Omaggi astanti,
sono lieto di comunicarvi che si è conclusa la prima sessione di playtest di un gioco di ruolo su cui sto lavorando da diversi anni. Il suo nome è Ad Ventura.
Il gioco nasce come personalissimo hack di dungeon world, del quale conserva ancora la “struttura” (da pbta), ma ne prende le distanze per l’assenza delle “mosse”. Ho maturato la decisione – sofferta – di eliminarle quando ho cominciato ad apprezzare sistemi un po’ più leggeri (ispirandomi a world of dungeons).
Che ci crediate oppure no, tutte le eventuali somiglianze con BitD non sono volute, probabilmente frutto di un fenomeno che possiamo chiamare “convergenza”.
Premessa
per molto tempo mi sono scervellato per creare uno “starter” – cioè una piccola ambientazione iniziale da cui far partire l’avventura – con personaggi preconfezionati da interpretare liberamente; ma nulla mi convinceva davvero.
La mia idea era di far incontrare “per caso” i personaggi “all’entrata del dungeon” e fare in modo che collaborassero in modo che ognuno potesse portare a termine un obiettivo personale.
Il problema stava tutto lì, nella collaborazione. Qualunque stratagemma narrativo mi inventassi, nulla sarebbe stato sufficientemente forte per costringerli davvero ad aiutarsi l’un l’altro.
(Che poi, diciamola tutta, giocare per scoprire se davvero si tradiranno invece di collaborare sarebbe comunque un modo interessante di affrontare il gioco; tuttavia non era quello che volevo).
Alla fine ho avuto una folgorazione, piuttosto banale in realtà: i personaggi sono già degli avventurieri, dei mercenari, che accettano incarichi d’ogni tipo per sbarcare il lunario.
Devono piacersi? No! Sono amici? Forse. Che si siano appena incontrati o che si conoscano da anni, saranno loro a sceglierlo.
Così, invece di imbastire l’incipit di un’avventura “forte” per costringerli a collaborare, ho creato tanti piccoli incarichi, “mini avventure”, molto più facili da gestire.
Così facendo, tra un incarico e l’altro, i giocatori possono rifiatare, tornare alla taverna, avere un gioco autonomo e non per forza in gruppo. Li “obbligo” a collaborare solo al fine di ottenere denaro e reputazione. Premessa diegetica forte.
Inoltre, prendo tempo, poiché preconfezionare una decina di incarichi mi permette di pensare, durante le sessioni, al quadro generale, ai “nemici che si muovono nell’ombra” (creati e delineati grazie a ciò che mi avranno detto i giocatori durante la sessione).
Infine, uso gli incarichi come grande preludio all’ipotetica avventura che verrà. Se si invischieranno in un situazioni più grandi di loro, se abbandoneranno la città per gettare nel monte Fato l’unico anello, che sia.
I Dadi
Benché all’inizio apprezzassi molto il sistema di DW di tirare due dadi e di sommare i risultati (per la distribuzione degli esiti attorno a un valore medio più probabile), per un fatto meramente estetico desideravo un colpo d’occhio più immediato.
Allora ho pensato di tirare un solo dado, la cui taglia però variava secondo il “grado” della capacità sfruttata (sono sempre stato fan dei dadi poliedrici). Tuttavia in questo modo la distribuzione degli esiti non mi piaceva (a livelli infimi, era impossibile avere successo, a livelli alti, era impossibile ottenere un fallimento).
Non mi convinceva nemmeno tirare tanti dadi e tenere il risultato migliore; anche in questo caso il colpo d’occhio veniva un po’ meno. Finché non mi sono accorto di avere dei dadi esteticamente perfetti: a sei facce, numerati dall’1 al 5, mentre al posto del 6 c’è una stella!
Il colpo d’occhio era fatto! Una stella significava successo, più stelle, ancora meglio!
Da lì è andato tutto in discesa.
Resoconto
Ci sediamo al tavolo in quattro. Mai giocato con alcuno di loro. Due addirittura perfetti sconosciuti. Digiuni di gdr più o meno tutti.
Spiego che la situazione è piuttosto “classica”: un gruppo di avventurieri che si conoscono e che accettano incarichi per lavoro, alla ricerca di ricchezza, fama o gloria.
Metto sul tavolo la mappa della regione (la Costa dei Pugnali) e quella della città di Numisgrana (dove si svolgeranno i primi incarichi).
Faccio scegliere il personaggio (tra mago, guerriero, ladro, ramingo e chierico). Su ogni scheda c’è da selezionare un background prefatto, compreso di indole e bonus alle capacità.
(Ho capito col tempo che, all’inizio, è meglio dare poca libertà di personalizzazione, le scelte non sarebbero comunque ponderate, data la non conoscenza del sistema).
Emergono: ladro (tombarolo), ramingo (figlio delle bestie) e chierico (seguace di Sol).
Invito tutti a leggere ad alta voce il proprio background e i legami (anche questi già determinati) presenti sulla scheda.
Ricordo loro che non devono esitare a farmi domande e che il mio compito non è fregarli.
Voglio spiegare le regole alla bisogna, durante il gioco giocato, pertanto li invito a scegliere un incarico e a lanciarsi all’avventura.
“Siete alla locanda il Basilisco” dico, “nel quartiere di Fuoriporta, e state discutendo se accettare o meno l’incarico che…”
Proseguo con una provocazione: “… tu, ladro, hai rimediato; in che modo ne sei venuto a conoscenza?”.
Il giocatore non si tira indietro e comincia a spiegare che il ladro ha dei contatti con i mercanti del porto e che spesso si è trovato a svolgere per loro alcuni lavori poco legali.
Non volevo tergiversare oltre, pertanto dichiaro che grazie alla rete di contatti criminali del ladro sanno già dove si troverebbe la merce rubata: una casupola nei Bassifondi (altro quartiere di Numisgrana, non lontano da Fuoriporta).
Proseguo le provocazioni: “ti è stato detto in che cosa è contenuta la merce? Casse? Sacchi?”.
Il ladro risponde senza indugio: piccolo forziere. Non avrei potuto chiedere di meglio. So dove collocarlo e ho una vaga idea di cosa metterci dentro.
Ok, ho tutto ciò che mi serve, si comincia.
Disegno la piantina di una casupola in un vicolo dei Bassifondi, scarsamente illuminato. Davanti alla porta c’è un losco figuro che sembra palesemente un buttafuori. Chiedo: “che cosa fate?”.
Il chierico avanza e “ordina” al tizio di farsi da parte.
In quel momento perdo l’occasione di chiedere al giocatore con quale “autorità” si sia presentato e soprattutto perché pensava che un semplice ordine da parte sua avrebbe potuto funzionare. Dichiaro invero che il suo approccio non procura l’effetto sperato (senza scomodare alcun tiro) e il buttafuori li intima di allontanarsi.
Il gruppo si ritira e pensa al da farsi, lontano da sguardi indiscreti. Sono restii a un assalto diretto, sono sospettosi. Mi chiedono dettagli sulla casupola, sul perimetro, sulle vie d’accesso. Interessante, penso.
Metto quattro finestre oscurate al piano terra, serrate; infine aggiungo una piccola finestrella al primo piano – che dà su un vicolo deserto laterale – raggiungibile da un modesto scalatore e varcabile da un uomo mingherlino.
Il tutto “settato” per dare un’occasione al ladro del gruppo (già dichiarato in fase di costruzione del personaggio che fosse agile e di bassa statura).
Non mangiano la foglia, non si fidano. Io ovviamente non insisto, sono curioso di scoprire cosa s’inventeranno.
A posteriori ho perso l’opportunità di concedere al ramingo qualche sfida su misura (per la prossima sessione mi sono già appuntato di far leva sulla sua mira infallibile e sul compagno animale).
Il chierico mi chiede se sente la presenza del “male”. Rispondo di no. Non voglio far affrontare loro già non-morti o demoni.
Alla fine decidono di passare per la porta principale e di attirare il buttafuori nel vicolo, in modo da sopraffarlo con facilità.
Escogitano una sorta di diversivo: chierico e ramingo fanno finta di essere degli ubriaconi chiassosi, mentre il ladro si nasconde nell’ombra.
Interessante , penso. Ora sta a me decidere se il buttafuori è abbastanza scaltro da non cadere nel tranello oppure sostanzialmente un beota che lascia il suo posto di guardia per qualche schiamazzo.
Non voglio prendermi tale responsabilità. Lo dico apertamente al tavolo e illustro la “meccanica” del tiro qualità.
Prendo tre dadi e dico: se il risultato più alto è 1-3, allora non cadrà nel tranello, viceversa se è un 6, il vostro piano avrà successo.
Ho scelto una riserva di tre dadi perché, tutto sommato, ho proprio l’impressione che il buttafuori possa essere uno zoticone non molto sveglio.
Conscio del fatto che ogni tiro qualità determina la realtà, qualunque cosa succeda, da quel momento in poi dovrò interpretare quel buttafuori secondo quanto stabilito dai dadi.
Tiro: doppio 6!
Wow, esclamo tra me. Che cosa c’è di meglio di cadere in un tranello? Mi domando.
Idea: il buttafuori non lascia la sua postazione perché si è addormentato (dopotutto è notte fonda).
I ragazzi paiono sorpresi quanto me, ma ora hanno l’opportunità di entrare, almeno.
(Pensano a lungo sull’uccidere la guardia per evitare problemi futuri, poi desistono. Troppo vile anche per una canaglia come il ladro).
La porta però è chiusa… a chiave, rivelo sfregandomi le mani (altra opportunità per uno scassinatore, ora non possono tirarsi indietro).
Nessuno avanza l’ipotesi di cercare nelle tasche del buttafuori. Io non lo suggerisco.
Il ladro guarda la scheda, gli arnesi da scasso ci sono. Me ne occupo io, dice.
Finalmente un tiro sfida, penso. Illustro la procedura, il giocatore apprezza.
Lo scopo del tiro non è semplicemente scassinare la serratura, è farlo in silenzio, senza svegliare il buttafuori.
Al momento della creazione della riserva di dadi, delusione. Il personaggio ha solo 1 in tecnica (la capacità che serve, tra le altre cose, per interagire con congegni complessi).
A questo punto illustro la “meccanica” di cui vado più fiero: alzare la posta.
Al giocatore pare tutto molto sensato, tentenna sullo scegliere la “complicazione” da aggiungere alle conseguenze già messe sul piatto.
Lo tolgo dall’impasse: la cosa più comune, in questi casi, è rompere un grimaldello. Accetta.
Arraffa due dadi e tira: 4! (successo parziale).
Sfrutta la meccanica di alzare la posta, marca uno spreco sugli arnesi da scasso e trasforma il 4|5 in un 6.
La porta si apre, senza fare alcun rumore. Sono dentro.
Non penso nemmeno per un secondo di piazzare delle trappole all’interno della casupola. Poco credibile.
Il lungo corridoio centrale è illuminato da fioche candele e dà su una rampa di scale per il piano di sopra. A sinistra e a destra, invece, ci sono due porte.
La prima non è chiusa a chiave e si apre su una stanza che sembra un magazzino. Dopo un attimo di circospezione, il gruppo decide di non perdere tempo. Non c’è traccia del forziere. Approvo.
La seconda porta invece è chiusa a chiave. Aggiungo questa complicazione per prendere tempo. Sto pensando a cosa metterci dall’altra parte.
Nella mia preparazione, il forziere si trova al piano di sopra, centro operativo della banda criminale che l’ha rubato.
Mentre il ladro prende due dadi (ancora pronto ad alzare la posta per aumentare le probabilità di successo), lo fermo.
Anche stavolta il tiro non è per riuscire a scassinare la serratura, bensì per verificare se sia possibile farlo senza attirare attenzioni indesiderate. Lo preciso.
Penso velocemente alle conseguenze. Se non dovesse farcela, mi dico, la stanza potrebbe essere gremita di criminali, la porta potrebbe avere un sistema antiscasso, la guardia all’ingresso potrebbe svegliarsi oppure qualcuno al piano di sopra potrebbe accorgersi degli intrusi.
Tira: 6!
Mastro scassinatore, esclamo.
La porta si apre silenziosamente, di una spanna. Per quel poco che è possibile vedere, si scorgono delle gabbie contenenti degli animali, quieti e vigili.
Vi spiego la scelta: non ho reputato corretto mettere nella stanza qualche pericolo “in agguato”, non dopo il successo nel tiro. Così ho preferito dare un’opportunità specifica al ramingo (ha come indole: aiuta uno spirito o una creatura naturale). Deciderà di rimandare l’incarico per salvare degli animali?
Il gruppo non si addentra nella stanza, non si fida; non apre nemmeno tutta la porta. La discussione tra i giocatori non dura molto. Tutti concordano nel non perdere altro tempo. Tocca salire al piano di sopra.
Si avvicinano alle scale e mi guardano, aspettando che dia loro qualche informazione.
L’esatto innesco di una mossa morbida (se stessimo giocando a dungeon world).
Sentite del vociare, dico. Qualcuno sta discutendo al piano di sopra, animatamente. (Mostra i segni di una minaccia).
“Quanti sono?” Mi chiedono. “Possiamo individuarne il numero dalle voci?”
Perché no, dico tra me.
E qui ho due possibilità:
-
determinare il numero di persone e rivelarlo, senza tirare in ballo alcun dado, perché dopotutto i personaggi sono avventurieri esperti che sanno distinguere voci sovrapposte.
-
chiedere un tiro sfida, ma la cosa non mi convince del tutto; quale sarebbe l’ostacolo che impedisce ai personaggi di raggiungere il loro obiettivo? Certo, rischiano di essere scoperti da un momento all’altro, ma oggettivamente stanno in silenzio ad ascoltare, non c’è una vera e propria azione che li espone maggiormente al pericolo.
Alla fine decido per una terza via: un tiro qualità.
Decido di tirare due dadi. Come vogliono le regole, sono trasparente e dichiaro: se esce 6, distinguerete le voci di due persone, con un 1-3, invece, saranno quattro.
Tiro: doppio 6!
Corpo di bacco! Rivedo tutto ciò che avevo prospettato.
Nella mia idea, al piano di sopra c’era la banda (se non al completo, quasi) che confabulava sul prossimo colpo. Il doppio 6 mi costringe a ridurre i membri, ma meno di due è impossibile (con chi parlava il capo? Con se stesso? Ho già dichiarato che si sentivano voci diverse, non posso cambiare ciò che ho già portato in scena).
Idea!
Dico: mentre siete lì che tentate di scoprire quanti sono, sentite una voce che si avvicina e poi qualche passo per le scale. Qualcuno sta scendendo e ha appena finito di dire: “a queste condizioni io non ci sto, me ne vado!”.
I “criminali” di sopra erano sì due, ma uno di questi sta lasciando il covo, aprendo a nuovi scenari. Due piccioni con una fava!
I personaggi si nascondono in fretta: due dietro una porta, uno dietro l’altra, armi in pugno, pronti a scattare in caso di pericolo.
Mentre il tizio si avvicina, discutono sul colpirlo alle spalle o sul lasciarlo andare.
Temono che, arrivato alla porta, svegli la guardia addormentata.
Io lo descrivo come ben vestito e raffinato, in contrasto con l’ambiente un po’ sporco e trasandato di quella casupola nei Bassifondi.
Con la frase sentita prima di scendere e con questa descrizione li informo che, probabilmente, a questo tizio non frega granché del buttafuori addormentato.
Desistono dall’attaccarlo. Attendono col fiato sospeso.
Io racconto che il tizio esce, scuote la testa vedendo la guardia addormentata e se ne va.
(Svegliare il buttafuori sarebbe stata una mossa dura da parte mia, e per concedermela avrebbero dovuto ignorare un mio avvertimento precedente; cosa che non hanno fatto).
Scampato il pericolo, tutti saltano fuori e sono pronti a salire.
Dico: appena il primo di voi mette piede sul primo gradino, scricchiola!
Si bloccano. Non possono contare su un effetto sorpresa. Addio furtività.
Discutono a lungo. Il ladro vuole far ricorso a delle bombe fumogene, ma gli altri frenano il suo entusiasmo.
Alla fine scelgono di salire velocemente, armi in pugno; come va va.
Complice anche il fatto che la serata fosse ormai quasi finita, non aggiungo alcun altra persona nella stanza (magari rimasta in silenzio durante la discussione precedente) e si trovano al cospetto di un uomo, solo.
È di spalle. Li ha sentiti salire, ma crede sia il suo “cliente” che è tornato sui suoi passi.
Quando si volta e vede il ladro, il ramingo e il chierico, sbotta: “e voi chi c…o siete?”
Il ladro prende parola subito. Lo intima di dargli il forziere, quello rubato a messer Auditore.
Colloco la refurtiva sul tavolo lì accanto.
L’uomo è da solo, al cospetto di tre tizi armati di tutto punto; alza le mani e si arrende. Vuole salva la vita. Non ha assi nella manica, non si aspettava questo agguato.
Il ramingo si fa avanti e gli chiede: “che cosa ci fai con gli animali nelle gabbie?”.
“Non sono affari vostri” risponde. “Avete ottenuto ciò che cercavate, andatevene!”
Il ramingo non ci sta.
“Andiamocene” lo incalza il ladro.
Il ramingo tira fuori un coltello, si avvicina e minaccia l’uomo. “Che cosa ci fai con quegli animali?”
Fico, penso. (Il giocatore del ramingo era un habitué di dnd, ai tempi, e mi aspettavo che parlasse e si approcciasse al gioco con le tipiche “contratture” dndiane, come ‘faccio una prova di persuasione’ o cose del genere, ma invece è sempre partito dalla fiction, e anche in questo caso non ha semplicemente detto “lo minaccio”, no, ha fatto vedere la sua minaccia, bravo!).
Interpreto il criminale onestamente. Non occorre alcun tiro per scucirgli informazioni; dopotutto è alla sua mercé. Rivela che con il contrabbando di animali esotici si arrotonda che è un piacere.
Gli basta. Ora è giunto proprio il momento di andare.
Lo legano e lo imbavagliano. Prendono il forziere e si dileguano velocemente.
Il ramingo, prima di andare, entra nella stanza delle gabbie e le apre tutte; apre anche la finestra, concede alle creature una via d’uscita.
Tutto sembrava finito, ma il ladro ha un ultimo sussulto. Sta a lui riportare il maltolto al committente. Vuole vedere che cosa contiene e magari rivenderne il contenuto.
Lo metto in guardia sul disattendere la “promessa” fatta accettando l’incarico. La reputazione è tutto per un avventuriero.
Guarda la sua scheda e pensa al da farsi. La sua indole è: arricchisciti a spese di altri. Vuole seguirla, ma desiste.
Dice: “Guardo cosa c’è dentro e poi lo richiudo”.
“D’accordo” dico io. “Un mastro scassinatore come te sarebbe in grado di non compromettere la serratura del forziere e di coprire le sue tracce; lo apri”.
Dichiaro che dentro c’è della sabbia rossa, cangiante.
Il forziere viene quindi riconsegnato e la ricompensa ottenuta: 3 monete e +1 reputazione.
Tutti tornano alla locanda e fine sessione.
Sulla scheda marchiamo eventuali avanzamenti.
Il ladro ha agito con furtività, tutti concordano.
Il ramingo ha aiutato delle creature naturali, nessuno lo può negare.
Il chierico non ha ottenuto esperienze.
Me ne rammarico, lo dico apertamente. Rimedierò la prossima volta.
Considerazioni
Il sistema mi è piaciuto, ha retto bene, ha coperto ogni momento con estrema efficacia.
Il modus operandi dei giocatori mi ha piacevolmente sorpreso. Hanno approcciato il tutto come un Old School, evitando come la peste ogni combattimento.
Complici anche dei tiri di dado assurdi, io ho “assecondato” questa loro tendenza a non voler spargimenti di sangue. Se dovesse capitare ancora, lo farò diventare il loro marchio di fabbrica. Lavori puliti e precisi.
Tutti i partecipanti hanno giocato benissimo, interpretando “correttamente” il loro personaggio. Ho avuto l’impressione che si fossero ben calati nelle rispettive controparti. Soprattutto l’indole mi sembra sia stata considerata come una sorta di “bussola”. Ciò che volevo ottenere.
Per la prossima sessione.
Farò più domande sui personaggi, sul loro passato e su ciò che li lega gli uni agli altri. Devo giocare con queste informazioni sott’occhio, altrimenti me le dimentico.
Ci soffermeremo di più sulla scelta dell’equipaggiamento prima dell’incarico, è una parte del gioco che abbiamo saltato per mancanza di tempo.
Non abbiamo parlato dell’ambientazione né di opere che potrebbero rappresentarla a dovere. Rimedierò.
Così come non abbiamo parlato di tematiche da affrontare e di tono della campagna.
Da questa sessione sono emerse le seguenti domande:
-
che cos’è la polvere rossa contenuta nel forziere?
-
c’è davvero un commercio su larga scala di animali esotici? (chiederò al ramingo se vorrà indagare in merito).
-
che cosa ci faceva quell’aristocratico nei bassifondi?
Pertanto ora dovrò dare un nome ai png apparsi nella prima sessione, potrebbero trasformarsi in personaggi ricorrenti, vedremo.