Play Theory: Does System Matter?

Sono partito un filo prevenuto, ma mi ha convinto verso la fine, soprattutto come sensata via di mezzo tra “System does matter” e “System doesn’t matter”

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Mi dispiace, ma mi sembra una grandissima cazzata.

È chiaro che l’autore di questo articolo non ha capito cosa si intendesse con “Sistema” nel saggio “System does Matter” di Edwards, o probabilmente non l’ha nemmeno letto. Dato che sta criticando quell’affermazione, dovrebbe informarsi su che cosa significa e da dove viene.

Sta usando “sistema” per intendere “manuale di gioco”, e non “l’insieme delle procedure usate al tavolo per aggiungere elementi alla narrazione condivisa” (o qualunque altra definizione equivalente, tipo il Principio di Lumpley).

È chiaro che qualunque minchiata scrivo su un manuale di gioco è subordinata a quello che effettivamente accade al tavolo. Non è questo il punto. Quello che si vuole dire con “Il sistema conta” è che cambiando le procedure che usiamo per far procedere il gioco, cambia l’esperienza di gioco.

Un’affermazione che può sembrare ovvia, ma che non lo era per niente quando venne affermata.

Ogni volta che vedo articoli e opinioni del genere, che letteralmente vanno a erodere una conquista filosofica del mondo dei giochi di ruolo, mi viene da mettermi le mani nei capelli e abbandonare questo hobby.

Non mi stupisco nemmeno che venga dal “mondo OSR”, dove sebbene io veda molta gente che si diverta a giocare (un’ottima cosa!), mi rammarico di vedere una costante regressione della qualità della comunicazione, specialmente nell’ambito anglofono, mentre nell’ambito italiano abbiamo un paio di personaggi di spicco che davvero ci salvano.

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Sono d’accordo con Ranocchio su tutto.
Anche sul Discord ho detto che all’OSR manca un certo tipo di autoconsapevolezza ed autoriflessione, pur essendo un modo di giocare che mi piace molto e che ha meriti clamorosi.

(Momento apprezzamento della modalità tartaruga, che va a braccetto con la mia naturale pigrizia).

Sono in disaccordo con voi per due motivi:

  1. E’ vero che, nell’articolo originale, il senso di sistema è quello che dite voi (e sono d’accordo), d’altra parte, nel discorso normale, c’è una differenziazione tra (e ora mi invento dei termini di sana pianta) “sistema teorico”, ovvero quello che sta scritto nel manuale, e “sistema pratico”, ovvero quello che arriva al tavolo. Al punto che, e ho visto fare questo ragionamento più volte in più posti diversi, ci sono designer che parlano di “system does matter” riferendosi solo al manuale come l’hanno scritto.
  2. Nella direzione opposta, c’è l’errore del “system doesn’t matter”, che è l’approccio preso dall’OSR. Ovvero il “sistema teorico” non conta perché ognuno si fa il suo sistema al tavolo.

Quello che io ho portato a casa da questo articolo (e, giusto per essere chiari, l’ho aperto e sono arrivato almeno fino a metà avendone la vostra stessa interpretazione) è, da una parte, di nuovo il senso originale dell’articolo di Edwards, dall’altra il fatto che, comunque, le procedure di gioco non sono l’unica cosa che influenza l’esperienza al tavolo (e che cambiando di molto il contesto queste possano addirittura influire molto su questa).

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2 cents.

Tutti prendiamo a riferimento il significato di sistema di Edwards nel suo famoso articolo.

Allora facciamo un paragone (che come tutti i paragoni ha mancanze e stravaganze ovvio).

Il sistema di gioco nel gioco del calcio.
Puoi giocare a uomo o a zona. Puoi applicare il fuorigioco alto o basso. Puoi giocare con o senza pressing. Puoi giocare 5-3-2 o 4-3-3 o 4-3-2-1. Puoi giocare con il tempo che si ferma se la palla va fuori o c è un fallo o no. Puoi giocare con il golden goal. Puoi giocare sul risultato di 2 partite o su una secca.

Tutte queste cose (e altre che non sto a citare) influiscono non solo sul gioco concreto che vedi giocare, ma soprattutto sull’esperienza di chi gioca in campo.

I giocatori faranno cose diverse in termini di gioco concreto in campo.

A prescindere dal fatto che sulla fascia sinistra tu abbia un fenomeno o un brocco
Il fenomeno magari sale anche se hai un 5-3-2-1, il brocco sale se gli imposti un 4-4-2 e magari non torna e ti sembra di giocare sbilanciato.

Ma non è il modulo, non è il sistema di gioco, è il brocco.

È chiaro le persone contano. Anche per l’esperienza (più o meno divertente) che vivono gli altri giocatori.
Eccheccazzo, vivaddio.

Ma non puoi teorizzare che il sistema=le persone o che il sistema dipende dalla qualità delle persone che giocano e cambia se cambiano le persone.

La sua efficacia magari si.
Quanto riescono ad applicarlo magari si.

Ma il sistema sono le procedure concrete di gioco che le persone intendono attuare, che si danno, anche se più o meno inconsapevolemnte, al tavolo e vogliono rispettare.

Anche per questo il sistema influisce sulla loro esperienza di gioco, altrimenti sarebbe totalmente malleabile in qualunque momento da parte delle persone e non inciderebbe per nulla.

È in questo senso che Moreno Roncucci ha sempre parlato di sistema zero, cioè di sistema tendente allo zero.

So che @ranocchio disapprova molto questa espressione, per il giusto motivo che un sistema , come dimostra quello che stiamo dicendo qui, c’è sempre al tavolo.

Forse sarebbe meglio usare un’espressione come sistema debole o sistema cedevole o sistema precario.

Per inciso (è off topic): il famoso ruling not rules a mio modesto avviso rischia, se non inteso e giocsto bene, di rendere debole tutto il sistema di gioco

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Allora, credo di essermi perso un attimo (quindi provo a risponderti ma se ho mancato il punto del tuo intervento non farti problemi a dirmelo), ma mi sa che ci stiamo mancando un attimo sul concetto di importanza del sistema.

Quello che sto dicendo, e di cui mi ha convinto l’articolo, non è solo che il sistema non è l’unica cosa che conta al tavolo (e parlo del sistema applicato, non di quello scritto sul manuale), ma che ci sono cose che possono contare di più.

Per continuare con la tua metafora (che mi pare funzionare), è come giocare la stessa partita due volte, una al campetto dell’oratorio e una a San Siro con tanto di pubblico e tifo. Il sistema (e i giocatori) possono anche essere gli stessi, ma in due contesti diversi l’efficacia e il peso di determinate procedure cambia drasticamente.

Per farti un esempio di gioco concreto, io ho avuto per qualche anno una mia avventura introduttiva a D&D 3.5. La usavo con la mia associazione quando qualcuno voleva provare a giocare e non aveva esperienza (avventura piuttosto lineare, un po’ di dungeon, un po’ di diplomazia e un pizzico di investigazione), sia in sede in un contesto “privato” sia durante gli eventi, quindi in un contesto più “pubblico”. Quindi stesso sistema, stessa avventura, livello di esperienza dei giocatori più o meno simile, contesti diversi.

Giocata in sede, con solo me e i giocatori presenti c’era una buona interazione tra i personaggi, spesso con dialoghi senza bisogno di un intervento mio e la parte diplomatica/sociale copriva un onesto 30% del tempo di gioco (cioè come mi aspettavo).

In un contesto pubblico, con magari gente che si fermava a guardare/ascoltare per un po’ o con i partner dei giocatori in giro, le interazioni tra personaggi calavano moltissimo e la parte diplomatica/sociale portava via si e no un 10% del tempo del tavolo.

Insomma, pur mantenendo le stesse procedure al tavolo, certe procedure venivano scelte più di altre in base al contesto di gioco.

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