[S/Lay w/Me] Riflessioni su una partita

Salve a tutti! Ad Agosto circa ho avuto modo di provare per la prima volta S/lay w/ME, un gioco sword and sorcery di Ron Edwards, accompagnato dal fido @Alek per due sessioni e un totale di due rotazioni tra il ruolo del GM e del Protagonista. Si è trattato perciò di un’esperienza limitata, ma che avrei voluto approfondire durante queste vacanze per alcuni elementi che mi hanno lasciato perplesso e indeciso circa il giudizio da assegnare a questo gioco. Tenendo conto della provvisorietà di questa opinione, approfondisco quindi un nodo che ho trovato problematico: l’elemento del contributo di un giocatore come costrizione nell’atto di costruzione della fiction di riferimento.

Che cosa intendo con costrizione? Semplicemente, mi riferisco a quegli elementi del sistema di riferimento che costringono a prendere sul serio le dichiarazioni di un giocatore al tavolo, qui e ora, mentre stiamo collaborando assieme, senza poter ignorare - nei casi più eclatanti - o influenzare queste stesse affermazioni attraverso elementi diegetici (punti fato o eroe, direi come esempio immediato) o elementi extradiegetici. Credo che i casi estremi di questo continuum idealtipico siano stati descritti numerose volte: ad un estremo, giochi come Fiasco che, almeno nella mia esperienza necessitano di forti legami e accordo tra giocatori per non perdersi in un insieme di scene non coerentemente connesse; dall’altro, i “giocattoli a molla” di alcuni settori del gdr odierno, che nella definizione di procedure troppo stringenti soffocano lo spazio di determinazione dei giocatori coinvolti, riconducendo il tutto ad un esperienza standardizzata.

Chiarisco, prima di passare all’esempio concreto, che il solo fatto che i giochi del primo spettro non abbiano procedure descritte sul manuale non significa che ai diversi tavoli non si trovino modo di farli girare - come testimoniano peraltro le molte esperienze positive che Fiasco raccoglie - ma che, almeno personalmente, i consigli offerti dal testo rimangano, appunto, consigli : certo che Fiasco ti incoraggia a rispettare i contributi degli altri…ma sulla carta. Non esistendo paletti imposti alla costruzione di una scena, è possibile per il giocatore accanto a te saltare nel passato, nel futuro o in un’altra località totalmente a caso, ignorando lo sviluppo della fiction fino ad adesso. Non dovresti farlo. Ma non c’è nulla che possa impedirtelo.

In pratica, questo è il punto che ho avvertito giocando nei due ruoli di S/lay w/ME: sentendomi in un qualche modo senza appigli o punti fermi nella costruzione dell’avventura, ci è capitato, per prendere come metafora un ballo, di “pestarci i piedi” vicendevolmente:

  • come Gm, preparando l’avventura per il nobile paladino di @Alek, ho raccolto il suo suggerimento per l’obiettivo “trovare il seme dell’albero della vita”, per introdurre questo fantomatico albero in mezzo “ai campi di battaglia, alcuni giorni dopo”. Nella pratica però questo elemento ha sovrascritto la scelta dello scenario di Alek; l’avventura è finita per svolgersi tutta all’interno di questo spazio metafisico all’interno dell’albero, il che ha lasciato il mio compagno di avventure un po’ perplesso. A ripensarci, ho semplicemente preso qualcosa che volevo vedere e l’ho trapiantato su una scelta iniziale che, a mio avviso, avrei dovuto rispettare.

  • come giocatore, mi è capitato che “l’invasione di campo” promossa pur con delle cautele dalle regole si appropriasse a volte in maniera indebita del mio Protagonista. Nella seconda avventura, il mio ladro, ricercando l’occhio di Moldered - fantomatica gemma nascosta in una ziggurat di cultisti - se ne appropria infine con l’aiuto dell’amante e di un compagno di sventure rimasto ferito. Il Go successivo di Alek, spostandosi immediatamente fuori dalle mura, mi ha lasciato privo della possibilità di salvare il compagno stesso, tant’è che abbiamo dovuto rigirare un attimo la frittata narrando come il Protagonista rientrasse per salvare lo sfortunato compare.

Ora, come potere leggere da questi esempi, non si è trattato di roba eccessivamente tragica; sono sicuro che, fermando il gioco e parlandone un secondo, avremmo potuto risolvere più facilmente questi problemi. Ma, appunto, ho sentito che questo contributo sarebbe venuto al di fuori del sistema considerato, mettendo in pausa il tutto. Questa sensazione mi ha accompagnato alla fine del gioco: credo che se non avessi avuto un giocatore come Alek, con cui mi sono sentito in sintonia per i contributi estetici, i risultati sarebbero stati diversi, e non so se per il meglio.

Ad ogni modo, queste risultano le mie sensazioni a caldo. Mi ha stupito, in effetti, trovare la stessa sensazione di Fiasco trapiantata in questo gioco. Ci sono, credo altri aspetti della partita che possono essere raccontati, ma questo è stata la mia prima impressione - anche se, come dicevo, conto di riprovare appena possibile con altre partite.

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@Karaburan non conoscendo il gioco volevo chiedere se è prevista una sorta di Prima Sessione o conversazione “programmatica” iniziale (o magari non c’è ma voi l’avete fatta). Oppure ci sono altre modalità per la creazione delle avventure?

Grazie mille per il resoconto, a proposito.

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Ciao @Viandante! Per rispondere alla tua domanda: no, il gioco non prevede nessuna sorta di sessione preparatoria. I giocatori, già al primo incontro, creano e giocano l’avventura - della durata di un’ora, solitamente - per poi scambiarsi i posti tra Protagonista e Gm.

L’edizione italiana di Narrattiva ha diviso le istruzioni per entrambi i ruoli in due piccoli libretti; nella pratica si procede attraverso delle fasi di brevissima durata che possono essere lette anche al tavolo stesso:

  • il Protagonista apre con la frase rituale;
  • il Protagonista sceglie una delle frasi del libretto che lo definisce (es. “sono il figlio di un demone, potente ma dal cuore puro”). Integra con una breve descrizione di non più di 20 parole:
  • Il Protagonista sceglie dove si svolgerà l’avvventura (da una lista) e l’obiettivo - inventandolo;
  • Il Gm sceglie chi saranno il Mostro e l’Amante dell’avventura - o se sono la stessa persona. Assegna al mostro un punteggio segreto, che comunicherà l’epilogo della storia quando raggiunto, e uno per l’amante, che comunica al protagonista e che lo aiuterà se interagirà con la stessa:

E da qui si parte. L’intero processo non dovrebbe prendere più di 20 minuti, ma immagino che si possa fare pure più in fretta. Va detto che questa partenza col botto può aver influenzato lo spaesamento che ho provato, anche se sia io che Alek abbiamo letto entrambi i libretti prima di vederci.

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Mi sono reso conto che a queste prime riflessioni manca una parte importante: quand’è che invece ho sentito il gioco funzionare? Se infatti le esperienze della seconda e terza avventura mi hanno dato questa impressione, ho avuto una sensazione decisamente più positiva verso la prima e la quarta partita. Credo che entrambe queste esperienze siano state caratterizzate da un elemento di cogenza più consapevole, in due modi:

  • da un lato, le nostre dichiarazioni - i nostri Go, in termini di gioco - si sono succeduti facendo più attenzione alle rispettive sfere di influenza. Forse, a seguito di questo, direi che mi piace giocare più “stretto”, per definire la cosa in termini di manuale. Vorrei poter aggiungere altro su questo, ma i Go come argomento sono qualcosa di massiccio che necessita di qualche riflessione in più; in generale abbiamo fatto fatica in molti casi a capire se certe dichiarazioni fossero dei Go o meno, e questa flessibilità nella definizione di questo elemento, se da un lato caratterizza come uniche le interazioni tra giocatori di un tavolo specifico, dall’altro apre in qualche caso a un fenomeno di murk, che porta a fermare il gioco per chiedere: “aspetta, ma per te questo è un Go? Perchè non mi sembra che tu abbia fatto ancora qualcosa di significativo”.

  • dall’altro, l’elemento comun denominatore di queste due avventure è che si svolgevano in località ben precise (un tempio di una divinità maledetta, le fosse di riproduzione dell’esercito dell’Apostata); c’era insomma una chiara immagine di dove fossimo e cosa stessimo facendo, piuttosto che balzare in più luoghi e perdere la consistenza dell’immaginato di riferimento.

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Allora, eccomi con il mio resoconto. Mi sono approcciato al gioco con la curiosità di sapere se avrei apprezzato questo gioco il cui approccio è diverso da quello che ho giocato nell’ultimo anno. La prima impressione è stata di non sapere bene quello che stessi facendo, ma che in qualche modo la partita si stesse comunque sviluppando in modo soddisfacente. La natura da “pagina bianca” di un go di mia proprietà, unita alla responsabilità di far avanzare la trama, mi ha portato ad essere particolarmente descrittivo, arrivando ad un certo punto ad “invadere il campo” del mio compagno di gioco, come @Karaburan ha già descritto.

Una considerazione che ritengo, con senno di poi, avermi aiutato in tal senso, è la menzione da parte del regolamento del termine fantasmagoria, cioè il “rapido susseguirsi di vivide immagini”. Lasciandomi trasportare dalle vivide immagini che si creavano nella mia immaginazione, piuttosto che concentrarmi sui particolari di trama dei miei go, ho apprezzato di più il mio stesso contributo al gioco. Ho anche cercato auto-responsabilizzarmi, per così dire, nei confronti dei go di Adriano, e di restituire e rielaborare quello che più mi aveva colpito di ciascun go. Non è stato banale né facile, ma come @Karaburan ha già spiegato in maniera più eloquente, non c’è alcun elemento di costrizione in questo senso, pertanto l’auto-responsabilizzarsi mi sembra anche necessario.

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@Alek, hai proprio toccato il punto con il termine “auto-responsabilizzazione”. Per arrivare al cuore del problema: fin quando un sistema di regole dovrebbe sostenerti nella cogenza dell’immaginato di riferimento, e fin quando la responsabilità di quest’ultimo è dei giocatori al tavolo? E’ possibile ricostruire una demarcazione che aiuti a costruire in modo migliori i nostri giochi e le nostre esperienze al tavolo?

E’ una questione a cui non so dare una risposta precisa, perchè se “Game design is mind control” (per riprendere il celebre titolo di un panel di Luke Crane e Jared Sorensen) è un po’ un wishful thinking dai risvolti anche pericolosi, l’idea che il trovarmi ad annaspare sia semplicemente una mia “colpa” è mortificante. Peggio: vedo annullata la curva di apprendimento del gioco, perchè nel momento in cui lo proverò il gioco con altre persone dovremo nuovamente sintonizzarci per prove ed errori. Spero che altre prove mi aiutino a dare risposte a questi dubbi.

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Segnalo che @Karaburan ha riportato lo stesso post su Adept Play e ha ricevuto una risposta da Ron Edwards.

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