Questa è una traduzione di un post fatto da me su Adept Play.
Ho giocato a “Root: un Gioco di Potere e Giustizia nei Boschi”, un gioco asimmetrico deliziosamente brutale su simpatiche creature del bosco in guerra tra loro. No, non il PbtA pubblicato da Magpie Games. Mi riferisco a quello che attualmente viene commercializzato come gioco da tavolo, ma che ho iniziato a pensare sempre più come un gioco di ruolo.
Primo: il contenuto narrativo è incredibilmente ricco di carattere e potenzialità, pur essendo radicato nella realtà. Ci sono quattro fazioni nel gioco base, con altre sei nelle scatole di espansione, e ognuna di esse ha una chiara filosofia politica e una composizione “etnica”, rappresentata dalle regole asimmetriche della fazione e dalla sue specie animale. Abbiamo gatti industriali-capitalisti, uccelli aristocratici, topi terroristi rivoluzionari, lontre mercenarie, lucertole fanatiche religiose, ratti saccheggiatori. Anche gli omini di legno (vedi immagine) sono meravigliosamente evocativi, ma abbastanza semplici da permettere ai giocatori di immaginare i dettagli.
Il potere dell’usare animali carini per le fazioni è che ci danno la licenza di assumere comportamenti brutali, identitari e tribali – cioè quello che si fa in guerra – senza doverci confrontare a prima vista con le implicazioni morali di tali comportamenti. Alla fine lo abbiamo fatto, ma solo dopo averci riflettuto. Non posso confermarlo, ma ho sentito dire che le fazioni potrebbero essere ispirate a un qualche conflitto reale, come la guerra sovietico-afghana, e avrebbe senso visto che il creatore è uno storico.
Secondo: dopo aver giocato molte partite, ho iniziato a identificare Root come un generatore di storie piuttosto che un wargame. Il sistema è abbastanza caotico che una piccola decisione può avere un grande effetto nei turni successivi, in modi che sono difficili da prevedere o pianificare, ma che sono sicuramente identificabili come una conseguenza delle scelte del giocatore. Le varie fazioni interagiscono in modo diverso a seconda di come vengono giocate e di quali sono presenti in una determinata partita. Cerco costantemente di vincere, ma non gioco per vincere: la soddisfazione sta nel vedere come va a finire. Ogni turno è una scelta che dice qualcosa sulla fazione, sui suoi valori e sulle relazioni che si stanno sviluppando con le altre fazioni.
Questo a me sembra molto più simile a un gioco di ruolo del noioso PbtA “ufficiale” basato su Root. Sì, i “personaggi” non sono individui, ma le varie fazioni sono i personaggi. Quando si riflette dopo aver giocato, si pensa a “le aquile stavano per reclamare la loro terra ancestrale, ma il loro governo è crollato e l’Alleanza dei Boschi si è sollevata per liberare gli oppressi”, oppure “le lontre hanno messo ogni fazione l’una contro l’altra, avendo infine nel taschino ogni angolo del bosco”. Credo che il momento che ha consolidato questo aspetto per me sia stato quando ho visto i giocatori impegnarsi naturalmente con la storia in divenire al tavolo, facendo scelte non basate sulle condizioni di vittoria, ma sui rancori reali e sulle relazioni con le altre fazioni sviluppate al tavolo.
È un gioco adorabile che continua a sorprendermi ogni volta che lo gioco.