Ma è solo questione di Fair Play? Discussioni post giocata

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Ho citato un passaggio testuale di un msg su WhatsApp. Chiaramente non stiamo parlando di metaplay e tutto ciò che ne ruota attorno. E’ un concetto che (fortunatamente) il mio tavolo ha superato tanto tempo fa.

L’eccezione di questo giocatore, sostanzialmente, riguardava la soggettività di un concetto (tratto, nel gioco) quando non è agganciato ad una meccanica più solida: quello che per me è una spada laser tagliaferro per te potrebbe essere uno stuzzicadenti e finché non lo stabiliamo in fiction tutto può essere; con l’aggravante che se abbiamo stabilito che taglia in due il ferro, probabilmente la dichiarazione successiva potrebbe tagliare in due il diamante.

Per quanto mi riguarda la risposta è fin troppo chiara ma riconosco essere un tema aperto, quantomeno al mio tavolo.

Corretto.
Ma anche qui non si discuteva - in sè per sè - della questione di cosa fosse stabilito in fiction o meno, quanto piuttosto, all’interno di un dialogo serrato, della scarsa rilevanza (dal mio punto di vista) di un indicatore meccanico per tracciare qualcosa (nel caso di specie: la morale di un pg; giacchè esistono molti giochi che la enfatizzano). E quindi del potere di giocare una storia semplicemente giocando onestamente il proprio PG.

Peraltro l’esempio voleva essere l’abbrivio e la punta dell’iceberg (innanzitutto col mio tavolo) per parlare di altro, non dell’evoluzione morale o emotiva del pg. Esplorare il quesito: "se le regole o la scheda non mi dicono nulla di più di una descrizione ed un tratto, è possibile giocare bene, cioè coerentemente con le premesse che si sono stabilite? Per giocare “onestamente” servirà tanta dose di fair play? O l’essere onesti con quello che si è premesso e quello che si è portato in scena è esso stesso parte fondamentale e basilare dell’atto del giocare, di qualsiasi gioco?

Sono d’accordo e non mi permetterei mai di censurare alcun tipo di scelta fosse anche diametralmente opposta a quella precedente.
Ma non ritieni che l’esplorazione di una tematica dovrebbe consentire al giocatore di costruire, evolvere ed approfondire il suo personaggio? Il giocatore scoprirà chi è e chi sarà il personaggio proprio perché va a “risolvere”, va ad “infilarsi” in alcuni bang tematici che gli vengono posti: ignorare immotivatamente le scelte compiute non sovrascrive nulla, certo, ma invalida il percorso di scoperta che l’atto del giocare comporta se non è sorretto da una narrazione coerente con l’immaginato.

Anche qui siamo d’accordo. Si stava discutendo per iperbole e come tale l’ho presa e ve l’ho riportata. Però se parliamo di “requisiti” mi verrebbe da chiedere allora: quali sono questi requisiti? Li dovremmo stabilire prima o soltanto sul momento?

Al crescere della sospensione dell’incredulità dovrebbe crescere il grado di fair play e preaccordo al tavolo? Per alcuni giocatori è molto complicato non avere vincoli.

No problem. Tuttavia, l’inciso (che peraltro è privo di ogni giudizio di valore trattandosi di miei amici) ha una sua utilità per aiutarvi a inquadrare il mio tavolo: alcuni molto più interessati e confident con la risoluzione di sfide (da qui le discussioni sulle regole) ed altri all’esplorazione della narrazione emergente.

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Scusate. Non ho compreso alcuni termini.

Cosa significa giocatore onesto?

Perché si contrappone, o relaziona, ai vincoli di gioco?
Se ho capito bene, si parla di vincoli meccanici che regolano l’entitá del potere di un personaggio, ovvero su quale scala il personaggio ha potere risolutivo con un unico tiro.

Premetto che non mi sia neanche molto chiaro perché risolvere una situazione con un unico tiro sia collegato all’entitá del potere di un personaggio. Tirare un dado e narrare l’esito potrebbe significare riassumere senza giocare catene di conseguenze che portano una farfalla a far esplodere un pianeta.

Forse si parla di risolvere con un’unica azione (fisica, tipo muovere un dito o dare una sberla), non tanto con un unico tiro, una situazione.
Oppure si parla di conseguenze troppo grandi causate da un un’unica azione, che non necessariamente risolvono qualcosa.

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Mi unisco a @_Elil_50 per chiedere maggiori chiarimenti di cosa voglia dire fair play nel contesto in cui lo usi @DavideD. Ho letto il post ma fatico, potete riassumermelo differentemente?

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Avete compreso che il master al giocatore della “spada laser che taglia il ferro e poi taglia ildiamante e poi fa fine di mondo” può banalmente dire “succhiati le chiappe, non è vero nemmeno se ci paghi a tutti la pizza” si?

Per il resto direi che sono d’accordo con tutto, ti sei trasformato in me.
Mi dispiace avresti meritato una fine migliore.

Naturalmente il meta non esiste, qualunque cosa si intenda, pratica o teorica.

Se si vuole rendere la spada un vincolo rilevante statisticamente in modo omogeneo e costante per le Autorità la devi mettere in tratto il che il più delle volte significa che deve essere emersa in una precedente scena di gioco topico proprio grazie all’interazione fra Autorità.

Non c è differenza sostanziale fra le seguenti:

“Questa spada taglia l’acciaio, lo abbiamo visto quando Jhon l’ha usata contro i Replicanti Neri”

E

"Questa spada ha penetrazione 5 e quindi puoi spaccare anche i Replicanti Neri che hanno durezza 4

Sono entrambe subroutine e vincoli alle Autorità di gioco.
Sono entrambe regole di produzione coerente di nuovo immaginato.

È più diffiicle giocare con il primo tipo di vincolo?

Dipende dal tipo di scena, di temi e dal framing che adottate.

Nel flusso di gioco tipico di The Pool avere penetrazione 1-5 e durezza 1-5 sarebbe un intralcio.

Su che cosa è attirato il gioco dei giocatori e a cosa serve dare numeri e caratteristiche, se devi decidere se sparare a un bambino a sangue freddo per non far saltare la tua copertura?

Possono servire eccome in effetti.
Ma non garantiranno mai che un giocatore giochi bene, qualunque cosa significhi “bene”.

Dunque la vera domanda non è sul fair play ma potrebbe essere la seguente:

“A cosa servono in un gioco a storia emergente” le caratteristiche/abilità/tratti/punteggi morali?

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Sono d’accordo, e Davos ha anticipato il mio intervento a riguardo.

Io sono convinto che per giocare alcune cose numeri, tratti, diagrammi siano utili e a volte necessari.
Ma sono soprattutto strumenti per aiutare i giocatori a essere più interessati / partecipi alla storia che stiamo giocando.

Si può fare a meno in ogni caso - e giocare a The Pool è un esempio, come lo può essere giocare a un Fkr .

Il punto è che meno strumenti e struttura rigida hai, e più i giocatori sono liberi di dare peso a certi elementi piuttosto che altri mentre giocano.

Devo fare degli esempi, altrimenti rischio di non riuscire a spiegare esattamente quello che intendo.

Quando gioco a Blades in the Dark, ci sono tutta una serie di cose che se i personaggi vogliono fare, basta che venga descritto e accade.

Per esempio, quando due personaggi vogliono sedersi a parlare e discutere della loro relazione romantica, lo possono fare giocando di ruolo (narrando le azioni dei loro personaggi).
In Blades non c’è nessuna regola o meccanica che si innesca quando si porta in scena una situazione simile e - a meno che la situazione non precipiti diventando qualcos’altro - non tireremo i dadi.

Questo accade perchè per il tipo di gioco che è Blades in the Dark, una scena romantica non è importante - intendo: non è importante ai fini dello scopo del gioco.
Possiamo anche passare tutta la sera a fare i piccioncini MA il cuore del gioco non andrà avanti. Se passiamo 3 sessioni a corteggiarci e parlare, non stiamo giocando a Blades in the Dark, ma a qualcos’altro usando l’ambientazione di Blades.

Questo perchè Blades ha uno scopo molto preciso (giocare nei panni di criminali che compiono colpi per accrescere il potere della banda).

Il gioco te lo dice in due modi, in maniera molto esplicita: nella sua premessa e nei suoi sistemi. In un gioco come Blades, tutto quello che non ingaggia le meccaniche di gioco, non è importante per l’esperienza core.

D’altra parte, se stiamo giocando a Cuori di Mostro o La Pasion del la Pasiones, e ci stiamo corteggiando… le meccaniche e i sistemi verranno ingaggiati, perchè sono situazioni importanti in quei giochi.

Ora, quello che si fa quando si gioca e si innesca un conflitto è guardare la narrazione[1] e capire in che situazione sono i personaggi coinvolti, e cosa c’è in ballo (la posta: cosa posso perdere, cosa posso ottenere).

Questi conflitti hanno sempre a che fare con il tipo di gioco e lo scopo del gioco (come dicevamo prima, altrimenti le meccaniche non vengono innescate).
Per cui, si cerca di scendere nei dettagli di queste situazioni per capire cose come:

  • ho un vantaggio?
  • posso chiedere aiuto?
  • posso usare la mia abilità speciale?

Ho reso il punto.


Ora, in giochi che non hanno un sistema formato da meccaniche esplicite ben definite, l’unica cosa che permette di aiutare i giocatori a capire se una cosa è importante - e quindi se fa parte del tipo di storia che vogliamo giocare, e per cui vale la pena soffermarci, zoomare vicino, guardare i dettagli, capire meglio cosa sta succedendo e come - è la premessa.

Ma la premessa può essere fraintesa, o con il tempo dimenticata. O, con l’evolversi delle partite, rischia di essere disallineata nella testa dei giocatori.

Per esempio: stiamo giocando a The Pool e siamo d’accordo tutti quanti che giocheremo una storia di spionaggio durante la guerra fredda. E che le cose che ci interessano capire sono cosa sono disposti a perdere i nostri personaggi pur di salvare la propria patria.

Però, alla sessione 8, a un giocatore capita una cosa in gioco - incontra la sua vera madre. E per lui diventa importante riallacciare i rapporti con lei. Giocare scene di slice of life per scoprire come il suo personaggio vivrà il rapporto con la madre ritrovata.

Questo evento ha cambiato la premessa nella testa del giocatore - magari anche inconsapevole del cambiamento.
Il cambiamento, però, non è vissuto da tutti e il tavolo si disallinea.

In un gioco più strutturato, a ricordarci a cosa stiamo giocando e a cosa dovremmo dare importanza, ci sono le meccaniche che si innescano o meno.

In un gioco meno strutturato, dobbiamo farlo costantemente (o, peggio, lo deve fare il GM). Che però non sempre è un’attività facile, soprattutto se si gioca con persone con le quali si ha poca confidenza. E spesso può portare a discussioni, confronti e critiche nei confronti di qualche giocatore che non sta più giocando bene (o per usare un termine abusato: non sta giocando coerentemente).

Nella mia esperienza, perchè un gioco non strutturato possa funzionare senza intoppi per tante sessioni di seguito con la stessa premessa, serve un grande sforzo di gruppo, un gruppo affiata e che condivide in maniera molto forte quella premessa (un gruppo dove siamo tutti davvero interessati a giocare a quella cosa specifica, e non ci interessa altro).

Per questo considero The Pool un ottimo gioco, ma molto più difficile di giochi ben più strutturati.


  1. Questo è valido soprattutto nei giochi fiction first, ma vale in realtà per tutti i tipi di giochi ↩︎

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Attenzione, parliamo di giocare il personaggio in maniera onesta (non di giocatore, persona onesta), vale a dire sforzarsi di giocare tenendo presente quello che si è stabilito in fase di premessa o durante il gioco seguendo l’evolvere della storia e rinunciando al concetto di “vittoria” a tutti i costi.
Non si contrappone ai vincoli di gioco ma dovrebbe costituire esso stesso un vincolo di gioco (di immaginario, forse meglio?) soprattutto quando tali vincoli non ci sono nelle regole.

Ma non voglio farla più difficile di quella che è: se ho dei tratti che mi descrivono Grosso come un Elefante e Forte come un Toro e questi tratti li ho messi in scena durante le nostre giocate, beh ho indirizzato un immaginario comune verso un certo tipo di PG. Magari non ne sappiamo molto di più, ma sappiamo che è fottutamente enorme e picchia come un martello bolscevico.

Se gioco onestamente questo PG probabilmente so già che, chessò, durante la missione stealth, il mio posizionamento in fiction potrebbe risultare peggiore del ladruncolo Agile e mingherlino e non argomenterò “cose” per migliorami la sfida, per il sol fatto che in assenza di numeri sulla scheda “vale tutto”. In positivo, anzi, potrei sfruttare questa circostanziale “debolezza” per adottare l’approccio più lineare, onesto, interessante per il mio tipo PG e questo sarebbe davvero divertente.

In situazioni meno contrastate e più opache, questo tipo di approccio nei giochi poco (molto poco) strutturati richiama e si sposa, appunto, con quello che nella discussione al mio tavolo alcuni definivano fair play; una sorta di sforzo continuo a non utilizzare abusivamente l’ambivalenza delle parole come grimaldello per dire/ottenere qualsiasi cosa.
Come avete letto, per me si tratta più di coerenza dell’immaginato che di fair play, ma poco importa, proviamo a capirci (spero di averti risposto @LordPersi, cercherò di argomentare ancora nel corso del post).

Se hai una Spada vorpal +5 stai maneggiando una regola prima ancora che un’arma. A tutti al tavolo è immediatamente chiaro che quando uso questa regola ho X bonus al tiro per colpire + X bonus ai danni e che se faccio 20 taglio teste (mi perdoneranno i giocatori di D&D se non sono preciso).

Nei giochi meno strutturati, vendendola dal lato user (e quindi, in disparte la ragione per la quale i designer hanno cominciato a focalizzare i loro sforzi per lasciar emergere altri aspetti) questa regola manca. Manca lo spadone, manca la formula prescrittiva e manca pure la decapitazione.

E come ci si regola allora? È qui che alcuni giocatori sentono il terreno cedere sotto i piedi.

In BitD, ma anche in molti PbtA, hai una regola da cui attingere; magari è scarna ma c’è. Ad esempio, hai una definizione delle Azioni e hai una definizione delle Munizioni elettroplasmatiche; tutta roba che comincia a vincolare e veicolare l’immaginato. Anche qui il terreno potrebbe cedere sotto i piedi ma l’operazione di riallineamento comune è più semplice.

Se però gioco a The Pool, a Not The End a Fate, a NCO, ecc. potrei avere tra i tratti un Fischietto richiama anime che è vincolato solo dal significato dei sostantivi che compongono il tratto stesso.

Se il fischietto richiama le anime dei morti o anche quelle dei vivi non lo sappiamo; se funziona con un complesso rituale o semplicemente avvicinandolo alle labbra neppure lo sappiamo; se le anime richiamate sono asservite o vagano ignorandomi, nemmeno questo lo sappiamo; se posso richiamare anime millenarie e potenti, neanche questo è dato sapere. Probabilmente non sappiamo nulla neppure sulle anime all’inizio. Per il momento è tutto legittimo.

Dirò di più. Nella mia oneshot a The Pool - tema storico ucronico, livello di fantasy basso - uno dei giocatori è il curatore del British Museum ed è uno storico esperto di occulto. Nulla, in astratto, gli vieterebbe di proporre un conflitto portando in scena poteri paranormali/telecinetici/ecc. sebbene nulla di tutto ciò sia mai stato concordato preventivamente. Ma la domanda è: lo farà? Ha senso che lo faccia giocando onestamente quel PG, all’interno di quelle premesse?

L’assenza di vincoli può far sentire spaesati.

I vincoli li mettiamo noi giocando, rimanendo fedeli alle premesse tematiche e di scenario che ci siamo dati; in una parola, nell’ottica del mio tavolo, fair play. Che poi, altro non è che quello che dice qui Matteo:

Io però provocatoriamente vorrei andare oltre e chiedere quanto già detto prima: ma è davvero indispensabile questo “grande sforzo di gruppo”, tutto questo “fair play”? O è sufficiente giocare onestamente con quanto si è premesso e quanto finora si è portato in scena? Non è questo consustanziale e sufficiente all’atto del giocare un personaggio?

In misura decisamente inferiore un problema di “giocare onestamente” si pone anche in Blades in the Dark. È lo stesso Harper che, infatti, ci spiega di Non fare il furbo.

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Ok, Harper è un fenomeno e ce l’ha spiegato in tre righe, chiaro e tondo. Ma quante volte, in altri giochi, mi sono trovato in situazioni simili, in cui il significato di un sostantivo poteva dar adito a numerose (peraltro legittime) interpretazioni e allora anche smanettare con gli oggetti poteva diventare il modo per far colpo su qualcuno.

Davos, dannazione, o muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo…

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Per tornare alla tua giocata con The Pool: vi sono capitate situazioni di questo genere?

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Secondo me è necessario, ma non è sufficiente in molti giochi, come stai dicendo. Questa mia opinione si basa sulla discrepanza del concetto di fair play tra i giocatori (ognuno ha la sua testa, diversa ed indipendente dalle altre).

Personalmente ho trovato una soluzione che devo provare, tra le diverse soluzioni possibili più o meno giuste che possono esistere ad un problema che trovo ancora aperto.

Ti ridirò, ma non credo di farlo in breve tempo, avendo diversi nuovi impegni e giochi che voglio prima provare.

Mmm, no. Io ho detto cose un po’ diverse.

Quello che ho scritto nel mio lunghissimo post è che il concetto di “quello che abbiamo portato in scena fino ad adesso” non è l’unica cosa che influenza come tu vedi il tuo personaggio (e quindi come pensi che sia “onesto” portarlo in scena).
Viene influenzato anche da quello che tu inizi a percepire importante per il tuo personaggio, e che potrebbe allontanarti dalla premessa fatta quando abbiamo iniziato a giocare.

Il rischio è di avere un gruppo disallineato negli intenti creativi e - di conseguenza - di trovarti attorno al tavolo e giocare a due cose diverse in contemporanea. Tu giochi a un gioco dove la romance con un NPC è la cosa principale e lo scopo per il quale ti siedi attorno al tavolo, io a un gioco dove ottenere informazioni sul regno rivale è la cosa principale.

Se lo trasli su giochi da tavolo più facilmente riconoscibili negli intenti: tu ti siedi al tavolo e stai giocando all’Allegro Chirurgo, io mi siedo al tavolo e sto giocando a Risiko.
Sembra che stiamo giocando assieme, ma di fatto non è più così.

Un sistema più strutturato ci ricorda esplicitamente a cosa stiamo giocando (a cosa abbiamo deciso di giocare tutti assieme), togliendo il problema che nella mia testa le cose importanti cambino e diventino diverse da quelle che tu ritieni importanti.

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Matteo, a mio parere stai deragliando il thread sulle tue opinioni sui “sistemi strutturati”. Cercherei di rimanere ancorati all’esperienza di @DavideD.

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Credo che ci stiamo perdendo un aspetto, che per la mia esperienza ha rilevanza, e mi ha risolto (anzi, ha impedito che nascessero) contestazioni simili.
Non so bene cosa citare del thread perché mi riferisco ai parti diverse del post di apertura e del primo intervento di @Bille_Boo.

Domanda: dell’evento giocato, l’uccisione per mantenere la copertura, cosa rimane per il futuro?

Qualcuno ha detto che la cosa più importante sono le conseguenze della scena, e sono molto d’accordo. Questa è un compito che assolve necessariamente il GM, prendendo nota degli avvenimenti, per poi valutare cosa comportano (aggiorna i fronti, per dirla alla DW).

Poi è stato aggiunto che è soggettivo ciò che possiamo presumere di conoscere del personaggio, a fronte di quella scena.
È vero, forse è un po’ precipitoso dire che “ora sappiamo che non tiene alla vita altrui più di quanto non tenga alla propria sicurezza”. L’unica cosa, ed è importante, che possiamo dire con certezza, è che in quelle specifiche circostanze il personaggio sparerebbe. È circostanziale, ma è comunque indiscutibilmente vero.

Supponiamo che in futuro si crei (ad esempio) una situazione analoga, con lo stesso pg, che però stavolta fa una scelta altruistica, e salva qualcuno a proprio discapito.

Ci sono due possibilità.

  1. La cosa passa in sordina, e nessuno al tavolo nota “l’incoerenza”. Evidentemente non è un tema che interessa, i giocatori non hanno dato troppo peso a questa, quella, o entrambe le scene.
  2. Qualcuno alza la mano, e lo fa notare: "Ma scusa, l’altra volta John non ha fatto il contrario? Cosa è cambiato? Perché prima così ed ora cosà?

Io cerco sempre di comportarmi, sia come GM che come PG, come ho detto nel punto 2. Se il giocatore risponde onestamente a questa domanda, ottimo, adesso sappiamo davvero qualcosa del personaggio. Se dice di aver giocato a caso, e non c’è un motivo… beh per me è un peccato. Potrebbe anche essere un errore in buona fede, amen, non useremo quelle scene per “valutare” la psicologia del personaggio.


In coda a questo ragionamento…

È vero che i personaggi possono agire in maniera apparentemente incoerente, ma di solito significa che non abbiamo capito qualcosa di come pensano.
Questo rende molto rilevante le scelte che i giocatori compiono, perché anche se non ci sono indicatori meccanici che ne tengono traccia, se la scena viene ricordata dai giocatori (quindi se interessa) ci insegna qualcosa del personaggio. Può essere che non interessi, ed allora è come avere un indicatore meccanico che sta sulle croste.

Gli indicatori meccanici sono approssimazioni. Nella scena descritta da @DavideD potremmo averne uno che segna la propensione alla “violenza” o “illegalità”. Ma utilizzarne solo uno è come avere in mano un martello e vedere solo chiodi. Un pg che ripudia la violenza potrebbe essere tracciato come “violento” perché si è trovato una situazione senza via d’uscita, dove l’alternativa era qualcosa di peggio. Quindi, è violento? Non per forza, abbiamo imparato che tiene incredibilmente a qualcosa.

Ps: a parte che sono consapevole che gli indicatori meccanici di cui parlaimo non sono solo termometri lineari, ma è giusto per fare un esempio. Inoltre messa così sembra che non approvi questi strumenti di semplificazione… assolutamente no. Ma, appunto, sono approssimativi, di solito servono per creare conseguenze meccaniche, e la loro esistenza può essere definitivamente accostata a valutazioni a parte, non sono strumenti mutuamente esclusivi.

ByBobo

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Sto seguendo questo thread perché mi incuriosisce, c’è qualcosa che non mi torna, ma non riesco ad articolarlo. Non so se arriverò mai al punto di essere convinto di un qualche contributo da dare all’argomento principale.

In compenso c’è un passaggio dell’intervento di @Bobo su cui vorrei dire velocemente la mia. Nella citazione sotto il corsivo è mio.

Non sono d’accordo sul fatto che sia il GM a svolgere necessariamente questo compito. Cito e lascio cadere subito il banale controesempio che nei giochi masterless deve essere qualcun altro. Ma anche nei giochi con una ripartizione dei ruoli classica, tutti i giocatori partecipano a dare spessore alle conseguenze dei fatti già visti in gioco. È chiaro che ognuno lo farà nei limiti di ciò che il sistema gli consente, quindi rimanendo nell’esempio di Dungeon World il GM si occuperà di fare agire i propri personaggi e l’intero mondo coerentemente, ma è altrettanto vero che i singoli PG reagiranno secondo ciò che i rispettivi giocatori intenderanno.

Avrei vari esempi da portare, ma essendo già un punto piuttosto tangenziale non mi ci addentro.

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Hai ragione - ma perchè le due cose secondo me sono legate a doppio filo.

@DavideD chiede ai suoi amici:

E ha ragione dicendo che non siamo per forza obbligati ad avere questi indicatori. Tuttavia, i suoi amici rispondono:

E hanno ragione, perchè per non dimenticarsene sul lungo periodo - e per non essere disallineati nelle premesse condivise della storia che stiamo giocando, serve uno sforzo costante e un dialogo costante tra i giocatori (anche tra le sessioni), perchè non abbiamo una bussola costante che sono gli indicatori di cui sopra.

Quando Davide dice:

Ma non c’è solo quello che ho messo in gioco, c’è anche quello che ho pensato e provato mentre lo mettevo in gioco. Che modella (che io lo voglia o meno) la mia prossima scelta. E che però non è esplicitato agli altri attorno al tavolo. A meno che io non lo faccia volontariamente, o che qualcuno non me lo chieda (es. il GM che mi dice “e cosa hai provato mentre premevi il grilletto?”), o che le regole del gioco non mi forzino a esplicitarlo (es. i Belief di Burning Wheel o le domande di fine sessione di Blades).

Per cui, secondo me Davide ha ragione, ma sta sottovalutando la difficoltà a fare quello che sta dicendo (per esempio: @DavideD hai mai provato a fare una campagna da 12 sessioni a The Pool, per vedere se quello che hai detto ai tuoi amici è davvero vero e funziona?), e secondo me c’è della verità e sensatezza nei dubbi che i suoi amici hanno sollevato.

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Se mi date qualche giornata riporto un mio Actual play a Pendragon hackato che penso possa essere rilevante

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Io, se devo essere sincero, non ho ancora capito cosa si intende per Fair Play. Se si intende questo:

Allora il 100% dei giochi devi usare il Fair Play e la discussione non mi sembra abbia modo di esistere.

Attualmente mi sento in linea con quanto dice @Matteo_Sciutteri ma vorrei capirci qualcosa di più.

Ciao :slight_smile:

Ok @Eujohn, sono d’accordo, nessun lavoro al tavolo è “totalmente compito di una sola persona”, anche se non credo sia un punto significativo rispetto al discorso. Non credo che questo thread serva a parlare della distribuzione dei ruoli.

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(Mi permetto di fare una piccolissima moderazione che probabilmente non mi compete: quando ho aperto il thread sapevo di correre il rischio di offrire troppa carne e poco cotta; tuttavia ho cercato di fare uno sforzo per riflettere le questioni, perimetrare i temi e argomentarli con fatti, considerazioni ed esempi.
Magari non ci sono riuscito, ma ho fatto del mio meglio ragazzi; se qualcosa non è chiara, vi prego, rileggete. Sono argomenti difficili, ma non è meccanica quantistica. E se ancora non è chiara, vi prego, fate domande articolate, contestualizzate e argomentate così da darci la possibilità di capire i vostri dubbi. Siamo qui per discutere, in senso maieutico spero, non per assegnare patenti di verità o di vittoria).

Ho citato un tuo passaggio testuale per racchiudere quel concetto di fair play dei giocatori al mio tavolo perché mi era stato chiesto di chiarirlo; concetto peraltro che ho cercato di esplorare in lungo e in largo.
So che nel tuo lunghissimo post hai espresso un concetto che complessivamente è diverso, ma l’inciso che ho citato ben si atteggiava al concetto che mi era stato chiesto di spiegare.

Apprezzo tutti i tuoi interventi, davvero. Io per scrivere così tanti concetti ci metto tempo e quindi grazie di spenderne anche tu. Mi ha dato anche da riflettere quanto dici ma non mi ci sono soffermato perché credo che i temi che poni sono un pochino fuori traccia.

La risposta veloce è no, non ho detto questo. Anzi, la maggior parte dei miei interventi precedenti, con molti esempi, hanno dato centralità assoluta alle premesse.
Dal mio punto di vista sono addirittura più rilevanti di quanto non sia quello che finora abbiamo narrato; perché quello che narriamo dovrebbe, in qualche misura, dipendere dalle premesse. Probabilmente però intendiamo cose diverse con la parola premesse, non lo so, me lo dirai tu se vorrai.

È evidente che se stiamo giocando a tennis e ad un tratto comincio a far rimbalzare le palline sulla rete laterale perché voglio giocare anche a padel questo disallineamento ci impedirà di andare avanti. Ci impedirà di procedere innanzitutto perché c’è un meccanismo sanzionatorio che si chiama punteggio e poi anche perché è probabile che tu prenda e vada via dal campo. E lo stesso dicasi per Risiko e Allegro Chirurgo, certo.

Direi che lo stesso vale se ci sediamo per giocare a D&D e tento di giocare la politica di Vampiri o, appunto, se stiamo giocando una banda di Blades e voglio giocare la storia romance.

Non discuto nemmeno che un designer che si approcci alla sua creazione debba aver ben chiaro quello che vuole suggerire in modo da costruirci delle meccaniche che supportino l’intento creativo dei giocatori.
Quindi, il gioco più strutturato ci aiuta a ricordare cosa stiamo giocando? Non c’è dubbio.

Ciò non toglie che ci sono giochi (e di questi che stiamo discutendo) che quelle meccaniche non le hanno e allora qualche interrogativo sorge. Come ho detto, peraltro, l’interrogativo sorge anche in giochi eccezionali come Blades, in cui è lo stesso Harper a dirti: amico, non fare il furbo. Non usare le parole per offrire uno spettro di significati che non hanno; accogli le premesse e le regole che il manuale ti ha dato.

Il fuoco della discussione è appunto: in sistemi poco strutturati, tipicamente quelli a descrittori – dove c’è un’oggettiva carenza normativa su aspetti potenzialmente controversi perché coinvolgono l’eterogeneità di immaginario di ciascuno – cosa ci impedisce di deragliare? Cosa ci impedisce di utilizzare abusivamente l’ambivalenza delle parole? E, per converso, qual è l’elemento che ci consente di dare rilevanza a qualcosa pur senza avere un impatto meccanico sulla scheda?

Ero partito da un esempio che forse ha frainteso tutti, ma ne ho fatti anche altri, spero più significativi.

In Vampiri, un dannato che uccida senza motivo può subire una macchia e potenzialmente un perdita di Umanità. Il gioco ci tiene a questa cosa e ne lascia una traccia meccanica che ha ripercussioni.

Ma in The Pool (e altri n giochi) dove tutto ciò non c’è, l’omicidio di un’innocente è meno rilevante solo perché per il designer non era essenziale segnalare la scala morale? Secondo me dipende.
Potrebbe avere ugualmente una pari rilevanza (narrativa) se, come premessa, ci siamo calati all’interno di uno scenario e nei panni di personaggi che no, non farebbero omicidi a sangue freddo. Se invece stiamo giocando GTA probabilmente chissenefrega.

Ma capisco che i temi “morali” possono confondere, allora ho fatto altri esempi, sempre tenendo presente le domande: cosa ci impedisce di deragliare? Cosa ci impedisce di utilizzare abusivamente l’ambivalenza delle parole?

Ho fatto l’esempio della Spada tagliaferro, del Fischietto richiama anime, perfino delle Munizioni elettroplasmatiche o del Tiro Azione.

Se giocando a Blades continuo ad insistere a fare il piccioncino e a portare in scena dettagli romance non sto abusivamente piegando il sistema. Sto legittimamente portando avanti una giocata.
Probabilmente irrilevante e fuori fuoco e rischio che qualcuno si alzi a dirmi: ok, è tutto molto bello però avevamo deciso di giocare una banda di criminali e fare colpi, possiamo tagliare corto o ci tieni particolarmente a questa scena?

Ma mettiamo che mi siedo a giocare a The Pool in uno scenario realistico anni 60 sulla scena rock psichedelica in cui giochiamo a fare una band di yuppie. E se mentre gioco questo scenario io PG volessi portare in scena palle di fuoco dalle mani perché ho sulla scheda il tratto “piromane”?

Che cosa mi dovrebbe impedire di farlo?
Anzi, riformulo: è giusto porsi l’interrogativo se ha senso quel tipo di dichiarazione? O vale tutto solo perché non ho un vincolo esplicito nelle regole/scheda?
Non è “strano” che in uno scenario realistico, negli anni 60, uno yuppie californiano lanci palle di fuoco? In cosa è strano?

Dal mio punto di vista, infatti, lo dico qui:

Quindi per me il concetto di premessa è molto importante. Non necessariamente nell’accezione di “quale gioco stiamo giocando”, quali meccaniche stiamo sollecitando per trarre massima efficacia dal gioco. Ma proprio come premessa tematica in senso lato.

Qui sei fuori strada.
Ho aperto il thread e ho speso tanto tempo a discuterne al mio tavolo proprio perché al contrario lo ritengo molto difficile. E ti assicuro che non farei mai una campagna a The Pool nemmeno di 6 sessioni, proprio perché lo ritengo un gioco estremamente complesso per il tipo di esperienza che cerchiamo.

Ma penso anche che “educarsi” a questo modo di giocare, cercando di allinearsi continuamente e rimanere fedeli alle premesse tematiche, non possa che migliorare l’esperienza in tutti i giochi.

No, non è mai capitato. Vuoi perché siamo molto migliorati negli anni su queste cose, vuoi perché tutti hanno abbracciato con onestà le premesse tematiche dello scenario e dei propri PG. Insomma, non era un thread su The Pool (perché in effetti non abbiamo avuto alcun problema) quanto piuttosto sulle riflessioni tra di noi a valle di quella giocata.

Bobo, non posso aggiungere altro al tuo intervento perché mi trovo in linea con quello che hai detto e col tuo approccio. Forse avrai capito che l’esempio che ho portato inizialmente potrebbe aver creato qualche confusione: il fuoco della discussione con i miei amici non era certo mettere sotto esame le scelte del pg.

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Il master
(Lemmi al vento in numero sufficiente per raggiungere 15 parole e rendere legale questa risposta)

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Grazie della risposta.

Il motivo della mia domanda è che a volte può capitare di porsi molti interrogativi basati non su problemi effettivamente incontrati, ma su problemi ipotetici che riteniamo possibili. Capita anche a me, eh, molto spesso, infatti è una cosa a cui ho imparato a fare attenzione.
Non dico che sia per forza il tuo caso, ma se un problema è molto “sentito” nelle conversazioni off game ma di fatto non si presenta mai al tavolo potrebbe essere indice che quelle conversazioni sono un po’… un fuoco che si autoalimenta, non so se mi spiego.

Chiariamoci, neppure io farei una campagna di 12 sessioni con The Pool, ma per altre ragioni, non perché io creda che il tavolo finirebbe per “disallinearsi” senza indicatori specifici.

Se stiamo giocando uno scenario realistico anni '60 e tu vuoi che il tuo PG lanci una palla di fuoco dalle mani… beh, tutti ci scambiamo una bella occhiata.
Magari qualcuno direbbe: “ma dai, non ha senso!”, trovando l’accordo degli altri. A quel punto tu potresti impuntarti, e l’unico sbocco sarebbe smettere di giocare insieme. Oppure potresti dire: “è vero, penso a qualcos’altro” e ridimensionare la tua dichiarazione.
O, magari, tutti accetteremmo la tua dichiarazione con entusiasmo. E se va bene a tutti, dov’è il problema? Evidentemente avevamo detto di voler giocare realistico ma non è così, oppure abbiamo un’idea molto particolare di “realistico” (che in fondo è solo una parola).
Forse mi sbaglio ma direi che in tutti i casi il “riallineamento” è immediato.

Tra l’altro, parliamoci chiaro: se stai usando il tratto (mettiamo sia un tratto da +2) sei in un conflitto, e il tratto ha lo stesso valore (sempre +2) sia che tu dica che lanci una palla di fuoco, sia che tu dica che lanci un fiammifero. Non è che descrivere la palla di fuoco sia in qualche modo più vantaggioso. Quindi, avendo tu amplissima libertà di “giustificare” l’uso di un certo tratto, non vedo perché dovresti insistere per usare una specifica descrizione.

Mettiamo che invece stiamo parlando di un monologo di vittoria: hai superato il conflitto col tuo +2, e ti metti a narrare che l’hai superato a suon di palle di fuoco. Non è che ti sia vietato farlo. Però sei responsabile di quello che dici e delle conseguenze che ha sulla giocata. Se le altre persone ritengono che la tua descrizione non vada bene (nel senso: che “rovini” la giocata, magari al punto tale che non se la sentono più di partecipare) te lo faranno presente, e tu deciderai come regolarti.

Il punto non è che stai “usando l’ambivalenza delle parole” del tuo tratto. Potrebbe capitare anche con un “pezzo” di descrizione che non è per niente legato a nessun tratto. Potrei (così, distrattamente) parlare di un disco volante nel cielo, che a me sembra appropriatissimo negli anni '60 in USA e mi sembra pure realistico (magari ci credo davvero agli UFO e robe simili) e al resto del tavolo sembra una grossolana pacchianata. Nessun tratto coinvolto. Qualcuno mi dirà: “eh, ma che pacchianata!”, e ci chiariremo.

Insomma, la mia risposta è: “no, non è che vale tutto, vale quello che come gruppo di persone ritenete appropriato; se ci sono incomprensioni, se ne parla e si prova a risolverle”.

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