che sono cose che quando vengono affermate da Pino (con o senza suggerimenti da parte degli altri o vincoli di regole), vengono accettate da tutti come vere e il gioco prosegue. Se Pino non dice cosa fa il suo personaggio, il gioco non va avanti. Se tu GM non dici come fa a finire il ponte che crolla, il gioco non va avanti.

Del tuo esempio io prenderei prima di tutto la scena fatta con i giocatori Tre e Quattro. La scena di “chiaccherata” tra Uno e Due faccio fatica a immaginarmela, perché ci sono tante ragioni, alcune positive e altre negative, per cui una scena del genere sia necessaria, e faccio fatica a pensare come hai detto tu che sia stata svolta senza applicazione di autorità — d’altronde ciascuno dice quello che il proprio personaggio fa e dove si trova, no?

Per me sbagli a concentrarti così tanto sulla necessità “per far proseguire il gioco”. Cioè, o la scena di Uno e Due aveva un senso, e allora hai fatto bene a farla, o non aveva un senso, e allora hai fatto male a farla. In nessun caso penso che questo rimuova l’autorità dalle persone. Qualcuno deve dire cosa fanno questi personaggi, se poi non c’erano situazioni di incertezza da risolvere, magari sei tu GM che hai intervenuto poco (provo a immaginare).

Tornando sulla prima scena — molto semplicemente, ogni qualvolta Tre o Quattro ti hanno detto quello che provava a fare il proprio personaggio, hanno esercitato la propria autorità. Tu in quel momento ti sei immaginato il loro personaggio provare a fare quella cosa. Quando gli dicevi come andava a finire, hai esercitato la tua autorità. Loro si sono immediatamente immaginati la scena che hai descritto, senza bisogno di conferme. È “scattato l’interruttore” e quella cosa si è avverata.

Ti chiarisce un po’ le idee?

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Grazie, credo di sì.

Quindi, anche nell’altra scena, quando Uno e Due dicevano delle cose, il rispettivo giocatore stava esercitando la sua autorità perché l’altro aspettava che gliele facesse dire e dopo accettava come vero, nell’immaginato, che le avesse dette (e noialtri al tavolo lo stesso).

Anche se il gioco complessivo, tecnicamente, avrebbe potuto “andare avanti” in qualunque momento anche senza alcuno di questi contributi, che non erano atti a generare conseguenze. Se ho ben capito questo non ha importanza perché, nel momento in cui il tavolo ha accettato di giocarsi quella scena, quella scena era il gioco e le parole del dialogo tra Uno e Due erano necessarie a farla “andare avanti”.

Corretto?

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Secondo me, hai ragione.

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