Ciao @Paul_T, grazie delle domande e della pazienza nell’aspettare la risposta.
Il modo in cui ho sviluppato questo principio è stato abbastanza organico, con la mia prima campagna di Dungeon World (quella descritta nel post che citi).
Una delle prime cose che mi aveva colpito di Dungeon World era l’asimmetria nelle regole tra GM/NPC e giocatori. Non avevo ancora giocato a un gioco così asimmetrico nelle regole, fino a quel momento il gioco più “strano” che avevo giocato era stato Dogs in the Vineyard, e giocavo in maniera piuttosto attiva D&D 4a Edizione.
Nel costruire il mio modello mentale di come dovesse funzionare tutto ciò, una cosa che mi era chiara in maniera intuitiva era che non potevo ridurre tutte le decisioni a un fiat da parte del GM. C’era una necessità forte di rendere le cose eque, in maniera che fosse chiaro al giocatore cosa rischiava se decideva di andare avanti con una mossa. La mia interpretazione del capitolo del GM portò a queste due realizzazioni, che ora spiego in maniera formalizzata ma che al tempo erano più una cosa intuitiva e subsonscia.
- La conseguenza del fallimento, a volte semplicemente nella testa del GM e a volte esplicitamente ad alta voce, devono essere chiarificate prima di gettare i dadi. Non devo arrivare al punto che me le invento a caso.
- La quantità di “strati” – ciascuno corrispondente a un’unità di ‘successo’ simile a un 10+ – necessari a superare un ostacolo deve essere in qualche maniera prestabilita e non manipolata al volo nel mentre. Questo lo chiamo “Il metodo della cipolla”.
Noterai che questi due principi hanno una somiglianza superficiale con la “fase equa e trasparente” di Trollbabe, anche se al tempo non ci avevo ancora giocato.
Un’estensione del primo principio è che, avendo come GM solo possibilità limitate di fare del male ai giocatori, le conseguenze per i fallimenti devono essere dure. Non posso mettermi a decidere al volo se rispondere con una mossa morbida o dura in base alla situazione – non è giusto per loro, non costruisce un buon modello di cause e conseguenze, e non è giusto per me, perché non dovrei mettermi a giudcare in quel momento quanto si meritano di essere puniti.
La mia risposta è che la mossa sul fallimento deve sempre essere dura, e che va sempre fatta con la massima conseguenza che abbia senso accada in quel contesto, senza infierire in maniera esagerata. Questo l’ho soprannominato “mossa dura, senza paura”. Non penso di essere l’unico ad avere scoperto questo principio, perché John Harper lo presenta in Blades in the Dark come “Don’t pull your punches”.
Insomma, nella visione da GM del modello mentale di un’avventura di Dungeon World, c’è una specie di mare di “cipolle” associate con ciascun Fronte, ciascuna con un numero di strati pericolosi, con le quali i giocatori possono scegliere di interagire a loro rischio. Ogni volta che ci provano, e falliscono, vanno incontro a conseguenze reali e potenzialmente mortali.
Penso che questo alla fine sia lo spirito del gioco. Se non inneschi Ultimo Respiro nemmeno una volta o non ci arrivi vicino non saprai mai perché il tuo personaggio davvero va all’avventura. Questo gioco è un gioco di pericoli, che siano pericoli veri e non finti.
Riguardo la mossa in sé, non ci trovo problemi particolari. Le probabilità di ciascun esito sono adeguate: senza la possibilità di morire non vuol dire niente, il 7-9 è il risultato più interessante dunque è giusto che sia molto probabile, e una piccola possibilità di scamparla va bene.
English Translated Version
Hi @Paul_T, thanks for the questions and patience in waiting for a response.
The way I developed this principle was quite organic, with my first Dungeon World campaign (the one described in the post you quoted).
One of the first things that struck me about Dungeon World was the asymmetry in the rules between GM/NPC and players. I had yet to play a game that was so asymmetrical in rules, up until that point the “weirdest” game I had played had been Dogs in the Vineyard, and I was playing D&D 4th Edition quite actively.
In building my mental model of how this should work, one thing that was intuitively clear to me was that I couldn’t reduce all decisions to GM fiat. There was a strong need to make things fair, in a way that made it clear to the player what they were risking if they decided to go through with a move. My interpretation of the GM chapter led to these two realizations, which I now explain in a formal way but which at the time were more of an intuitive, subconscious thing.
- The consequences of failure, sometimes simply in the GM’s head and sometimes said out loud, must be clarified before the dice are rolled. I shouldn’t get to the point where I’m just making them up on the spot.
- The amount of “layers” – each corresponding to a unit of ‘success’ similar to a 10+ – needed to overcome an obstacle must be somewhat predetermined and not manipulated on the fly during the process. I call this “The Onion Method”.
You’ll notice that these two principles bear a superficial resemblance to Trollbabe’s “fair and clear stage”, although I hadn’t played it at the time.
An extension of the first principle is that since I have only limited opportunities as GM to hurt players, the consequences for failure must be harsh. I can’t decide on the fly whether to respond with a soft or hard move based on the situation – it’s not fair to them, it doesn’t build a good model of cause and effect, and it’s not fair to me, because I shouldn’t attempt to judge at that moment how much they deserve to be punished.
My answer is that the move on failure should always be hard, and that it should always be done with the maximum consequence that makes sense to happen in that context, without overkill. I’ve dubbed this “don’t fear the hard move”. I don’t think I’m the only one who has discovered this principle, as John Harper presents it in Blades in the Dark as “Don’t pull your punches”.
In short, in the GM’s vision of the mental model of a Dungeon World adventure, there is a kind of sea of “onions” associated with each Front, each with a number of dangerous layers, which players can choose to interact with at their own risk. Every time they try, and fail, they face real and potentially deadly consequences.
I think that’s ultimately the spirit of the game. If you don’t trigger Last Breath even once or come close, you’ll never know why your character really goes on adventuring. This game is a game of danger, let it be real and not fake danger.
Regarding the move itself, I don’t find any particular problems with it. The probabilities of each outcome are adequate: without the possibility of dying it would mean nothing, 7-9 is the most interesting outcome so it’s fair that it’s very likely, and a small chance of escaping death is fine.