Artwork come regole: la potenza dell'immaginato

Una piccola premessa: non considero questo thread come mirato a provare chissà quali idee o riflessioni; consideratelo, piuttosto, un mezzo per celebrare il medium che adoriamo e che ci vede a confrontarci su questo spazio. Ovviamente mi sento di aggiungere che qualunque riflessione è benvenuta e può spingere l’argomento verso nuove e interessanti direzioni, ma personalmente si tratta più di uno scambio di gusti ed aspettative degli utenti. E anche, non ironicamente, un modo molto rapido per rubare immagini fighe da utilizzare nelle mie partite.

Di cosa voglio parlare nello specifico? L’argomento riguarda il potere delle immagini o degli artwork di un manuale nel veicolare determinati intenti di gioco di un determinato sistema. Forse spinto dalle ultime riflessioni di @Davos, che nel drago di Mentzer vede più di un semplice arricchimento estetico, quanto una profonda spinta verso quello che - immagino - arriverebbe a definire come “l’Alterità dell’Immaginato rispetto a chi immagina”, mi sono interrogato su quali immagini, nel mondo di gioco di ruolo, mi abbiano spinto ad abbracciare un certo tipo di immaginato, anche indipendentemente dalle regole scritte del manuale. Con questo intendo che, pur confrontandomi con una parte meccanica che tradiva parzialmente le sue premesse, sono riuscito ad abbracciare quell’immagine e a selezionare - con successo, a volte meno - le parti adatta a promuovere quell’estetica così potente e celebrativa, in ogni caso generando una “stella polare” che mi ha permesso di navigare con successo in una certa direzione.

Il mio contributo in questo caso si riferisce a Paranoia (in questo caso la seconda edizione, non XP), il celeberrimo gioco satirico della West End. Come regolamento meccanico, senza giri di parole, si tratta di uno scassone senza arte ne parte. Il testo, al contrario, trasmette quella frizzantezza, quella voglia di divertimento caciarone; ma a volte - e per un suo preciso intento, che però critico - scivola troppo nel meta-fun: con l’idea insomma che debba intrattenere il giocatore, e non offrire uno spazio coerente per lo sviluppo di un setting. Ma l’arte…l’arte tocca quello sweet spot che adoro moltissimo:

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Sono il primo ad ammettere che questa immagine possa spingere solamente a strappare una facile risata al lettore. Ma quanto è bella! Trasmette immediatamente quello che c’è da sapere: paranoia, controllo oppressivo e onnipresente, la capacità di cavarsi di impiccio con le moine e la leccaculagine. Queste e altre immagini mi hanno sempre trasmesso quell’idea del setting che si esprime così bene da altri di questi lavori del - mai troppo compianto - Jim Holloway. Confrontandole con il sistema di combattimento, tedioso, so già che devo lavorare per snellirlo o per comunque adattarlo meglio a questa realtà così pazzomatta; e così ho fatto nella mia demo, che ha dato dei bei risultati (anche se problematici lato master, ma questa è un’altra storia).

Un punto interessante sono anche le riedizioni: non mi piace la nuova arte della Red Clearance Edition, e in un certo senso questo mi spinge indietro, anche immaginando le innovazione dal lato meccanico. Questo mi spinge a riflettere su come riedizioni o edizioni per il mercato straniero possano modificare la nostra percezione delle regole e dell’immaginato di riferimento. Un esempio facile è Trollbabe: meno qualche immagine più brutta, apprezzo lo stile dell’edizione italiana, pulito, a volte con dei dettagli interessanti. Rispetto a quest’ultima, trovo i disegni della versione originale crudi, a volte dilettanteschi. Ma in fondo, quale dei due trasmette l’idea di una certa estetica underground, propulsiva, per come l’autore mi sembra si riferisca alle sue fonti?

Interessante, infine, è l’uso delle immagini nel veicolare un pitch (idea del mondo e dell’atmosfera di gioco) rapido e potente: potete leggere di più nella prima parte del saggio di Ron Edwards dedicato a The Pool: sono elementi che non ho usato o visto usare raramente nelle mie partite, ma che meritano sicuramente un riconoscimento.

Spero di non aver delirato troppo, e che queste farneticazioni possano fornire uno spunto interessante ai nostri scambi.

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Per quanto riguarda le illustrazioni di Trollbabe (edizione Narrattiva), quando ho letto il manuale mi hanno aiutato tantissimo a immergermi nel tipo di ambientazione e personaggi pensati per il gioco (in particolare l’immagine dove la trollbabe separa l’umano e il troll litigiosi o quella che mostra la gara di bevute tra due trollbabe). In quel manuale anche la mappa aiuta a “farsi trasportare”: l’invito a puntare un dito su di essa per scegliere la nuova cornice della sessione ha per me un forte impatto immaginifico.

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C’è poco da fare: le illustrazioni sono di fatto testo e contribuiscono TANTISSIMO a comunicare tutta una serie di cose sul gioco (sui temi, sull’ambientazione, indirettamente anche sulle meccaniche a volte).

Un esempio molto pratico e molto recente l’ho notato in Mork Borg: nonostante il manuale abbia pochissimo testo scritto (e imho contiene, a livello di puro regolamento, un gioco estremamente standard), di fatto la veste grafica veicola in maniera efficacissima una quantità di informazioni ENORME e, per quello che ho visto, è di una efficacia unica nel trasmettere queste informazioni a gruppi anche molto diversi tra loro.

Di fatto, gruppi molto diversi e con percorsi molto diversi riescono tutti a cogliere qualcosa di comune in MB (al netto dei dettagli, in quasi tutti i tavoli si “respira la stessa aria”, per così dire, e si vedono molti elementi ricorrenti che non sono esplicitati da nessuna parte nel manuale), in una maniera così sistematica che è praticamente impossibile che sia casuale; almeno a me pare evidente che il manuale stia comunicando questi elementi tramite mezzi diversi dalla semplice parola scritta (e, imho, è evidente che lo stia facendo tramite artwork e un lavoro di impaginazione a dir poco superbo).

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Non far eccitare troppo @Davos :thinking:

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Giustissimo @Viandante, ma è proprio il cambio tra le edizioni che mi da da pensare. Pensa alla differenza tra:

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e questo:

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Forse ci sono immagini più comparabili, ma la seconda mi trasmette qualcosa di più naturale o “abbozzato”, rispetto alla posa della Trollbabe narrattiva. E poi si evidenzia meglio, secondo me, il tema della viandante senza arte ne parte. Ovviamente, ripeto, sono opinioni personali, ma è divertente comparare le due edizioni (e anche le strisce comics create da alcuni autori su piccole avventure della trollbabe, anche se non ricordo il link).

Sulla mappa mi trovi d’accordissimo: visualizzare lo spazio immaginato in maniera così definita, poter ricollocare le avventure in un tempo e in luogo precisi, secondo me aiuta molto.

Esempio eccellente: dimenticavo come alcuni di questi giochi (e non dimentichiamo Troika!) cerchino di veicolare il loro immaginato tramite queste potenti immagini. Mi sembra che si sia coniato il termine artpunk per alcuni di questi. E a ragione, direi.

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:drooling_face:

Grazie. Qualcuno che mi capisce.

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Da questo punto di vista mi sento davvero di consigliare un’occhiata a Terror Target Gemini di Luca Negri. Sta facendo un lavoro egregio nel passare informazioni con l’artwork (un ottimo esempio si trova qui).

Beh, MB è l’apice di una corrente artpunk che vede grafici e designer avere un ruolo almeno alla pari di quello dei game designer nello sviluppo di un gioco. È un prodotto artistico prima e un gdr (molto piacevole, per carità) poi.

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Avevo visto Terror Target Gemini, molto bello! Sono curioso se, al pari di MB, riesca a trasmettere un feeling condiviso al tavolo; se qualcuno ha avuto modo di provarlo, magari si può scrivere un actual play.

A proposito di MB, ma più in generale di questa rinnovata attenzione all’aspetto dell’artwork:

Ti dirò, questo elemento è quello che per lungo tempo mi ha spinto ad evitare questi giochi: mi è sempre sembrato che la vernice brillante e originale dei disegni nascondesse una struttura trita, non ispirata. Credo che tutti abbiano avuto esperienza del librone d’arte da collezione, fondamentalmente inutile al tavolo da gioco. E se è vero che questi nuovi esperimenti mi spingono a superare la linea tra immagini e regole, risulta difficile distinguere tra un disegno consapevole del game designer e il semplice plus per commercializzare il prodotto. Da questo punto di vista, diventa difficile giudicare i nuovi prodotti sul mercato; è un tema su cui sto riflettendo, per non scacciare le novità di altri autori come semplici prodotti artistici.

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Per me è proprio questa differenza che ha spinto a far nascere l’etichetta “artpunk”. Di sicuro è una consapevolezza recente, non la traccia più indietro di 5 o 6 anni (c’era un post di Zak che ora non trovo che ne parlava consciamente e mi pareva il primo).

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Imho le due cose non solo non sono in contrasto, ma si rafforzano molto a vicenda. La vedo come la naturale conseguenza di tutto un percorso che ci porta (finalmente) a riconoscere tutta una serie di ruoli non legati al Game Design in senso stretto come, di fatto, ruoli che lo influenzano in maniera talmente fondamentale (dato che hanno un influenza direttissima su cosa viene percepito dai giocatori/lettori) da essere di fatto ruoli di design.

(e poi mi dà un po’ fastidio fare una distinzione tra “prodotto artistico” e “prodotto di gioco”, ma questo perchè sono stronzo io e ritengo pure la lattina di birra che mi trovo sulla scrivania la mattina un prodotto artisticamente e culturalmente rilevante XD)

A costo di suonare come uno sporco postmodernista, mi sento di dire che ad un certo punto la consapevolezza dell’autore passa in secondo piano, almeno per quanto riguarda chi fruisce in ultima battuta del prodotto (i giocatori non stanno nella testa dell’autore, stanno al tavolo, la cosa più importante è cosa arriva al tavolo).

Io ricordo questo di Patrick S., sicuramente Zak è stato fondamentale per questa corrente di design ma non mi sembra di ricordarlo usare il termine artpunk specificatamente.

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Sono d’accordo (se si capisce il contrario è perchè mi sono esperesso male: quello che intendevo è che Mork Borg è nato, temporalmente, prima come prodotto artistico e dopo come GDR).

È una distinzione basata sulla funzionalità, imho. Un libro nato per essere guardato e basta (vedi i vecchi splatbook pieni di disegni ma poveri di ciccia giocabile) ha una funzionalità, un libro che contiene delle procedure per fare cose assieme ne ha un’altra. Non sono mutualmente esclusive, eppure per parecchio tempo lo sembrava…

Non sembra neanche a me, però ha posto le basi della definizione.

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Al di là che del fatto che apprezzo moltissimo questa riflessione, sappi che dopo aver preso in mano Lyotard questo accenno allo sporco postmodernismo mi ha fatto morire dal ridere :joy:

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(Spoiler: suono come uno sporco postmodernista perchè lo sono, leggere Eco e Barthes mi ha condannato ad una vita da strutturalista convinto)

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L’utilità di materiale visivo credo sia indubbia. Non sono sicuro che servano davvero tante illustrazioni nel manuale / materiale di gioco fornito, al giorno d’oggi (ma se ci sono non guastano). Più che altro perché abbiamo accesso a infinite fonti di riferimento e ispirazione, anche senza che siano presenti nel manuale.

Per esempio, per l’attuale campagna di Blades, ho creato una bacheca con tutto il cast apparso (fino ad ora) di PNG.

Questo aiuta a focalizzare molto il tipo di personaggio (ovviamente il percorso è: pensiamo all’NPC → cerchiamo l’artwork, di solito; a volte, però, soprattutto quando sto facendo un po’ di preparazione per la sessione, guardare illustrazioni mi aiuta a raccogliere idee / suggestioni).

Soprattutto per quello che diceva Grommok:

Se è soprattutto importante quello che portiamo sul tavolo (e concordo con lui in questo), allora il manuale ha il compito di aiutarmi a portare sul tavolo delle cose interessanti e coerenti con il gioco, ma come è compito mio (nostro: dei giocatori, insomma) accettare lo spirito del gioco, seguire le regole e creare storie interessanti - secondo me è altrettanto compito nostro cercare illustrazioni e materiale visivo (o tattile, per quando si giocava ancora dal vivo / lacrimuccia), per ricreare la giusta atmosfera e inquadrarla.

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Intervengo per dire che qui mi pare si stia parlando del cosiddetto paragame.
Aggiungo una definizione:

Elements that affect the game object and the play experience without necessarily affecting the rules or the fiction are included here. Paragame elements may be properties of the object itself, or properties of the context in which the game is played.

Questo in particolare è quasi il core della mia tesi di master, che linko qui: The Presence of the Designer in Two-player Role-playing Games - Google Docs

Also, sempre dalla tesi:

[…] to define everything that is part of the game, except the rules and the fiction elements. I would also add that the game designer controls the paragame in order to enable and influence the play.

Per spiegarlo meglio avevo scritto questo contributo per una raccolta di mini-interventi teorici di game design & game culture a tema boardgame, ma credo si applichi parecchio anche al tema di questo thread: Il Paragame - Google Docs

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Ma quanto è difficile incasellare decine, centinaia di immagini che però mantengano lo stesso stile?

Io, che tendo ad avere campagne lunghissime, per quanto posso cerco di concentrarmi su una descrizione accattivante, e di aiutare i giocatori fissando la loro attenzione su un particolare o due. Ma evito di mostrare immagini, soprattutto perché investo ore (tante) della mia vita, ogni volta che mi immergo in Pinterest o siti simili, e perché l’immagine di solito segue la mia introduzione del personaggio in gioco. Quindi, non solo devo trovarla con un’estetica appagante quando affiancata ad altre della stessa giocata, ma anche dai lineamenti, o segni specifici, o equip che si avvicinano a quelli già descritti.
In quei momenti, mi torna sovente in mente…

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Cosa necessita un designer di giochi di ruolo di specifico, rispetto ad un designer generico di narrativa?

Cos’è un ‘designer di narrativa’?

Si vede che non so come ruota il mondo dei designer eh? Un designer che fa illustrazioni, un illustratore. Non uno che fa art book, ma che incorpora ciò che disegna in un testo.

Ok, è che designer <> illustratore.
Un designer (non solo un game designer) è qualcuno che lavora sulla parte progettuale. In alcuni campi, questa può coincidere con la parte estetica di un’opera (esempio: in architettura), ma non necessariamente.
Lo scopo di un designer è quello di risolvere uno (o più) problemi, con opere, appunto, di design (esempio: aggiungere i manici alle tazze, in modo da non farti scottare le mani quando le afferri).
Lo so: in italiano lo usiamo in maniera differente ma il termine corretto nel contesto.

Tipicamente, a lavorare a un manuale hai:

  • il graphic designer, che è quello che lavorare alla parte di comunicazione visiva (impaginazione, posizione delle illustrazioni, scelta del font, scelta dei colori, ecc)
  • l’illustratore (quello che fa le illustrazioni vere e proprie)
  • il game designer, che lavora al sistema di gioco

Ovviamente le cose possono coincidere (nei miei giochi, io sono sia il game che il graphic designer… anche se sono scarsissimo nel secondo caso), ma sono comunque attività molto differenti e che prevedono competenze diverse.

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