La risoluzione
Allora, appena posso mi vado a studiare bene IIEE perché non mi è troppo familiare e non vorrei dire cavolate. Direi che intanto posso presentarti la procedura che ho seguito, senza ancora pensare alle fasi. Siccome voglio proprio farmi odiare da te () userò un diagramma.
Note a margine:
- Visto che parliamo di D&D e affini questo processo si innesca per ogni singola azione “atomica”, non per macro-cose che riguardano un’intera scena (il sistema è a risoluzione di azioni e non di conflitti).
- La domanda chiave “è chiaro cosa vuol fare e come?” va intesa sia come “è chiaro a me”, sia come “è chiaro al giocatore (secondo me)”; è la domanda che porta, se necessario, a domande chiarificatrici come “cosa vorresti ottenere?”, “come lo fai?” eccetera.
- Lo scopo è il motivo immediato dell’azione, quello che il PG vuole realizzare con quell’azione qui e ora. L’approccio è il modo in cui vuole arrivarci. Mezzi e circostanze possono essere cose come oggetti, elementi dello scenario, altre informazioni a cui fare appello e così via.
Circa il modo in cui davo un ordine alle dichiarazioni dei diversi giocatori rimanderei a quest’altro thread della Locanda dove credo di averlo spiegato meglio.
La tentazione
Grazie di avermi portato a riflettere di più su questo punto, importante benché spiacevole. Si va un po’ a rasentare la psicologia (tema in cui non sono competente), oltre che il GdR.
Credo che la risposta che più ci aspettiamo sia che la causa della tentazione fosse la volontà o il desiderio di realizzare una “bella storia” o una “storia migliore”. Ora, ci ho riflettuto, e secondo me questa parte esiste ma è minoritaria (almeno, lo è stata nel mio caso).
Dettagli:
Sia chiaro che è la spiegazione che io stesso tenderei a dare per scontata se dovessi giudicare d’impulso senza pensarci.
Senz’altro esiste una corrente di pensiero nell’ambito dei giochi che ha creato l’aspettativa che il master sia (e debba sentirsi) responsabile della “bellezza” e “qualità” della storia - intesa in senso narrativo: il prodotto diegetico del gioco, e scusatemi se non mi spiego bene. Ci sono passato da ragazzino, anche se parzialmente. Talvolta tuttora mi imbatto in giocatori (o master) che hanno questa aspettativa.
Credo, però, che questo pensiero mi abbia influenzato molto poco. La visione del gioco che ho maturato è parecchio diversa e, anzi, mi è capitato di battermi con una certa veemenza contro la concezione di D&D come “narrazione collettiva” e affini. Tra l’altro, non solo disinvestirmi di responsabilità rispetto al prodotto narrativo del gioco è rilassante, ma ho notato che spesso tende, paradossalmente, a generare un “prodotto narrativo” migliore.
Penso invece che il motivo predominante sia stato il mio perfezionismo e la mia paura di sbagliare. Il timore che un difetto dello scenario avrebbe portato i giocatori a ritenermi sleale o incompetente.
Dettagli:
Non è una sensazione specifica della natura investigativa di questa giocata: la sento anche nel D&D più avventuroso e più di azione. Lì prende la forma della paura di lamentele come “questo incontro era troppo difficile!”, o “questa trappola non si poteva trovare!”; non è diverso.
Probabilmente è proprio di quello che, mi è parso di capire, viene chiamato il proposito “sfida” del gioco: nel momento in cui la “sfida” è definita dal master, il master tende a sentirsi responsabile se questa si rivela molto più difficile del previsto non per sfortuna o per colpa dei giocatori, ma perché lui ha fatto un errore nel progettarla.
Mi è capitata una sensazione analoga, ad esempio, quando dei giocatori esplorando un dungeon hanno iniziato a farsi domande del tipo “ma i creatori del dungeon come facevano a…?”, rivelando di aver notato un’incoerenza costruttiva fondamentale nella sua struttura. Anche lì, modificare il dungeon inserendo a posteriori la risposta alle loro domande non sarebbe stato corretto, però mi sono sentito in colpa.
Forse, in effetti, l’alto affidamento dell’OSR su dadi e generatori casuali è un modo per alleviare questo secondo tipo di senso di responsabilità? Ci ho pensato adesso. Non mi convince troppo, però.