[Ad Ventura] - resoconto di un playtest

Omaggi astanti,

sono lieto di comunicarvi che si è conclusa la prima sessione di playtest di un gioco di ruolo su cui sto lavorando da diversi anni. Il suo nome è Ad Ventura.

Il gioco nasce come personalissimo hack di dungeon world, del quale conserva ancora la “struttura” (da pbta), ma ne prende le distanze per l’assenza delle “mosse”. Ho maturato la decisione – sofferta – di eliminarle quando ho cominciato ad apprezzare sistemi un po’ più leggeri (ispirandomi a world of dungeons).

Che ci crediate oppure no, tutte le eventuali somiglianze con BitD non sono volute, probabilmente frutto di un fenomeno che possiamo chiamare “convergenza”.

Premessa

per molto tempo mi sono scervellato per creare uno “starter” – cioè una piccola ambientazione iniziale da cui far partire l’avventura – con personaggi preconfezionati da interpretare liberamente; ma nulla mi convinceva davvero.

La mia idea era di far incontrare “per caso” i personaggi “all’entrata del dungeon” e fare in modo che collaborassero in modo che ognuno potesse portare a termine un obiettivo personale.

Il problema stava tutto lì, nella collaborazione. Qualunque stratagemma narrativo mi inventassi, nulla sarebbe stato sufficientemente forte per costringerli davvero ad aiutarsi l’un l’altro.

(Che poi, diciamola tutta, giocare per scoprire se davvero si tradiranno invece di collaborare sarebbe comunque un modo interessante di affrontare il gioco; tuttavia non era quello che volevo).

Alla fine ho avuto una folgorazione, piuttosto banale in realtà: i personaggi sono già degli avventurieri, dei mercenari, che accettano incarichi d’ogni tipo per sbarcare il lunario.

Devono piacersi? No! Sono amici? Forse. Che si siano appena incontrati o che si conoscano da anni, saranno loro a sceglierlo.

Così, invece di imbastire l’incipit di un’avventura “forte” per costringerli a collaborare, ho creato tanti piccoli incarichi, “mini avventure”, molto più facili da gestire.

Così facendo, tra un incarico e l’altro, i giocatori possono rifiatare, tornare alla taverna, avere un gioco autonomo e non per forza in gruppo. Li “obbligo” a collaborare solo al fine di ottenere denaro e reputazione. Premessa diegetica forte.

Inoltre, prendo tempo, poiché preconfezionare una decina di incarichi mi permette di pensare, durante le sessioni, al quadro generale, ai “nemici che si muovono nell’ombra” (creati e delineati grazie a ciò che mi avranno detto i giocatori durante la sessione).

Infine, uso gli incarichi come grande preludio all’ipotetica avventura che verrà. Se si invischieranno in un situazioni più grandi di loro, se abbandoneranno la città per gettare nel monte Fato l’unico anello, che sia.

I Dadi

Benché all’inizio apprezzassi molto il sistema di DW di tirare due dadi e di sommare i risultati (per la distribuzione degli esiti attorno a un valore medio più probabile), per un fatto meramente estetico desideravo un colpo d’occhio più immediato.

Allora ho pensato di tirare un solo dado, la cui taglia però variava secondo il “grado” della capacità sfruttata (sono sempre stato fan dei dadi poliedrici). Tuttavia in questo modo la distribuzione degli esiti non mi piaceva (a livelli infimi, era impossibile avere successo, a livelli alti, era impossibile ottenere un fallimento).

Non mi convinceva nemmeno tirare tanti dadi e tenere il risultato migliore; anche in questo caso il colpo d’occhio veniva un po’ meno. Finché non mi sono accorto di avere dei dadi esteticamente perfetti: a sei facce, numerati dall’1 al 5, mentre al posto del 6 c’è una stella!

Il colpo d’occhio era fatto! Una stella significava successo, più stelle, ancora meglio!

Da lì è andato tutto in discesa.

Resoconto

Ci sediamo al tavolo in quattro. Mai giocato con alcuno di loro. Due addirittura perfetti sconosciuti. Digiuni di gdr più o meno tutti.

Spiego che la situazione è piuttosto “classica”: un gruppo di avventurieri che si conoscono e che accettano incarichi per lavoro, alla ricerca di ricchezza, fama o gloria.

Metto sul tavolo la mappa della regione (la Costa dei Pugnali) e quella della città di Numisgrana (dove si svolgeranno i primi incarichi).

Faccio scegliere il personaggio (tra mago, guerriero, ladro, ramingo e chierico). Su ogni scheda c’è da selezionare un background prefatto, compreso di indole e bonus alle capacità.

(Ho capito col tempo che, all’inizio, è meglio dare poca libertà di personalizzazione, le scelte non sarebbero comunque ponderate, data la non conoscenza del sistema).

Emergono: ladro (tombarolo), ramingo (figlio delle bestie) e chierico (seguace di Sol).

Personaggi

Invito tutti a leggere ad alta voce il proprio background e i legami (anche questi già determinati) presenti sulla scheda.

Ricordo loro che non devono esitare a farmi domande e che il mio compito non è fregarli.

Voglio spiegare le regole alla bisogna, durante il gioco giocato, pertanto li invito a scegliere un incarico e a lanciarsi all’avventura.

“Siete alla locanda il Basilisco” dico, “nel quartiere di Fuoriporta, e state discutendo se accettare o meno l’incarico che…”

incarico

Proseguo con una provocazione: “… tu, ladro, hai rimediato; in che modo ne sei venuto a conoscenza?”.

Il giocatore non si tira indietro e comincia a spiegare che il ladro ha dei contatti con i mercanti del porto e che spesso si è trovato a svolgere per loro alcuni lavori poco legali.

Non volevo tergiversare oltre, pertanto dichiaro che grazie alla rete di contatti criminali del ladro sanno già dove si troverebbe la merce rubata: una casupola nei Bassifondi (altro quartiere di Numisgrana, non lontano da Fuoriporta).

Proseguo le provocazioni: “ti è stato detto in che cosa è contenuta la merce? Casse? Sacchi?”.

Il ladro risponde senza indugio: piccolo forziere. Non avrei potuto chiedere di meglio. So dove collocarlo e ho una vaga idea di cosa metterci dentro.

Ok, ho tutto ciò che mi serve, si comincia.

Disegno la piantina di una casupola in un vicolo dei Bassifondi, scarsamente illuminato. Davanti alla porta c’è un losco figuro che sembra palesemente un buttafuori. Chiedo: “che cosa fate?”.

Il chierico avanza e “ordina” al tizio di farsi da parte.

In quel momento perdo l’occasione di chiedere al giocatore con quale “autorità” si sia presentato e soprattutto perché pensava che un semplice ordine da parte sua avrebbe potuto funzionare. Dichiaro invero che il suo approccio non procura l’effetto sperato (senza scomodare alcun tiro) e il buttafuori li intima di allontanarsi.

Il gruppo si ritira e pensa al da farsi, lontano da sguardi indiscreti. Sono restii a un assalto diretto, sono sospettosi. Mi chiedono dettagli sulla casupola, sul perimetro, sulle vie d’accesso. Interessante, penso.

Metto quattro finestre oscurate al piano terra, serrate; infine aggiungo una piccola finestrella al primo piano – che dà su un vicolo deserto laterale – raggiungibile da un modesto scalatore e varcabile da un uomo mingherlino.

Il tutto “settato” per dare un’occasione al ladro del gruppo (già dichiarato in fase di costruzione del personaggio che fosse agile e di bassa statura).

Non mangiano la foglia, non si fidano. Io ovviamente non insisto, sono curioso di scoprire cosa s’inventeranno.

A posteriori ho perso l’opportunità di concedere al ramingo qualche sfida su misura (per la prossima sessione mi sono già appuntato di far leva sulla sua mira infallibile e sul compagno animale).

Il chierico mi chiede se sente la presenza del “male”. Rispondo di no. Non voglio far affrontare loro già non-morti o demoni.

Alla fine decidono di passare per la porta principale e di attirare il buttafuori nel vicolo, in modo da sopraffarlo con facilità.

Escogitano una sorta di diversivo: chierico e ramingo fanno finta di essere degli ubriaconi chiassosi, mentre il ladro si nasconde nell’ombra.

Interessante , penso. Ora sta a me decidere se il buttafuori è abbastanza scaltro da non cadere nel tranello oppure sostanzialmente un beota che lascia il suo posto di guardia per qualche schiamazzo.

Non voglio prendermi tale responsabilità. Lo dico apertamente al tavolo e illustro la “meccanica” del tiro qualità.

Tiro Qualità

Prendo tre dadi e dico: se il risultato più alto è 1-3, allora non cadrà nel tranello, viceversa se è un 6, il vostro piano avrà successo.

Ho scelto una riserva di tre dadi perché, tutto sommato, ho proprio l’impressione che il buttafuori possa essere uno zoticone non molto sveglio.

Conscio del fatto che ogni tiro qualità determina la realtà, qualunque cosa succeda, da quel momento in poi dovrò interpretare quel buttafuori secondo quanto stabilito dai dadi.

Tiro: doppio 6!

Wow, esclamo tra me. Che cosa c’è di meglio di cadere in un tranello? Mi domando.

Idea: il buttafuori non lascia la sua postazione perché si è addormentato (dopotutto è notte fonda).

I ragazzi paiono sorpresi quanto me, ma ora hanno l’opportunità di entrare, almeno.

(Pensano a lungo sull’uccidere la guardia per evitare problemi futuri, poi desistono. Troppo vile anche per una canaglia come il ladro).

La porta però è chiusa… a chiave, rivelo sfregandomi le mani (altra opportunità per uno scassinatore, ora non possono tirarsi indietro).

Nessuno avanza l’ipotesi di cercare nelle tasche del buttafuori. Io non lo suggerisco.

Il ladro guarda la scheda, gli arnesi da scasso ci sono. Me ne occupo io, dice.

Finalmente un tiro sfida, penso. Illustro la procedura, il giocatore apprezza.

Tiro Sfida

Lo scopo del tiro non è semplicemente scassinare la serratura, è farlo in silenzio, senza svegliare il buttafuori.

Al momento della creazione della riserva di dadi, delusione. Il personaggio ha solo 1 in tecnica (la capacità che serve, tra le altre cose, per interagire con congegni complessi).

A questo punto illustro la “meccanica” di cui vado più fiero: alzare la posta.

Alzare la Posta

Al giocatore pare tutto molto sensato, tentenna sullo scegliere la “complicazione” da aggiungere alle conseguenze già messe sul piatto.

Lo tolgo dall’impasse: la cosa più comune, in questi casi, è rompere un grimaldello. Accetta.

Arraffa due dadi e tira: 4! (successo parziale).

Sfrutta la meccanica di alzare la posta, marca uno spreco sugli arnesi da scasso e trasforma il 4|5 in un 6.

La porta si apre, senza fare alcun rumore. Sono dentro.

Non penso nemmeno per un secondo di piazzare delle trappole all’interno della casupola. Poco credibile.

Il lungo corridoio centrale è illuminato da fioche candele e dà su una rampa di scale per il piano di sopra. A sinistra e a destra, invece, ci sono due porte.

La prima non è chiusa a chiave e si apre su una stanza che sembra un magazzino. Dopo un attimo di circospezione, il gruppo decide di non perdere tempo. Non c’è traccia del forziere. Approvo.

La seconda porta invece è chiusa a chiave. Aggiungo questa complicazione per prendere tempo. Sto pensando a cosa metterci dall’altra parte.

Nella mia preparazione, il forziere si trova al piano di sopra, centro operativo della banda criminale che l’ha rubato.

Mentre il ladro prende due dadi (ancora pronto ad alzare la posta per aumentare le probabilità di successo), lo fermo.

Anche stavolta il tiro non è per riuscire a scassinare la serratura, bensì per verificare se sia possibile farlo senza attirare attenzioni indesiderate. Lo preciso.

Penso velocemente alle conseguenze. Se non dovesse farcela, mi dico, la stanza potrebbe essere gremita di criminali, la porta potrebbe avere un sistema antiscasso, la guardia all’ingresso potrebbe svegliarsi oppure qualcuno al piano di sopra potrebbe accorgersi degli intrusi.

Tira: 6!

Mastro scassinatore, esclamo.

La porta si apre silenziosamente, di una spanna. Per quel poco che è possibile vedere, si scorgono delle gabbie contenenti degli animali, quieti e vigili.

Vi spiego la scelta: non ho reputato corretto mettere nella stanza qualche pericolo “in agguato”, non dopo il successo nel tiro. Così ho preferito dare un’opportunità specifica al ramingo (ha come indole: aiuta uno spirito o una creatura naturale). Deciderà di rimandare l’incarico per salvare degli animali?

Il gruppo non si addentra nella stanza, non si fida; non apre nemmeno tutta la porta. La discussione tra i giocatori non dura molto. Tutti concordano nel non perdere altro tempo. Tocca salire al piano di sopra.

Si avvicinano alle scale e mi guardano, aspettando che dia loro qualche informazione.

L’esatto innesco di una mossa morbida (se stessimo giocando a dungeon world).

Sentite del vociare, dico. Qualcuno sta discutendo al piano di sopra, animatamente. (Mostra i segni di una minaccia).

“Quanti sono?” Mi chiedono. “Possiamo individuarne il numero dalle voci?”

Perché no, dico tra me.

E qui ho due possibilità:

  • determinare il numero di persone e rivelarlo, senza tirare in ballo alcun dado, perché dopotutto i personaggi sono avventurieri esperti che sanno distinguere voci sovrapposte.

  • chiedere un tiro sfida, ma la cosa non mi convince del tutto; quale sarebbe l’ostacolo che impedisce ai personaggi di raggiungere il loro obiettivo? Certo, rischiano di essere scoperti da un momento all’altro, ma oggettivamente stanno in silenzio ad ascoltare, non c’è una vera e propria azione che li espone maggiormente al pericolo.

Alla fine decido per una terza via: un tiro qualità.

Decido di tirare due dadi. Come vogliono le regole, sono trasparente e dichiaro: se esce 6, distinguerete le voci di due persone, con un 1-3, invece, saranno quattro.

Tiro: doppio 6!

Corpo di bacco! Rivedo tutto ciò che avevo prospettato.

Nella mia idea, al piano di sopra c’era la banda (se non al completo, quasi) che confabulava sul prossimo colpo. Il doppio 6 mi costringe a ridurre i membri, ma meno di due è impossibile (con chi parlava il capo? Con se stesso? Ho già dichiarato che si sentivano voci diverse, non posso cambiare ciò che ho già portato in scena).

Idea!

Dico: mentre siete lì che tentate di scoprire quanti sono, sentite una voce che si avvicina e poi qualche passo per le scale. Qualcuno sta scendendo e ha appena finito di dire: “a queste condizioni io non ci sto, me ne vado!”.

I “criminali” di sopra erano sì due, ma uno di questi sta lasciando il covo, aprendo a nuovi scenari. Due piccioni con una fava!

I personaggi si nascondono in fretta: due dietro una porta, uno dietro l’altra, armi in pugno, pronti a scattare in caso di pericolo.

Mentre il tizio si avvicina, discutono sul colpirlo alle spalle o sul lasciarlo andare.

Temono che, arrivato alla porta, svegli la guardia addormentata.

Io lo descrivo come ben vestito e raffinato, in contrasto con l’ambiente un po’ sporco e trasandato di quella casupola nei Bassifondi.

Con la frase sentita prima di scendere e con questa descrizione li informo che, probabilmente, a questo tizio non frega granché del buttafuori addormentato.

Desistono dall’attaccarlo. Attendono col fiato sospeso.

Io racconto che il tizio esce, scuote la testa vedendo la guardia addormentata e se ne va.

(Svegliare il buttafuori sarebbe stata una mossa dura da parte mia, e per concedermela avrebbero dovuto ignorare un mio avvertimento precedente; cosa che non hanno fatto).

Scampato il pericolo, tutti saltano fuori e sono pronti a salire.

Dico: appena il primo di voi mette piede sul primo gradino, scricchiola!

Si bloccano. Non possono contare su un effetto sorpresa. Addio furtività.

Discutono a lungo. Il ladro vuole far ricorso a delle bombe fumogene, ma gli altri frenano il suo entusiasmo.

Alla fine scelgono di salire velocemente, armi in pugno; come va va.

Complice anche il fatto che la serata fosse ormai quasi finita, non aggiungo alcun altra persona nella stanza (magari rimasta in silenzio durante la discussione precedente) e si trovano al cospetto di un uomo, solo.

È di spalle. Li ha sentiti salire, ma crede sia il suo “cliente” che è tornato sui suoi passi.

Quando si volta e vede il ladro, il ramingo e il chierico, sbotta: “e voi chi c…o siete?”

Il ladro prende parola subito. Lo intima di dargli il forziere, quello rubato a messer Auditore.

Colloco la refurtiva sul tavolo lì accanto.

L’uomo è da solo, al cospetto di tre tizi armati di tutto punto; alza le mani e si arrende. Vuole salva la vita. Non ha assi nella manica, non si aspettava questo agguato.

Il ramingo si fa avanti e gli chiede: “che cosa ci fai con gli animali nelle gabbie?”.

“Non sono affari vostri” risponde. “Avete ottenuto ciò che cercavate, andatevene!”

Il ramingo non ci sta.

“Andiamocene” lo incalza il ladro.

Il ramingo tira fuori un coltello, si avvicina e minaccia l’uomo. “Che cosa ci fai con quegli animali?”

Fico, penso. (Il giocatore del ramingo era un habitué di dnd, ai tempi, e mi aspettavo che parlasse e si approcciasse al gioco con le tipiche “contratture” dndiane, come ‘faccio una prova di persuasione’ o cose del genere, ma invece è sempre partito dalla fiction, e anche in questo caso non ha semplicemente detto “lo minaccio”, no, ha fatto vedere la sua minaccia, bravo!).

Interpreto il criminale onestamente. Non occorre alcun tiro per scucirgli informazioni; dopotutto è alla sua mercé. Rivela che con il contrabbando di animali esotici si arrotonda che è un piacere.

Gli basta. Ora è giunto proprio il momento di andare.

Lo legano e lo imbavagliano. Prendono il forziere e si dileguano velocemente.

Il ramingo, prima di andare, entra nella stanza delle gabbie e le apre tutte; apre anche la finestra, concede alle creature una via d’uscita.

Tutto sembrava finito, ma il ladro ha un ultimo sussulto. Sta a lui riportare il maltolto al committente. Vuole vedere che cosa contiene e magari rivenderne il contenuto.

Lo metto in guardia sul disattendere la “promessa” fatta accettando l’incarico. La reputazione è tutto per un avventuriero.

Guarda la sua scheda e pensa al da farsi. La sua indole è: arricchisciti a spese di altri. Vuole seguirla, ma desiste.

Dice: “Guardo cosa c’è dentro e poi lo richiudo”.

“D’accordo” dico io. “Un mastro scassinatore come te sarebbe in grado di non compromettere la serratura del forziere e di coprire le sue tracce; lo apri”.

Dichiaro che dentro c’è della sabbia rossa, cangiante.

Il forziere viene quindi riconsegnato e la ricompensa ottenuta: 3 monete e +1 reputazione.

Tutti tornano alla locanda e fine sessione.

Sulla scheda marchiamo eventuali avanzamenti.

Il ladro ha agito con furtività, tutti concordano.

Il ramingo ha aiutato delle creature naturali, nessuno lo può negare.

Il chierico non ha ottenuto esperienze.

Me ne rammarico, lo dico apertamente. Rimedierò la prossima volta.

Considerazioni

Il sistema mi è piaciuto, ha retto bene, ha coperto ogni momento con estrema efficacia.

Il modus operandi dei giocatori mi ha piacevolmente sorpreso. Hanno approcciato il tutto come un Old School, evitando come la peste ogni combattimento.

Complici anche dei tiri di dado assurdi, io ho “assecondato” questa loro tendenza a non voler spargimenti di sangue. Se dovesse capitare ancora, lo farò diventare il loro marchio di fabbrica. Lavori puliti e precisi.

Tutti i partecipanti hanno giocato benissimo, interpretando “correttamente” il loro personaggio. Ho avuto l’impressione che si fossero ben calati nelle rispettive controparti. Soprattutto l’indole mi sembra sia stata considerata come una sorta di “bussola”. Ciò che volevo ottenere.

Per la prossima sessione.

Farò più domande sui personaggi, sul loro passato e su ciò che li lega gli uni agli altri. Devo giocare con queste informazioni sott’occhio, altrimenti me le dimentico.

Ci soffermeremo di più sulla scelta dell’equipaggiamento prima dell’incarico, è una parte del gioco che abbiamo saltato per mancanza di tempo.

Non abbiamo parlato dell’ambientazione né di opere che potrebbero rappresentarla a dovere. Rimedierò.

Così come non abbiamo parlato di tematiche da affrontare e di tono della campagna.

Da questa sessione sono emerse le seguenti domande:

  • che cos’è la polvere rossa contenuta nel forziere?

  • c’è davvero un commercio su larga scala di animali esotici? (chiederò al ramingo se vorrà indagare in merito).

  • che cosa ci faceva quell’aristocratico nei bassifondi?

Pertanto ora dovrò dare un nome ai png apparsi nella prima sessione, potrebbero trasformarsi in personaggi ricorrenti, vedremo.

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Che belli quei token! Come hai fatto a farli?

Purtroppo non sono farina del mio sacco, li ho comprati su Etsy. Che tra l’altro, con tutte le tasse doganali, sono costati una fraccata! Ti confesso che sono molto comodi.

2 apprezzamenti

Non vedendo tutto il sistema, ovviamente parlo basandomi su questo.

Ci sono davvero tantissimi sistemi (tradizionali e neo-tradizionali, se mi concedi il termine) che usano esattamente questa meccanica.
Pool di d6, se esce un 6 prendi 1 successo, se hai tanti successi, meglio (di solito puoi spendere i 6 extra per comprare cose accessorie, tipo una riuscita più rapida, o una riuscita che susciti attenzione/ammirazione, o danno extra ecc. ecc. Quelli più crunchy hanno intere liste di effetti più o meno meccanici già prestabiliti).
In fin dei conti, è un tradizionale sistema di risoluzione delle situazioni tese, con una scala di fallimento, successo, successo con bonus.

Alcuni di quei sistemi più tradizionali puntano a dover pareggiare una difficoltà richiesta dal GM (tipo “questa scalata è difficile, devi ottenere almeno 2 successi sul tiro”), quindi avere tanti dadi e ottenere tanti 6 serve a quello.

A parte questo, quali lezioni dei PbtA sei riuscito ad integrare nel tuo sistema?
Cosa risolve rispetto al classico DW? Se togli le Mosse, in cosa è ancora simile?

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La meccanica è esattamente quella del BitD. Il mio problema era semplicemente trovare una quadra estetica.
Per intenderci, se giocassi a the pool - conoscendo il suo sistema di risoluzione del conflitti - pretenderei di utilizzare dei dadi con cinque facce nere e una bianca, per un mio mero gusto estetico.

Tutte belle domande, che mi sono fatto pure io.
Perché se a una scopa sostituisci prima il bastone e poi la parte con le setole, alla fine non hai più la scopra di prima.

Fammi prima giustificare la mia eliminazione del comparto mosse.
Mi è capitato di giocare con gente che si ostinava a dire: “attivo/voglio usare questa mossa”. Io ribadivo che non avrebbero dovuto preoccuparsi molto delle mosse ma di pensare solamente alle azioni dei loro personaggi, ma sembravano parole un po’ al vento.
Allora ho deciso di tagliare tutto, per costringerli a partire dalla fiction (se così possiamo dire) e non dalla regola meccanica.

Per rispondere alle tue domande.
Di DW ho tenuto senz’altro tutto il “lato master”. I suoi principi, le mosse “morbide” e quelle “dure” (benché in Ad Ventura abbiano nomi diversi) e il sistema dei fronti per gestire le minacce “dietro le quinte”.
Mentre “lato giocatore” ho tenuto l’onnipresente “sfidare il pericolo”; cioè l’idea che si “debba tirare il dado” solo se effettivamente si sta mettendo a repentaglio qualcosa. Inoltre mi piace molto l’immagine di personaggi (quindi l’ideazione di libretti) che, aumentando di esperienza, non diventano “matematicamente” più forti, ma piuttosto cambia il loro posizionamento nella fiction (rendendoli più liberi di approcciare agli ostacoli in maniera diversa).

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Complimenti @silvermat.
Penso che questo sia uno dei resoconti meglio scritti e più interessanti che abbia mai letto: l’aver indugiato nelle descrizioni dei “pensieri” lato master mi rende esplicito proprio il come si gioca.

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Grazie mille. Era esattamente quello che volevo ottenere.
Ho scritto nello stesso modo in cui io vorrei trovare scritto il resoconto di un gioco di ruolo: con i “dietro le quinte”, con le motivazioni delle scelte.
La fiction non si può giudicare se non sono note le “regole” che l’hanno prodotta.

Tra l’altro mi sono dimenticato di dire che chiunque volesse utilizzare il mio starter, per eventuali campagne a qualsivoglia GDR, lo metto volentieri a disposizione:

Ad Ventura Celere - Starter.pdf (1,2 MB)

Fatemi poi sapere in che modo vi è stato utile.

3 apprezzamenti

Di nuovo omaggi, avventori,
prosegue il mio playtest di Ad Ventura.

Seconda sessione - prima parte

Per problemi logistici uno degli scorsi giocatori (il ladro) non può partecipare alla sessione, ma viene efficacemente sostituito da un altro.

Non è un problema, dato il sistema incarico-ricompensa del gioco. Ricordo che ogni personaggio è vincolato alla “compagnia” solo in relazione agli incarichi, pertanto è facile dare motivazioni sull’assenza di qualcuno per “motivi personali”, anzi, per certi versi sembra addirittura più realistico che il gruppo non sia sempre lo stesso.

Il nuovo arrivato è un mago, un antiquario per l’esattezza. Gli chiedo in che modo riesca a sfruttare e/o percepire la magia. La risposta mi piace molto: non è nato con poteri magici, pertanto usa anelli, ciondoli e quant’altro di arcano per incanalare il potere.

Ricapitolo le regole, illustro alcune procedure, mi perdo in chiacchiere, racconto la di come mi è venuta l’idea del gioco, si fa tardi e poi finalmente cominciamo.

Siccome l’ultima volta il chierico non ha potuto brillare, mentre si discute su quale incarico accettare, io spingo per il seguente…

Ci stanno.

Chiedo ovviamente in quali rapporti il chierico sia con il diacono della chiesa dell’alba e come mai abbia chiesto proprio il suo aiuto. La spiegazione è piuttosto intuibile: tra prelati ci si dà una mano, in più, portando a termine tale incarico, la reputazione del gruppo crescerebbe di molto.

Mentre chierico e mago battibeccano perfettamente in linea con i loro legami, do la cartina della Costa dei Pugnali al ramingo chiedendogli di tracciare il sentiero che porta al santuario.

Il gruppo comincia a discutere sulla possibile ubicazione seguendo le poche indicazioni contenute nel testo dell’incarico. Selezionano tre casupole (che avevo lasciato volutamente senza toponimo) e poi, autonomamente, tirano fuori il concetto di “antica via”: un sentiero quasi dimenticato che taglia le Piane Amare e conduce direttamente al santuario.

Ovviamente il ramingo sa individuare questo sentiero e come percorrerlo in sicurezza.

Mi ero vagamente preparato ai viaggi lunghi, pertanto rispolvero una procedura che avevo buttato giù nelle prime stesure delle regole…

Prima di intraprendere il viaggio, chiedo ai giocatori di scegliere l’equipaggiamento con cui affrontarlo (di norma, tale scelta va sempre fatta dopo aver selezionato l’incarico, ma prima di buttarcisi a capofitto). Faccio notare ai giocatori che non sono obbligati a raggiungere il loro carico massimo , ma possono tenersi degli slot liberi per eventuali oggetti recuperati.

Non seguono il mio input, si caricano al massimo e fanno incetta di razioni da viaggio.

Leggo la procedura “avventurarsi” e, al momento di decidere quante e quali risorse consumeranno, opto per un tiro qualità, risultato: 5 razioni in tutto (mi annoto che d’ora in avanti per fare un tratto di mappa di quella lunghezza si dovra sempre consumare grossomodo lo stesso numero di risorse).

Dovrei far avanzare un contatore, ma mi astengo. Per ora non ci sono minacce nell’ombra e nemmeno situazioni che cambiano con il passare del tempo.

La guida del gruppo – il ramingo, ovviamente – esegue il tiro ottenendo un successo pieno (ha 3 gradi in caccia, il massimo). Racconta di come, grazie alla sua esperienza, abbiano evitato un branco di lupi e di rimanere impantanati nel fango (a quanto pare è periodo di alluvioni nelle Piane Amare). Annoto tutto.

Giungono a destinazione e non ho la più pallida idea di come gestire la situazione.

“È giorno o notte” chiedono.

“Giorno” rispondo io. (L’ho buttata lì, ma ciò si rivelerà importante).

Voglio sicuramente mettere qualche non-morto nel santuario, qualcosa di temibile, ma allo stesso tempo voglio dipingere un luogo pericoloso e ricco di mistero, che valga la pena esplorare.

Mi ero ripromesso di stampare delle mappe di dungeon ma mi sono dimenticato. Carta e matita, allora.

Descrivo un arco di pietra, rovinato dal tempo, un portale. Sotto di esso, gradini che penetrano nel sottosuolo. Tutt’intorno: sacchi, casse distrutte, tende, un carro senza una ruota. Bivacco.

Si fa ancora avanti il ramingo. “Noto delle tracce?” chiede.

Vero che aveva appena piovuto! “Nel fango ancora umido scorgi senz’altro delle orme di stivali, sono molte… “.

L’ho già detto che ho un’antipatia per i “tiri di percezione”? Mi piace rivelare tutto ciò che un occhio attento può scorgere, senza scomodare alcuna sfida.

“Riesco a capire a quante persone appartengono le impronte?” chiede ancora il ramingo.

Ci penso. Il personaggio sarebbe senz’altro in grado di farlo.

Decido però di usare un tiro qualità per determinare quante persone sono, con un minimo di quattro e un massimo di sei (ho intenzione di riempire il primo livello del santuario di banditi). Scelgo così di lanciare un solo dado, esce 4, medio.

“Le impronte sono di almeno cinque persone” dichiaro.

Si fanno avanti il chierico e il mago, vogliono sapere di più sul santuario, sulla zona, su questo fantomatico Giusto.

Al primo rispondo subito (reputo che abbia conoscenze religiose tali da ottenere informazioni utili d’emblée): “il Giusto era un sant’uomo vissuto diversi secoli prima; il santuario nasce per custodire una sua reliquia: la mano destra del Giusto”. (sto molto improvvisando).

Mentre al secondo rispondo attraverso un tiro qualità (stavolta eseguito dal personaggio, non da me), ottiene un 5: “il santuario è stato via via abbandonato quando gli assalti di alcuni banditi ai pellegrini si sono fatti molto frequenti”.

Preciso che il mago mi aveva chiesto: “Ho letto qualcosa in merito?”.

Il gruppo esplora la zona intorno all’arco di pietra. Faccio loro trovare delle razioni e nient’altro. È già stato tutto molto trafugato da altri.

È arrivata l’ora di scendere.

“La luce che filtra dall’entrata non è in grado di illuminare la stanza. Mentre scendete i gradini, vi accorgete che ci sarà bisogno di una fonte luminosa” li avverto.

Il ramingo aveva aggiunto una lanterna al suo equipaggiamento. La tira fuori e la accende.

“Nel silenzio dell’oscurità sentite il suono inconfondibile di masticazione; appena puntate la lanterna in quella direzione, a una decina di metri da voi, notate una figura umanoide rannicchiata, che vi dà le spalle, che cosa fate?” chiedo.

Mostro i segni di una minaccia.

Avevo intenzione di far arrivare i mostri dopo qualche combattimento con persone vive, ma poi ho cambiato idea; complice anche l’ora tarda (mezzanotte passata).

Il ramingo chiede se è possibile centrare la testa di quell’essere. Io rispondo di no, è troppo incurvato.

“Potremmo attirare la sua attenzione” propone qualcuno, “così si volta e poi tu lo colpisci, prima che ci sbrani”.

Sembra un buon piano.

Il chierico decide di farsi avanti. “Percuoto il mio scudo con la mazza e dico: ‘tu, immonda creatura!’”.

Rifletto. “Rischi così di attirare anche eventuali altri mostri nei dintorni” faccio notare.

“Non mi importa!”

D’accordo penso sfregandomi le mani. Mi ha appena servito l’opportunità di fare una ‘mossa dura’, tuttavia tengo l’idea un attimo sospesa; voglio far muovere qualcosa nell’ombra.

“L’essere si gira, la bocca sporca di sangue e gli occhi vitrei ed emettendo uno stridio fa uno scatto verso di voi”.

Il ramingo inforca l’arco e scocca la sua freccia mirando alla testa, vuole ucciderlo con un sol colpo.

È ovviamente un tiro sfida che, forte dei tre gradi in caccia, ha esito positivo.

“Lo colpisci in un’orbita e il mostro si accascia al suolo, inerte”.

Si fa avanti il chierico, mazza in mano, dichiara di mettere un piede sul petto della creatura e di sfracellare la sua testa, tanto per essere sicuri.

Chi sono io per impedirglielo?

Mi chiede poi se riconosce il mostro in questione.

Mi faccio prendere la mano e faccio un altro tiro qualità (errore, non ce n’era alcun bisogno). Gli rivelo che sono dei non-morti noti come ghoul, divoratori di carne umana, rifuggono la luce e chiunque venga divorato da un ghoul diventa un ghoul a sua volta.

Allora il chierico si avvicina al cadavere con cui il ghoul stava banchettando prima e sfracella pure la sua testa. “Ci sarà tanto lavoro da fare” dice.

Figata, penso poi dico: “Ok ragazzi, qua la cosa si fa davvero interessante, ma purtroppo si è fatto tardi. Fermiamoci qua, io me la preparo bene e settimana prossima la continuiamo. Non voglio rovinare le sessione improvvisando male”.

Accettano di buon grado.

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Saluti di nuovo,

Il playtest di Ad Ventura prosegue.
Nel frattempo abbiamo fatto altre due sessioni, che hanno consentito al gruppo di “sgomberare” il santuario del Giusto.
Per non dilungarmi troppo, vi riporto situazioni diverse che sono state convincenti e altre meno.

Siccome è un po’ lungo ho diviso in punti.

Situazioni convincenti.

LA MINACCIA COSTANTE

Il gruppo si trova nel santuario e io ho avuto una settimana di tempo per prepararmi. Ricapitolo la situazione e introduco il concetto di minaccia costante e dico:

“Nel momento in cui avete messo piede nel santuario, siete entrati in un ambiente costantemente minacciato, ciò significa che qualunque tiro qualità che potreste fare è convertito in un tiro sfida”.

Per mostrare cosa intendo metto in gioco due contatori. Entrambi segneranno lo scorrere del tempo, ma il primo, da quattro settori, rappresenta il calar sole (una volta completato sarà notte), il secondo, da sei settori, rappresenta la piaga della non-morte (una volta completato, tutti i cadaveri “freschi” del santuario si rianimeranno come ghoul).

I giocatori si scambiano occhiate preoccupate. Io sorrido compiaciuto.

Dopodiché rammento loro un momento importante della scorsa sessione: “vi ricordate quando il chierico ha attirato l’attenzione del primo ghoul ignorando il mio avvertimento?”

Tutti annuiscono.

“Ecco, quel preciso momento mi ha dato l’opportunità di complicare la situazione in gioco”. Prendo la matita e annerisco un settore del contatore della piaga della non-morte.

“Ovviamente” ribadisco, “se troverete tutti i cadaveri e sfracellerete la loro testa, avrete disinnescato il mio contatore e io lo cancellerò”.

Considerazioni

Avere due contatori sul tavolo, davanti a tutti, che potevano essere portati avanti ogniqualvolta si fosse perso tempo, era di una comodità disarmante.

Setacciare una stanza, per esempio, alla ricerca di qualcosa di utile, potrebbe portare – in caso di “fallimento” di un tiro – a inventarsi di sana pianta qualche pericolo in agguato che da preparazione non c’era.

Con dei contatori di pericolo, tutto questo non accade. È sempre possibile dire “nella stanza non c’è nulla di utile e avete perso tempo dietro a degli spifferi che erano solo spifferi; niente porte segrete, niente trappole, niente di niente; ma ora dovete fare in fretta, il tempo stringe”.

COMBATTIMENTI, ALZARE LA POSTA E DANNI

Le situazione è la seguente: i personaggi stanno combattendo contro due ghoul; mago e ramingo hanno già dato fondo alle loro abilità, il chierico si è frapposto tra loro e i mostri, respingendoli e ora ha una proposta…
…chiede se è possibile che riesca a colpire entrambi i ghoul, con slancio, facendo roteare la sua mazza.

“Perché no” rispondo. “Se ha senso nella fiction, si può fare tutto!”

C’è un problema però, la capacità a cui vuole affidarsi per il colpo è senza dubbio scherma, ma il chierico ha solo 1 grado in scherma e tirare con così poca probabilità di successo non gli piace affatto.

Gli ricordo che può alzare la posta per aggiungere un dado alla riserva. Deve solo pensare a una conseguenza che sarebbe disposto a patire pur di ottenere ciò che vuole.

“Potresti esporti all’attacco dei ghoul” propongo io.

“Giusto” fa lui, “mollo lo scudo, mi espongo all’attacco, e impugno la mazza con entrambe le mani, così li colpisco tutt’e due!”

Non fa una piega. “Ti avviso però che se non li colpisci ti sbranano”.

(generalmente un combattimento ravvicinato può essere gestito (e mi piace farlo) con i seguenti esiti: 6, colpisci il nemico e non subisci danno; 4|5, scegli, o scambi danno col nemico, oppure nessuno danneggia nessuno).

Per il chierico un pool di due dadi è troppo misero, allora suggerisco al giocatore di spendere 1 punto stamina per aggiungere un dado alla riserva.

Si era dimenticato della possibilità. Mi ringrazia e tira infine 3 dadi.

Successo parziale . Impreca.

Gli ricordo che – grazie all’aver alzato la posta – può subire le conseguenze concordate per trasformare il risultato in un successo pieno.

Ovviamente accetta di buon grado.

Ora non gli resta che tirare per il danno.

Il tiro danno è un tiro qualità con i seguenti esiti: 1-3, superficiale; 4|5 moderato; 6, grave; 6+, mortale.
Normalmente faccio sempre tirare due dadi per determinarne l’entità.

Ogni personaggio può subire: 3 ferite superficiali, 2 moderate e 1 grave. Ovviamente se non c’è spazio, si passa alla ferita di ordine superiore.

Il danno del chierico è piuttosto alto… teste fracassate. (La sua mazza consacrata fornisce un dado aggiuntivo al tiro danno contro le incarnazioni del male).

Faccio quindi tirare il danno del ghoul (lo chiedo al ramingo, così che non possano prendersela con me per un’eventuale ferita profonda). Ne esce: danno grave… che diventa solo moderato perché ridotto dall’armatura del chierico.

Considerazioni.

Il combattimento è fluido, ma lo sappiamo, questa parte di sistema è identica a dungeon world; niente turnazione rigida, ma nessuno è stato escluso dall’azione; anch’io, in qualità di master, ottenevo i miei “turni di gioco” quando tutti si fermavano e mi guardavano, credendo che toccasse ai nemici fare qualcosa.

La ricerca dei dadi bonus per aumentare la probabilità di successo e quindi la procedura di alzare la posta mi è molto piaciuta. Dare “libertà” al giocatore di introdurre una complicazione mi dà l’impressione di renderlo più protagonista.

Sono molto soddisfatto del sistema di danni. Più profondo dei semplici punti ferita ma non particolarmente complicato. C’è stato solo un momento quando qualcuno ha confuso un tiro sfida con un tiro danno, ma poi non si è più verificato.

Situazioni che non mi hanno convinto

IL RUOLO DEL MAGO

Durante l’ultimo combattimento, il mago, rimasto a corto di incantesimi, per fare comunque qualcosa, si lancia contro un ghoul con un coltellino in mano. Un attacco disperato che alla fine non sortisce alcun effetto, tuttavia il dibattito su quale capacità il personaggio stesse sfruttando in quell’occasione, mi ha dato da pensare.

Un assalto, arma alla mano, è senza dubbio scherma , al massimo si potrebbe adattare a riflessi, per agire alla svelta… ma il personaggio del mago non ha gradi nelle suddette capacità, dunque propone tecnica.

La spiegazione che accampa non mi convince affatto, ma le regole dicono che l’ultima parola sulle capacità da sfruttare è sempre in capo ai giocatori, dunque chiedo agli altri se sono d’accordo e loro accettano.

Ciò mi ha fatto riflettere per prima cosa sul ruolo del mago nel gruppo. Pensavo fosse utile far lanciare incantesimi senza alcun tiro (semplicemente consumando specifiche risorse per poi applicare l’effetto desiderato). Questo però si porta dietro due problemi: il mago tira molto meno degli altri giocatori, e non tirando, non ottiene esperienze dagli eventuali “fallimenti”; una volta finito il “mana”, il personaggio ha scelte molto limitate.

Seconda questione sollevata è quanto i giocatori possono “tirare la corda” nello sfruttare capacità che poco o nulla c’entrano con l’approccio descritto. La ricerca di un dado bonus, porta a piegare alcune interpretazioni. Mi chiedo se non sia il caso di introdurre un “malus” – appannaggio del master – quando un approccio appare totalmente “fuori focus”; quasi come a dire “se vuoi tirare quella capacità, fallo pure, ma parti da una posizione di svantaggio, a tuo rischio e pericolo”. Ci penserò su.

ESPERIENZA, INDOLE E LEGAMI

A fine sessione, tutti controllano gli inneschi che consentono al personaggio di fare esperienza. Il ramingo ha “affrontare una creatura particolarmente abile”, il mago ha “risolvere una situazione con conoscenze arcane”, mentre il chierico ha “affrontare incarnazioni del male”, dopodiché bisogna controllare anche l’indole e i legami.

Nessun legame tra i personaggi sembra essere entrato in gioco. Me ne rammarico, sicuramente potevo fare qualcosa a riguardo. Tuttavia mi rendo conto che i legami scritti sulle schede sono deboli, cioè non hanno la forma di “punti non risolti”, non sono visti come dei problemi, più che altro sembrano semplici note di colore.

Poi c’è la questione indole. Molto sbilanciata. Se il chierico deve “causare problemi seguendo i precetti della sua fede” (mai effettivamente stabiliti), il mago ha molto più semplicemente “armeggia con qualcosa di magico” che è molto più facile da perseguire.

Così mi rendo conto che per consentire ai giocatori di “innescare l’esperienza” dei propri personaggi, il master deve imbastire scene ad hoc, riducendo il tutto a caselle da spuntare.

Volevo che almeno l’indole fosse una sorta di bussola che suggerisse al giocatore un modo “interessante” per interpretare il personaggio e cioè di affrontare le sfide. Ma così non sembra essere. Dovrò ripensare questa parte di sistema.

LA STAMINA

La stamina è una risorsa in mano ai giocatori, rappresenta la concentrazione, la volontà, il coraggio e la tempra del personaggi; si può usare in due modi, migliorare un tiro sfida o attenuare danni e condizioni debilitanti che si subiscono.

Ognuno ha a disposizione tre punti stamina che si ricaricano automaticamente quando una “scena concitata” finisce, il che la rende comoda e facile da utilizzare. Ma poco profonda in quei momenti da singolo ostacolo, in cui il personaggio, con un “tiro di dado” risolve l’intera scena.

Il mago si ritrova a spezzare un sigillo magico, deve quindi eseguire un tiro sfida. Per quanto non abbia idea di ciò che lo aspetta, non avrebbe alcun senso non usare un punto stamina per ottenere un dado. In qualunque modo si risolva la situazione, la stamina si ricaricherà.

Discorso diverso, per esempio, contro il mostro finale del santuario, un ghoul maggiore. Era lampante a tutti i giocatori quanto fossero temibili i suoi attacchi. A un certo punto del combattimento, mago e chierico avevano finito la stamina perché l’avevano usata per pararsi da colpi debilitanti e ferite gravi. Ne è venuto fuori un combattimento davvero tirato, in cui c’era la netta sensazione che qualcuno potesse lasciarci la pelle.

Questo porta il master (cioè ha portato me) a evitare di utilizzare “ostacoli semplici”, cioè risolvibili in poco tempo, ma piuttosto a costruire delle scene con ostacoli multipli che diano modo ai giocatori di soppesare davvero l’utilizzo della stamina. Il che forse non è un male, ma io lo vedo comunque come un vincolo un po’ troppo stretto.

Stavo forse pensando di aumentare il pool di stamina ma di fare in modo che non si ricarichi automaticamente dopo una scena concitata, bensì serva un “vero” riposo che ne ripristini solo una parte.

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