Buon pomeriggio.
Io ho giocato molto estensivamente questa classe, ricordo di essere stato uno dei primi in Italia a cominciare a proporla nei gruppi. @Viandante Mi sembra che alla versione che hai postato manchi qualcosa, o che sia stata modificata (mi pare l’autore sia @Vurnat, magari può chiarirci lui). Consiglierei la versione indicata più sotto da @TakFog.
A mio parere questa classe richiede una cosa per essere giocata: che non ci sia confusione al tavolo sul rapporto tra giocatore e master.
C’è una cosa che The Alexandrian ha chiamato un po’ provocativamente “sindrome da giocatore abusato”: e io l’ho vista accadere tante volte; ovvero dove il giocatore preventivamente usa la scheda e le regole per ritagliarsi uno spazio protetto dove può mantenere la sua agentività, in contrasto al GM che gliela toglie di continuo – e questo può anche accadere per riflesso in un gruppo sano con un GM che segue le indicazioni del libro .
Se questo accade, è un problema a priori, ma è un problema più grande con questa classe, che richiede un certo tipo di impegno da parte del giocatore a mantenere la sanità e la coerenza interna della narrazione. Se il giocatore pensa “posso fare tutto”, e poi il GM lo deve fermare, non ci siamo proprio.
La classe serve a inventarti il tuo tipo di mago, con le sue potenzialità e limitazioni. È il giocatore che deve proporre delle limitazioni che pensa siano significative e che entreranno in gioco in qualche maniera. Ho fatto una campagna molto bella dove il giocatore si era inventato che la sua magia era illusoria, ovvero che non poteva avere alcun effetto fisico. È stato molto creativo il modo in cui cercava di risolvere certi problemi, e ci siamo tutti divertiti molto. Era molto impegnato nel rendere il sistema di magia che usava il suo personaggio credibile e coerente per gli altri.
In breve, come tutte le cose: se la usi correttamente, funziona bene, anzi benissimo. Se la usi male, funziona male.
Parentesi: subire o agire sulle regole
Faccio un piccolo commento aggiuntivo, che in realtà è qualcosa di abbastanza importante che penso da tempo.
Sono abbastanza infastidito dalla moda corrente di interpretare il game design dal punto di vista esperienziale, ovvero “qualcosa che ti fa sentire o fare qualcosa”. In quest’ottica il giocatore è passivo e tutte le sue azioni e decisioni sono determinate dalla “spinta” delle regole o del sistema. Insomma, subisce il sistema invece che agire su di esso.
Questa è un’abitudine più grande all’interno della critica occidentale dell’arte e la vediamo anche nei film e nella narrativa, e anzi la vedo anche al lavoro nel design del software, ma è particolarmente grave per i media interattivi come giochi di ruolo e videogiochi, dove la presenza attiva del giocatore è elemento fondamentale.
Se il Mage ti “permette” di fare una cosa, e non ti ferma, vuol dire che la devi fare? Dobbiamo misurare le cose secondo quello che non ci impediscono di fare, o secondo quanto potenziano la nostra abilità di fare cose che vogliamo fare?
Siamo dei consumatori che esperiscono gli effetti di un sistema scritto da altri? O siamo degli agenti dotati di arbitrio che fanno uso di uno strumento?
Se compro una chitarra, dovrei misurarne la qualità secondo quanto si suona da sola?