Ma è solo questione di Fair Play? Discussioni post giocata

(Mi permetto di fare una piccolissima moderazione che probabilmente non mi compete: quando ho aperto il thread sapevo di correre il rischio di offrire troppa carne e poco cotta; tuttavia ho cercato di fare uno sforzo per riflettere le questioni, perimetrare i temi e argomentarli con fatti, considerazioni ed esempi.
Magari non ci sono riuscito, ma ho fatto del mio meglio ragazzi; se qualcosa non è chiara, vi prego, rileggete. Sono argomenti difficili, ma non è meccanica quantistica. E se ancora non è chiara, vi prego, fate domande articolate, contestualizzate e argomentate così da darci la possibilità di capire i vostri dubbi. Siamo qui per discutere, in senso maieutico spero, non per assegnare patenti di verità o di vittoria).

Ho citato un tuo passaggio testuale per racchiudere quel concetto di fair play dei giocatori al mio tavolo perché mi era stato chiesto di chiarirlo; concetto peraltro che ho cercato di esplorare in lungo e in largo.
So che nel tuo lunghissimo post hai espresso un concetto che complessivamente è diverso, ma l’inciso che ho citato ben si atteggiava al concetto che mi era stato chiesto di spiegare.

Apprezzo tutti i tuoi interventi, davvero. Io per scrivere così tanti concetti ci metto tempo e quindi grazie di spenderne anche tu. Mi ha dato anche da riflettere quanto dici ma non mi ci sono soffermato perché credo che i temi che poni sono un pochino fuori traccia.

La risposta veloce è no, non ho detto questo. Anzi, la maggior parte dei miei interventi precedenti, con molti esempi, hanno dato centralità assoluta alle premesse.
Dal mio punto di vista sono addirittura più rilevanti di quanto non sia quello che finora abbiamo narrato; perché quello che narriamo dovrebbe, in qualche misura, dipendere dalle premesse. Probabilmente però intendiamo cose diverse con la parola premesse, non lo so, me lo dirai tu se vorrai.

È evidente che se stiamo giocando a tennis e ad un tratto comincio a far rimbalzare le palline sulla rete laterale perché voglio giocare anche a padel questo disallineamento ci impedirà di andare avanti. Ci impedirà di procedere innanzitutto perché c’è un meccanismo sanzionatorio che si chiama punteggio e poi anche perché è probabile che tu prenda e vada via dal campo. E lo stesso dicasi per Risiko e Allegro Chirurgo, certo.

Direi che lo stesso vale se ci sediamo per giocare a D&D e tento di giocare la politica di Vampiri o, appunto, se stiamo giocando una banda di Blades e voglio giocare la storia romance.

Non discuto nemmeno che un designer che si approcci alla sua creazione debba aver ben chiaro quello che vuole suggerire in modo da costruirci delle meccaniche che supportino l’intento creativo dei giocatori.
Quindi, il gioco più strutturato ci aiuta a ricordare cosa stiamo giocando? Non c’è dubbio.

Ciò non toglie che ci sono giochi (e di questi che stiamo discutendo) che quelle meccaniche non le hanno e allora qualche interrogativo sorge. Come ho detto, peraltro, l’interrogativo sorge anche in giochi eccezionali come Blades, in cui è lo stesso Harper a dirti: amico, non fare il furbo. Non usare le parole per offrire uno spettro di significati che non hanno; accogli le premesse e le regole che il manuale ti ha dato.

Il fuoco della discussione è appunto: in sistemi poco strutturati, tipicamente quelli a descrittori – dove c’è un’oggettiva carenza normativa su aspetti potenzialmente controversi perché coinvolgono l’eterogeneità di immaginario di ciascuno – cosa ci impedisce di deragliare? Cosa ci impedisce di utilizzare abusivamente l’ambivalenza delle parole? E, per converso, qual è l’elemento che ci consente di dare rilevanza a qualcosa pur senza avere un impatto meccanico sulla scheda?

Ero partito da un esempio che forse ha frainteso tutti, ma ne ho fatti anche altri, spero più significativi.

In Vampiri, un dannato che uccida senza motivo può subire una macchia e potenzialmente un perdita di Umanità. Il gioco ci tiene a questa cosa e ne lascia una traccia meccanica che ha ripercussioni.

Ma in The Pool (e altri n giochi) dove tutto ciò non c’è, l’omicidio di un’innocente è meno rilevante solo perché per il designer non era essenziale segnalare la scala morale? Secondo me dipende.
Potrebbe avere ugualmente una pari rilevanza (narrativa) se, come premessa, ci siamo calati all’interno di uno scenario e nei panni di personaggi che no, non farebbero omicidi a sangue freddo. Se invece stiamo giocando GTA probabilmente chissenefrega.

Ma capisco che i temi “morali” possono confondere, allora ho fatto altri esempi, sempre tenendo presente le domande: cosa ci impedisce di deragliare? Cosa ci impedisce di utilizzare abusivamente l’ambivalenza delle parole?

Ho fatto l’esempio della Spada tagliaferro, del Fischietto richiama anime, perfino delle Munizioni elettroplasmatiche o del Tiro Azione.

Se giocando a Blades continuo ad insistere a fare il piccioncino e a portare in scena dettagli romance non sto abusivamente piegando il sistema. Sto legittimamente portando avanti una giocata.
Probabilmente irrilevante e fuori fuoco e rischio che qualcuno si alzi a dirmi: ok, è tutto molto bello però avevamo deciso di giocare una banda di criminali e fare colpi, possiamo tagliare corto o ci tieni particolarmente a questa scena?

Ma mettiamo che mi siedo a giocare a The Pool in uno scenario realistico anni 60 sulla scena rock psichedelica in cui giochiamo a fare una band di yuppie. E se mentre gioco questo scenario io PG volessi portare in scena palle di fuoco dalle mani perché ho sulla scheda il tratto “piromane”?

Che cosa mi dovrebbe impedire di farlo?
Anzi, riformulo: è giusto porsi l’interrogativo se ha senso quel tipo di dichiarazione? O vale tutto solo perché non ho un vincolo esplicito nelle regole/scheda?
Non è “strano” che in uno scenario realistico, negli anni 60, uno yuppie californiano lanci palle di fuoco? In cosa è strano?

Dal mio punto di vista, infatti, lo dico qui:

Quindi per me il concetto di premessa è molto importante. Non necessariamente nell’accezione di “quale gioco stiamo giocando”, quali meccaniche stiamo sollecitando per trarre massima efficacia dal gioco. Ma proprio come premessa tematica in senso lato.

Qui sei fuori strada.
Ho aperto il thread e ho speso tanto tempo a discuterne al mio tavolo proprio perché al contrario lo ritengo molto difficile. E ti assicuro che non farei mai una campagna a The Pool nemmeno di 6 sessioni, proprio perché lo ritengo un gioco estremamente complesso per il tipo di esperienza che cerchiamo.

Ma penso anche che “educarsi” a questo modo di giocare, cercando di allinearsi continuamente e rimanere fedeli alle premesse tematiche, non possa che migliorare l’esperienza in tutti i giochi.

No, non è mai capitato. Vuoi perché siamo molto migliorati negli anni su queste cose, vuoi perché tutti hanno abbracciato con onestà le premesse tematiche dello scenario e dei propri PG. Insomma, non era un thread su The Pool (perché in effetti non abbiamo avuto alcun problema) quanto piuttosto sulle riflessioni tra di noi a valle di quella giocata.

Bobo, non posso aggiungere altro al tuo intervento perché mi trovo in linea con quello che hai detto e col tuo approccio. Forse avrai capito che l’esempio che ho portato inizialmente potrebbe aver creato qualche confusione: il fuoco della discussione con i miei amici non era certo mettere sotto esame le scelte del pg.

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Il master
(Lemmi al vento in numero sufficiente per raggiungere 15 parole e rendere legale questa risposta)

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Grazie della risposta.

Il motivo della mia domanda è che a volte può capitare di porsi molti interrogativi basati non su problemi effettivamente incontrati, ma su problemi ipotetici che riteniamo possibili. Capita anche a me, eh, molto spesso, infatti è una cosa a cui ho imparato a fare attenzione.
Non dico che sia per forza il tuo caso, ma se un problema è molto “sentito” nelle conversazioni off game ma di fatto non si presenta mai al tavolo potrebbe essere indice che quelle conversazioni sono un po’… un fuoco che si autoalimenta, non so se mi spiego.

Chiariamoci, neppure io farei una campagna di 12 sessioni con The Pool, ma per altre ragioni, non perché io creda che il tavolo finirebbe per “disallinearsi” senza indicatori specifici.

Se stiamo giocando uno scenario realistico anni '60 e tu vuoi che il tuo PG lanci una palla di fuoco dalle mani… beh, tutti ci scambiamo una bella occhiata.
Magari qualcuno direbbe: “ma dai, non ha senso!”, trovando l’accordo degli altri. A quel punto tu potresti impuntarti, e l’unico sbocco sarebbe smettere di giocare insieme. Oppure potresti dire: “è vero, penso a qualcos’altro” e ridimensionare la tua dichiarazione.
O, magari, tutti accetteremmo la tua dichiarazione con entusiasmo. E se va bene a tutti, dov’è il problema? Evidentemente avevamo detto di voler giocare realistico ma non è così, oppure abbiamo un’idea molto particolare di “realistico” (che in fondo è solo una parola).
Forse mi sbaglio ma direi che in tutti i casi il “riallineamento” è immediato.

Tra l’altro, parliamoci chiaro: se stai usando il tratto (mettiamo sia un tratto da +2) sei in un conflitto, e il tratto ha lo stesso valore (sempre +2) sia che tu dica che lanci una palla di fuoco, sia che tu dica che lanci un fiammifero. Non è che descrivere la palla di fuoco sia in qualche modo più vantaggioso. Quindi, avendo tu amplissima libertà di “giustificare” l’uso di un certo tratto, non vedo perché dovresti insistere per usare una specifica descrizione.

Mettiamo che invece stiamo parlando di un monologo di vittoria: hai superato il conflitto col tuo +2, e ti metti a narrare che l’hai superato a suon di palle di fuoco. Non è che ti sia vietato farlo. Però sei responsabile di quello che dici e delle conseguenze che ha sulla giocata. Se le altre persone ritengono che la tua descrizione non vada bene (nel senso: che “rovini” la giocata, magari al punto tale che non se la sentono più di partecipare) te lo faranno presente, e tu deciderai come regolarti.

Il punto non è che stai “usando l’ambivalenza delle parole” del tuo tratto. Potrebbe capitare anche con un “pezzo” di descrizione che non è per niente legato a nessun tratto. Potrei (così, distrattamente) parlare di un disco volante nel cielo, che a me sembra appropriatissimo negli anni '60 in USA e mi sembra pure realistico (magari ci credo davvero agli UFO e robe simili) e al resto del tavolo sembra una grossolana pacchianata. Nessun tratto coinvolto. Qualcuno mi dirà: “eh, ma che pacchianata!”, e ci chiariremo.

Insomma, la mia risposta è: “no, non è che vale tutto, vale quello che come gruppo di persone ritenete appropriato; se ci sono incomprensioni, se ne parla e si prova a risolverle”.

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Come hanno detto anche gli altri: è il Contratto Sociale che si stipula tra le persone. Dove le regole non spingono in una certa direzione, sono i giocatori a farlo.

Il problema è questo “Contratto Sociale” può cambiare in corso d’opera, anche senza accorgersene. E, come hanno detto altri, se non si è tutti allineati, si rischia di “perdersi per strada”.

Traduco (dalla mia esperienza): di quella scena non gliele fregava niente a nessuno e quindi tutti se la sarebbero dimenticata. Quello che segue dopo è semplicemente un modo per dire: se invece c’era una meccanica che obbligava a considerare quella scena perché aveva anche conseguenze meccaniche, forse ci avremo dato più peso (sempre dalla mia esperienza: è falso).
Quello che loro criticano, a torto od a ragione, è che tutto deve essere ricordato dai giocatori e non c’è niente sulla meccanica che ti aiuti a dare una direzione al gioco. Se qualcosa quindi non funziona, allora va tutto a carontoli. Il fatto che sia successo qualcosa in gioco, ma appunto a nessuno importava, non ha importanza perché verrà dimenticato e riscritto.

Quello dello “spararla più grossa” sono critiche che rivolgo sempre anch’io, più che altro perché sono un tipo che tende a farlo, ma appunto c’è un immaginario che limita queste cose (insomma, gli altri l’hanno detto meglio di me).

Ciao :slight_smile:

Vorrei chiarire che io, qui, non sto esponendo la mia tesi. Piuttosto sto tentando di aprire degli interrogativi, che possono anche restare aperti e sarebbe ugualmente bello.

A volte le domande sono più importanti delle risposte.

Almeno per me, questa lunga discussione, che sembra a tratti talmente banale da “non avere modo di esistere” come diceva @Red_Dragon, a tratti di una difficoltà inestricabile, è stata sicuramente utile. Mi dà modo di riflettere, la faccio leggere agli amici con cui gioco.
Mi riallinea con i fondamentali del gioco di ruolo.

Provando a fare sintesi (aiutatemi pure voi) da tutto quello che è emerso dai vostri contributi, però, trovo che sia una discussione tutt’altro che risolta, tant’è vero che sono emersi approcci e sensibilità differenti.

A. RISETTARE L’IMMAGINARIO O MOLLARE IL TAVOLO

Lorenzo qui liquidi la cosa con una prospettazione che però già abbraccia tre ipotesi:

  1. Ma dai, non ha senso, e tutti si mettono d’accordo
  2. Ma dai, non ha senso, e il giocatore si alza e se ne va
  3. Figa quest’idea, e andiamo avanti tutti contenti

Che il riallineamento sia immediato è un’aspettativa nobile: a volte avviene, altre volte no. Tanto da poter “rompere” il gruppo di gioco come tu stesso dici o dover “rinegoziare” le aspettative.

Del resto, qui stiamo indagando proprio quel “qualcosa” che consente a tutti di riallinearsi in assenza di un vincolo regolistico che tenga i legacci dell’immaginario di ciascuno; quel giocare onestamente che è parte fondamentale del gioco stesso che dovrebbe non farci nemmeno arrivare alla fase patologica o farcela superare con estrema facilità.

Ma questa prima idea non è l’unica visione.

B. IL MASTER

Ora, al di là dell’eroismo di @Davos che in un thread con blocco 24 ore scrive solo 2 parole, questo è ancora un diverso approccio alle domande che ci siamo posti.

Giusto, sbagliato? Non lo so.
In certi casi trovo sano che il master dica: No dai, stai veramente andando oltre tutto quello che ci eravamo premessi di giocare. Te ne rendi conto?

Ma se la validazione dell’immaginato (delle premesse) deve passare puntualmente dal master, messo lì a guisa di Custode Ultimo della verità, forse qualcosa non va. E’ un compito che a me personalmente alla lunga peserebbe.

C. IL SISTEMA/REGOLAMENTO: LO SCOPO DEL GIOCO

Come giustamente ricordava @Matteo_Sciutteri

perché il rischio

Giocare la “stessa cosa”; avere ben chiaro lo “scopo del gioco”. E farlo in sistemi destrutturati è molto più complicato.

D. IL CONTRATTO SOCIALE

Anche il contratto sociale, certo.
Sebbene, io l’ho intenda in maniera un po’ diversa.

Il contratto dovrebbe essere preesistente alle regole ed impermeabile a cambiamenti occulti.
Si può cambiare? Certo. Ma in modo espresso e condiviso. Altrimenti non è l’accordo sul quale basiamo la costruzione di tutta l’esperienza di gioco.

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Niente (nessun “vincolo regolistico”, nessuna meccanica, nessun contratto sociale preesistente e “impermeabile” scolpito su pietra) potrà mai impedire con certezza che qualcuno faccia qualcosa che le altre persone trovano inappropriato per la giocata. La cosa più sana e sicura che si può fare, secondo me, è semplicemente essere aperti a parlarne e chiarirsi qualora succeda. “Rinegoziare le aspettative” è sano. Smettere di giocare insieme se non si vuole giocare allo stesso modo è sano.

Posso testimoniare per esperienza diretta che anche in sistemi di gioco iper-strutturati può succedere, eccome, di accorgersi in corsa di non voler giocare la stessa cosa. Quando succede, l’unico “vantaggio” che ti dà il sistema strutturato è che una delle parti può puntare il dito sulle regole e dimostrare di “avere ragione”. Che all’atto pratico non cambia le conseguenze.

Un master può e deve dirti di no se fa parte del suo compito nel gioco. Non significa che sia custode ultimo della verità e non garantisce che non si verifichino comunque le eventualità di cui ho parlato.

Anziché ingegnarsi in ogni modo a prevenirle, e vederle, quando si verificano, come un qualche fallimento nostro o del sistema (es. oh, no, il sistema si è rotto; oh, no, il gruppo si è rotto), io propongo di accettare semplicemente che possono verificarsi, e predisporsi ad affrontarle in modo costruttivo.

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Ma perché fair play?

Secondo me @Bille_Boo ha inquadrato la questione qui.

La domanda è: perché farsi questa domanda. Ma anche, perché inquadrare in termini di fair play, cioè “giocare onesto”? Chi sta giocando in maniera disonesta?

A mio parere questa è tutta una sindrome derivata dalle esperienze negative con “cattivi GM” o gruppi dove ci sono lotte di potere per il controllo del gioco. Da lì l’idea che se le persone sono lasciate libere di agire faranno di tutto per controllare il gioco al meglio che possono[1].

Tuttavia non è che non ci siano vincoli. Come ho detto più volte, specialmente nel thread delle autorità: una parte importante del concetto di autorità non è l’imporre cose agli altri, ma il fatto che il contenuto introdotto autorevolmente deve essere ascoltato e reintegrato dagli altri, e a nostra volta dobbiamo ascoltare e reintegrare il contenuto introdotto autorevolmente dagli altri. Non esistono autorità svincolate.

Lo chiami fair play questo? Io lo chiamo solo giocare. Penso che descrivere un gioco in negativo perche non protegge bene da chi non vuole giocare ascoltando e reintegrando gli altri sia un’atto completamente futile. Io con le persone che fanno quelle cose lì non ci gioco e basta. I giochi li valuto per quello che mi danno quando li sto giocando per davvero, onestamente e con gli altri. Se tutto quello che ferma qualcuno dal non giocare onestamente con gli altri sono numeri sulla scheda del personaggio, ho paura che non stia giocando onestamente nemmeno con quei numeri.

Dimenticanze

Vorrei anche intervenire contro chi ha parlato di “eh ma io delle cose me le dimentico”. Ci sono due cose che rendono le cose permanenti:

  • Le Storie dei Personaggi vanno riaggiornate a ogni sessione. È importante. Le cose scritte nelle storie dei personaggi riflettono lo svolgersi della storia nelle sessioni passate.

  • Qualcuno forse vi impedisce di annotarvi le cose da GM? Cioè, se non c’è una meccanica che ve lo faccia fare, voi vi girate i pollici? Ma negli altri giochi di ruolo, cosa fate esattamente? Se vi dimenticate le cose, è colpa del gioco?

Cioè, mi sembra un commento difficile da prendere sul serio. E lo dico da persona clinicamente prone alle dimenticanze.

The Pool e serie lunghe

@Matteo_Sciutteri a mio parere sbagli grosso sui tuoi commenti su The Pool. Il necessitare meccaniche per ricordarti le cose è una tua limitazione. Non vuol dire che tali meccaniche non servano, o che non abbiano effetti positivi, ma ti assicuro che si possono giocare serie lunghe anche con The Pool, e che non sia particolarmente più difficile.


  1. Chiaro che non va presa come soluzione nemmeno l’opposto—ci mettiamo tutti d’accordo fin quando non c’e più nulla da giocare. ↩︎

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3 messaggi sono stati uniti a un argomento esistente: Scopo di un sistema di gioco: mantenere la premessa condivisa

Non credo che sia inutile farsi queste domande. Al contrario, se al tavolo, subito dopo la giocata, questo tema di discussione esce credo sia giusto parlarne. D’altro canto anche qui ha stimolato una discussione interessante. C’è molta concretezza in questo; è tutt’altro che teoria.

Il termine Fair play è stato introdotto da un mio amico giocatore, appunto come commento di pancia al gioco: “bello, gira bene, ma serve tanto Fair play …”. E la discussione nasceva proprio perché secondo me non serve affatto Fair play…ma la semplice accettazione che basta giocare, secondo le premesse, per evitare automaticamente forzature.
Ne ho parlato diffusamente sopra. Non si tratta di giocare in maniera “disonestà”.

Mi piace molto la chiosa di @Bille_Boo . È summa di buon senso e gioco maturo. È come tento io di impostare le cose con chi non è abituato.
Ciò non toglie che è un punto di arrivo, non un punto di partenza. E finché non ci si arriva, al tavolo, assieme, alla comprensione di tutto questo, il tema resta comunque aperto.

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Ciao @DavideD, forse mi sono espresso male. Non stavo contestando i tuoi interventi né l’utilità del thread. Erano delle forme forse un po’ retoriche per approfondire, ma sono fondamentalmente d’accordo con te.

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