È legittimo non giocare con giocatori meno abili?

Salve a tutti e tutte e grazie per le risposte.
Specifico meglio cosa voglio dire.

Ecco a cosa mi riferivo, esattamente a questo.
Perchè si sa…

  • " Pathfinder lo ha creato Monte Cook quindi sono uguali ";
  • " Vabbeh ma Pathfinder è un D&D 3.5 semplificato, lo sanno tutti "
  • " Ok, ma è sempre un gioco fantasy, alla fine sempre D&D è! "
  • " Ma Luciano scusa: ha le classi uguali, il sistema è identico, i mostri sono identici… il gioco è come D&D è uguale! "
  • " Guarda che se Pathfinder esiste è perchè la quarta edizione faceva schifo, quindi cosa stai dicendo che non so giocare di ruolo?? "

E queste sono solo alcune delle frasi che mi sento dire da anni da gente che dichiara e talvolta vanta, di conoscere benissimo i gdr, che sono espertissimi di pathfinder poichè hanno spulciato velocemente il manuale ecc.

Ora intendiamoci, io non sono pagato dalla Paizo per fare pubblicità ai suoi prodotti, ma oggi ormai trovo sfiancante dover spiegare ogni volta che…
“Ebbene si: Pathfinder e D&D sono due gdr profondamente diversi.”

Io sono consapevole di partire svantaggiato rispetto ad altri master, perchè è un po’ come essere il fratello di un delinquente famoso: " se è poco onesto lui figurati se non lo sei tu! ", dopo tutto si sa: la mela non cade mai troppo lontano dall’albero.

Ed ecco che, con queste premesse, arriva un giocatore colmo di buoni propositi, con un sorriso da un orecchio all’altro e una scheda già compilata in mano che annuncia raggiante
" Ciao Lucià, allora il PG che voglio fare è UN NANO GUERRIERO! "

Provate ad immaginare per un attimo (se non vi ci siete mai trovati) la frustrazione che io provo quando devo spiegare per l’ennesima volta che…

" Se dici Nano Guerriero, non stai creando un PG stai soltanto appiccicando una razza e una classe in modo totalmente impersonale, senza concetto narrativo nè storia.
Perchè esistono molte varietà di nani, ognuna con la sua storia, e la classe individua solo una nicchia di abilità specifiche che possono essere modificate da archetipi di classe e che “Guerriero” è solo il nome di una classe, ma non indica che cosa sei nè che lavoro fai, nè se sei sposato e dove sono i tuoi famigliari, come ti vesti e che gusto di gelato piace al tuo PG.

Però tutti questi dettagli, per il giocatore che mi chiede di fargli da master, sono dettagli secondari, di scarsa importanza… perchè? beh la risposta è semplice:

Purtroppo la mia passione giace sotto il peso di un fratello scomodo: quel famoso mezzorco barbaro ignorante caotico malvagio che tanto ha reso famoso quel gioco da cui si fa tanto per cercare di staccarsi.

Ma poi, con impegno e dedizione avviene il miracolo.

Eh si, perchè cari utenti di questo forum che con misericordia avete la pazienza di leggere questo mio sfogo, l’illuminazione sulla via di Damasco prima o poi giunge in mio aiuto.

Infatti da Master, pur di dimostrare che i mezzorchi barbari ignoranti non esistono (altrimenti l’intera stirpe sarebbe già estinta se i suoi membri fossero pazzi suicidi) ci metto anima e sangue (Cit.) nello scrivere una storia che fa riferimento (al contrario del fratello 3.5) ad un’unica ambientazione

A Kenabres, nel Mendev, esiste una Pietra di Guardia, e quella Pietra di Guardia esiste a prescindere che sia io il Master o chiunque altro. Poi, ovviamente, è il master a decidere se quella importantissima Pietra di Guardia giochi un ruolo fondamentale nella sua storia oppure sia solo un elegante complemento di arredo, ma questo è conseguenziale, prioritariamente c’è il fatto che se accetto di giocare ad un gdr che ha un’unica ambientazione quella Pietra di Guardia dal ruolo ancora da decidere esiste per tutti i master che giocano a Kenabres nel Mendev.

E quindi il problema non è più decidere solo razza e classe, ma capire dal background del pg se sia il caso di usare una razza già fatta, una modificata oppure di crearne una nuova e se la classe scelta vada bene così, oppure necessiti di applicare un archetipo oppure ancora di creare un archetipo adatto allo specifico pg.
Ed ecco che un Medium può essere un potente mago occulto, oppure una persona con un Distubo Dissociativo dell’Identità che se cede troppo alla sua patologia raggiungendo 6 punti influenza (invece che 5) il disturbo di cronicizza ed il giocatore perde il PG.

Se ci pensiamo, tutto questo è una grande banalità: devi creare un pg in base alla tua fantasia, non in base ad un regolamento applicato sterilmente, poi l’ambientazione farà tutto il resto… per Vampire non si sta a discutere se gli Assamiti siano stati maledetti dai Tremere o no, da metaplot è così e se non lo sai lo leggi e lo impari, fine della storia.

Ed io mi sono stancato di dover spiegare queste banalità, queste cose scontate.
E mi piacerebbe che accadesse che i player al tavolo che ascoltano le storie che scrivo ispirate al Corano, che riflettono sulle Geometrie Non Euclidee, che si interrogano sul significato di Dio, che propongono l’ambivalenza del Concetto di Bene e Male, si entusiasmino per la storia che scrivo e non perchè
" Caspita! Certo che sei un grande! Hai trasformato D&D 3.5 in un gdr serio

Un gdr serio lo era anche prima, e la mia passione era seria anche prima, e il mio impegno era serio anche prima, ma ormai mi sono stancato di dover spiegare ogni volta che “no, non stiamo giocando a D&D!

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Ciao @LucanoAmaro

Mi sento molto vicino a te come bagaglio di esperienze e come cultura di gioco.

Ho giocato e apprezzato Pathfinder prima edizione (non ho ancora giocato la seconda, ma l’ho letta e mi piace). E ho giocato e apprezzato D&D 3.5 per oltre un decennio: è l’edizione con cui ho iniziato a masterare seriamente. Mi piace, mi piacciono entrambi. In questo credo di essere una mosca bianca su questo forum.

Ed è interessante il fatto che io mi ritrovi moltissimo in diverse cose che hai detto.

Interessante perché, avendo avuto esperienze simili, credo di poter capire bene come ti senti e che cosa vuoi dire. Sapessi quante volte mi sono trovato, sia in passato che in tempi recenti, a scagliarmi contro l’idea che il binomio “razza + classe” bastasse, da solo, a riassumere completamente un personaggio, come un’unica identità monolitica (e stereotipata). Oggi poi più che mai, con tutti i meme che impazzano sul mezzorco barbaro o sul bardo marpione. Sapessi quante volte è capitato anche a me di invitare i miei giocatori a pensare il loro PG nella loro fantasia, che ci avremmo pensato dopo a “tradurlo” in una veste meccanica.

Interessante, però, anche perché queste esperienze simili le ho avute, pensa un po’, con quel D&D 3.5 da cui ci tieni così tanto a rimarcare le distanze. Il che può suscitare (spero) qualche riflessione. Su se davvero il tuo problema sia riconducibile a un’ipotetica, netta divisione tra i due giochi in quanto tali. O se, piuttosto, tale divisione sia un capro espiatorio, mentre il vero problema sta altrove (e rimarrebbe invariato anche se domani, con un tocco di bacchetta magica, cancellassimo D&D e tutto il suo brand dalla mente di tutti). Io propendo per la seconda ipotesi.

Ma andiamo per gradi.

Se fossi arrivato per primo a rispondere a questo thread, ti avrei chiesto di mettere un attimo da parte tutti i discorsi su sistemi di gioco, ambientazioni, edizioni, “abilità” come master, e farmi invece un singolo esempio concreto di un caso che ti è capitato in cui “ti sei indisposto, annoiato e hai smesso di giocare” (come dicevi all’inizio).

Penso che partendo da quello ti potrei aiutare molto (anzi, sarei contento di potermi rendere utile su questo forum, per una volta :grin:).

Dato che @ranocchio è giunto prima di me e ti ha invitato a fare la stessa cosa, sono rimasto in disparte evitando quella che sarebbe stata solo una ripetizione.

Questo tuo ultimo commento un germe di esempio concreto lo contiene, questo qui:

Ora, io vorrei darti una risposta, e non una risposta chiusa ma una risposta aperta, con delle riflessioni insieme a delle domande per capire meglio. Andando per gradi, appunto. Offrendoti man mano la mia esperienza da confrontare con la tua ogni volta che potrò.

E potrei cominciare da qui: è un inizio non ottimale, forse (perché riguarda il pre-gioco più che il gioco in atto), ma può funzionare.

Prima però ti vorrei chiedere, per sicurezza, se sei convinto che vuoi riferirti a questo esempio oppure, ripensandoci, me ne vorresti fare un altro.

Se tu dovessi pensare all’esempio migliore di una scena di vita vissuta che incarni il nocciolo del tuo problema, sceglieresti questo?

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Ciao LucanoAmaro: benvenuto sul forum e buon Anno!

Ma no, Pathfinder è D&D 3.75 :stuck_out_tongue:
Scherzi a parte, Pathfinder è nato dalla 3.5 come la 3.5 è nata dalla 3.0: pur avendo delle modifiche che alla fine lo rendono un gioco diverso, il corpo base rimane lo stesso. Difatti io stesso prendevo in prestito delle cose da Pathfinder per portarle in 3.5 e viceversa. Questa cosa rende molto facile il passaggio tra un sistema e l’altro e crea una forte confusione quando si parla di questi giochi.

Tuttavia più che un problema di edizione, trovo un grosso problema che hanno molti giocatori di D&D ed affini: “se è un fantasy, è D&D”. Ed è un grosso problema non solo quando porti Pathfinder ma anche quando porti giochi diversi ma sempre fantasy (mi capitato con Dungeon World). La soluzione purtroppo non c’è e quindi non posso che darti la mia comprensione.

Un Problema che trovo diverso è invece:

Questo è una cosa che ho notato che hanno quasi tutti quelli che giocano ai GdR per la prima volta: l’unica cosa che hanno in testa (a meno che non sia “il Legolas di turno” che porta altri problemi) è che vogliono fare il Nano Guerriero, l’Elfo Mago, il Mezz’orco Barbaro, ecc. Non so da cosa sia dato, ma è una cosa comune. Per questo sto iniziando ad apprezzare i GdR che spingano a dire qualcosa di più. Tuttavia il problema rimane: il giocatore parte da uno stereotipo e va avanti a stereotipi; a volte poi si evolve in un personaggio, a volte smette di giocare. Il problema fondamentale è che come DM non hai appigli per offrire al giocatore qualcosa di più.
Il mio consiglio, se non siete il tipo di gente che odia la sessione zero (=una sessione dove si discute di cosa ci si aspetta dal gioco e di gettano le basi per iniziare a giocare), è di non far arrivare la scheda già compilata, ma prepararla in sessione zero, ponendo domande al giocatore sul suo personaggio e sul gruppo in generale. Dare una linea guida in questo va oltre lo scopo del forum (è più un articolo da blog che non da discussione), ma il mio consiglio è questo. Naturalmente se ti sei già scocciato ampiamente di discutere di queste cose, non so quanto tu possa aver la voglia di fare questo :slight_smile:

C’è poi una cosa che mi sfugge nel finale: Pathfinder non ha un’ambientazione (cioè, ce l’ha, Golarion, ma non è esplicitata nel manuale) quindi esattamente cos’è che un giocatore dovrebbe leggere? Perché prt leggermi tante e tante pagine di un’ambientazione, quell’ambientazione mi deve piacere a prescindere, altrimenti non le leggerò mai e questo vale per moltissima gente. La tua ambientazione da quante pagine è composta?
Anche perché:

Pathfinder non è un romanzo: se quelle informazioni mi servono nel gioco, bene, altrimenti tre secondi dopo le avrò scordate!

Sulla chicca finale:

Hai tutta la mia comprensione…

Ciao :slight_smile:

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Sono un attimo perplesso dalla tua risposta.
Perché, a parte un paio di esempi su differenze di ambientazione, non hai portato alcun esempio che dimostri che Pathfinder e D&D 3.5 si giochino in maniera differente.
Il loro sistema è assolutamente simile - e non parlo solo delle regole scritte nel manuale. Parlo delle procedure che poi si applicano al tavolo, la divisione delle autorità, quando e come si ingaggia con le regole e i tiri di dado, quanto pesa la narrazione e come si svolge il flusso “narrazione → meccanica → narrazione”.

Attento: non sto dicendo che sono uguali. Sto dicendo che nel tuo post non hai spiegato perché ritieni che siano diversi. Però tutto il tuo post sembra voler rispondere proprio su questo punto (mentre mi sembrava che il post di apertura fosse più aperto su l’argomento chiave - e cioè se è più o meno legittimo giocare con persone con le quali non ci si trova).

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Ho detto esplicitamente che mi sembrava che questa parentesi del confronto tra D&D3.5 e Pathfinder sia superflua, se non per quanto concerne il chiarimento delle esperienze di gioco di @LucanoAmaro. Non rendiamola l’argomento di questo dialogo per piacere. Non è sicuramente qualcosa che è necessario dimostrare, se non prendere atto che OP li percepisce come giochi differenti nonostante le somiglianze che sono ovvie a tutti – vuol dire che alla pratica del tavolo li vuole giocare come giochi diversi, e tanto basta. Discutere se sia qualcosa che viene dal manuale o da lui ha poco a che vedere con il gioco concreto a mio parere.

Mi interesserebbe però sapere a che edizione di Pathfinder stai giocando, @LucanoAmaro, cosìcché io possa etichettare correttamente il thread.

Mi riferisco ad entrambe le edizioni.
Perche gli esempi che ho riportato le ho riscontrate in entrambe le edizioni, cioe ci sono stati giocatori che costruivano pg in seconda edizione dicendo che i giohi erano uguali (dnd e PF).
Lo scopo del mio post è parlare del mio disagio, non fare una esegesi delle differenze fra i due giochi, perche anche qualora volessi farlo non sarebbe la sede adeguata, ma soprattutto per esperienza sarebbe inutile, perchè tanto avete gia deciso che i giochi hanno differenze che pure notate ma che sono “trascurabili”. E sono sicuro che le persone di questo forum non riducono mai i gdr al mero sistema regolistico, ma anzi si valuta anche ambientazione, costruzione pg, temi narrativi, l’esperienza di gioco che ti offre ecc.
Io la vivo come una questione di radicato pregiudizio.
E non posso invitarvi tutti a giocare con me per farvelo capire, quindi ora magari potete fare “atto di fede” e dare per buone le mie parole e accettare che delle differenze ci sono e sono importanti, e il fatto che vengano svalutate costantemente mi causa disagio.

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Immagino che il punto sia che non importa se siamo d’accordo con te o meno o ti crediamo, la cosa importante è che alla pratica tu giochi (o vuoi giocare) diversamente, quindi preferirei parlare di quello, che mi sembra più interessante. Dato che non è ovvio a nessuno qui, penso tu debba raccontarci ancora più nella pratica qualcosa che ti sia successo al tavolo.

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In senso molto generale hai ragione. Su questo forum, generalmente chiamiamo “sistema” l’insieme delle procedure come applicate nella pratica al tavolo. Non necessariamente quanto espresso sul manuale.
A noi interessa osservare il sistema in gioco nella sua pratica concreta. Non sei obbligato a usare questa terminologia ma almeno te la chiarisco nel caso tu ti imbatta in essa.

Puoi approfondire qui.

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beh scusa, mi trovo in parte in disaccordo.

Perchè se la differenza che lui percepisce è il metro (o parte importante del criterio) su cui misura l’incapacità degli altri giocatori, è bene che capiamo di che differenza si tratta.

Soprattutto se molti dei frequentatori del forum, come il sottoscritto, non ritengono vi sia alcuna differenza reale nel sistema che quei due giochi propongono per il tavolo da gioco.

Se poi il sistema concreto giocato al tavolo da Luciano usando Pathfinder è davvero diverso da quello che in tanti altri tavoli viene giocato usando D&D 3.X o 5, in prima approssimazione lo sa soltanto Dio e forse Luciano (e io se giocassi con lui …)

Almeno fino a quando non chiarisce appunto in cosa consista concretamente questa differenza.

Senza questa spiegazione, cosa rimane del suo post?

Solo una pacca sulla spalla: “trovati giocatori a cui piacciono le tue stesse tematiche” e "Amico mio, ci sono passato e ci passo anche io tuttora, se vuoi come degli alcoolisti anonimi, ci raccontiamo di quella volta in cui volevo giocare una profondissima campagna sul concetto di Cavaliere, cosa è e cosa fa un Cavaliere? C è bisogno di un Cavaliere? Cosa fa con la sua forza e i suoi privilegi, umani e sociali, un Cavaliere? Un Cavaliere presuppone un Re? E chi è, il Re?. E di come i miei due gruppi storici mi abbiano entrambi sfsnculato. "
Etc etc etc ne ho tante se vuole.

Rimane solo un certo interesse per questo nuovo @LucanoAmaro , visto che, a mio parere, un’esigenza come quella che lui ha manifestato in questo thread, testimonia da sola un grande potenziale.

Ma senza passare dalle forche caudine (che sono dalle sue parti se non mi inganno) dell’analisi dei sistemi di gioco, in primis quelli che lui ritiene tipici di certi giochi, non credo si vada da nessuna parte.
E lo sai Claudio.

A meno che tu non lo voglia invitare al tavolo da gioco, che sarebbe il non plus ultra

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Ho chiesto infatti di chiarire la differenza che percepisce, alla pratica, ma ho anche chiesto di non ingaggiare in un dibattito sulla questione delle effettive differenze tra i due giochi, che a mio parere sarebbe sterile.

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Vabbè, questa discussione si sta trasformando in “siamo tutti cretini i due giochi sono identici e tu sei l’unico pazzo visionario che vede cose che non esistono”.
È un film già visto.
E so gia come finisce.
Il sistema è reperibile online puoi confrontarli se vuoi apprfondire, stavo parlando di esperienze personali non di quedtioni “ideologiche”.
Grazie per avermi “ascoltato” e data la possibilità di esprimermi.
Grazie a tutti e tutte.

@LucanoAmaro , se ti interessa parlare di gioco concreto e di quello che fai/vuoi fare al tavolo, sei il benvenuto a continuare e la troverei una discussione interessante. Altrimenti stiamo parlando di niente. La tua o la mia, o quella di alcun altro, percezione di cosa sia Pathfinder o D&D3.5 sotto un profilo essenzialista o confrontando i regolamenti non è rilevante al tuo problema o al gioco di nessuno dei partecipanti a questa conversazione.

Non capisco perché questo sentirsi aggredito o insultato. Non penso interessi a nessuno qui darti del pazzo, e se rileggi i messaggi ti renderai conto che non è così. Abbiamo tutti esperienze eterogenee e l’obiettivo di discussioni come questa è di confrontarle.

Mi pare evidente che per te c’è una differenza significativa, e tanto dovrebbe bastare – quello che devi capire è che questa differenza non è ovvia alla maggior parte delle persone qui, e perciò vorrei parlare, nella pratica, di cosa fai o vuoi fare, al tavolo.

P.S. Chiederei gentilmente a tutti quanti di smettere di premere su questo punto.

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quello che vorremmo sapere, perchè ci farebbe davvero piacere saperlo è come giochi tu quando ti siedi con Pathfinder (ma anche don D&D se è per questo, a prescindere da come qualsivoglia di noi percepisca uno o l’altro) !

@Bille_Boo gioca D&D da 700 anni, ha avuto la pazienza di capire le assurdità che questo forum propone per cercare di giocare meglio, giocare diverso (giocare più “d’autore”?) e il linguaggio o la matrice di analisi del gioco concreto che una parte significativa di chi sta assiduamente qui ha in testa.

Sta venendo fuori, @Bille_Boo lo saprà dire meglio di me, che molto del gioco concreto del suo e del nostro mondo si assomiglia, che c è la possibilità di arricchirsi, per tutti, e che le differenze spesso non stanno in una regola di muovimento o di ferite, ma in altro, più importante e denso.

Spero che anche a te vada di fare lo stesso percorso insieme, perchè potremmo uscirne arricchiti.

Quanto ho scritto significava questo: cerchiamo le differenze profonde fra il modo di giocare che ti soddisfa e quello che ti frustra quando lo trovi al tavolo in altri, perchè fino a che paragoni astrattamente pathfinder e D&D io non ti capisco, perchè non ti posso capire.

Ma non riuscirei a capire dove trovi il problema nemmeno se mi dicessi che giochi al Silenzio dei Minotauri e ti frustra un gioco “alla D&D”, nonostante l’approssimazione mi risulterebbe certamente più familiare e ragionevole.

Perchè non so come davvero giochi.

Se non vogliamo parlare di questo, davvero rimane solo una comprensione a distanza su un atto di fiducia, che suonerebbe più o meno così: “hai trovato un buon posto dove sfogarti, in giro c è tanta mediocrità, qui hai trovato pane per i tuoi denti, ti capiamo”.

Ma forse risulterebbe un pò supponente e antipatico non trovi? Prima di tutto da parte nostra!

Perciò, se vuoi, ti va di raccontarci di un piccolo pezzo di un momento concreto di gioco in cui questa differenza fra ciò che desideri e provi a giocare e ciò che altri al tavolo invece facevano ti ha fatto cadere le palle?
In cambio te ne racconterò uno mio!

P.S. Non lo dire a @ranocchio … ma qui hai davvero trovato gente di un livello supersayan …

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@LucanoAmaro , come ti ho detto io ti capisco, e sono solidale con te. Ti credo. Posso anche capire (per esperienza personale) come l’arrivo su un forum nuovo, specie se imperniato su una cultura un po’ diversa, possa essere foriero di incomprensioni e di qualche frustrazione.

Se ti va di riconsiderare la mia domanda, oppure di darmi il via libera a proseguire con quell’esempio, mi piacerebbe aiutarti a chiarire queste incomprensioni in modo che anche gli altri qui possano capirti al meglio. Credo che, superato questo scoglio, avrebbero molto di utile da dirti.

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@LucanoAmaro credo che tu abbia frainteso il senso dei vari post.
Non è della differenza tra Pathfinder e D&D che ci interessa in sé e per sé ma del fastidio che stai provando. Il tuo post contiene diverse questioni: il fastidio come giocatore quando ai a che fare “col DM sbagliato” ed il fastidio come DM quando hai a che fare “con i giocatori sbagliati”. Tuttavia l’unico cosa che lo ha esplicitato a chi non gioca a D&D o Pathfinder (sono vari in questo forum) è stato:

E lato Master hai accennato a qualcosa:

Ma che evidentemente è stata poco capita.

Ipotizzo, ma è solo una mia ipotesi non suffragata da niente, che tu stia provando lo stesso fastidio che ti ritrovi quando devi spiegare le cose per la migliardesima volta e pensi che questo sia dovuto al fatto che consideriamo D&D e Pathfinder uguali; invece è che stiamo cercando il tuo fastidio perché molti non lo hanno compreso.

Quindi rinnovo l’invito di Bille Boo e di partire da uno dei punti che ti dà fastidio per procedere con la discussione :slight_smile:

Ciao :slight_smile:

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No, fai bene. Se ti piace giocare di ruolo con un’ambientazione definita, e pretendi che tutti abbiano una conoscenza molto approfondita, didascalica, sia dell’ambientazione, sia del regolamento, allora dovresti trovare un gruppo di persone che condivida questa visione.

Personalmente ritengo che sarà molto difficile, ma con i mezzi a tua disposizione nel 2023, forse almeno online riuscirai a costruire un gruppo con le tue stesse preferenze.
In fondo, Pathfinder sembra abbastanza diffuso come brand, quindi non dovrebbe essere così dura.

E questa è l’ovvia conseguenza, se ti crei un gruppetto di amici eterogenei che sicuramente non hanno la tua stessa visione del gioco, e probabilmente non vogliono leggere 300 pagine di regole e di ambientazione per calarsi in un hobby.

Come forse avrai già intuito anche tu, io vedo solo due strade:

  • La prima è quel che ho scritto sopra: crea un gruppo che abbia esattamente la tua visione del gioco.
  • La seconda: provi a cambiare totalmente il tuo modo di intendere il Gioco di Ruolo, e fai del tuo meglio per integrare nel tuo modo di giocare una delle abilità che i master dovrebbero avere o sforzarsi di sviluppare: la voglia di trasmettere la passione agli altri; la voglia di insegnare loro le regole, ripetendole decine di volte, se necessario; la voglia di mostrare il mondo dove si svolgono le avventure agli altri, descrivendo prima a pennellate grezze le zone più importanti, poi con dettagli più fini i luoghi, gli eventi, le persone che più saranno importanti nell’avventura che state per affrontare.
    Anche se conosci molto a fondo l’ambientazione, cerca di non fare il cicerone, usando ore per descrizioni “inutili”, ma entra subito nel gioco, descrivendo solo gli elementi più vicini a loro in quel momento. E’ probabile che in questo modo comincino a fissarli, se riesci a coinvolgerli.
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Ok aggiungo esempio.
Nell’ultima sessione è arrivato un giocatore che ha portato una scheda già compilata di pg e che come unico concetto di pg è stato “faccio il nano guerriero”.

Ho trovato molto difficile non sembrare impaziente e arrabbiato, quasi offeso da una tale superficialità di atteggiamento al gioco.

Un diverso giocatore dello stesso tavolo, sempre con tono tranquillo e quindi convinto mi ha anche chiesto anticipazioni sul “finale della campagna” come se essendo il mastet dovessi stabilire io, a prescindere, il finale della storia.

È stato davvero frustrante e avvilente per me dovermi vedere nella condizione di non sopportare più questi atteggiamenti scontati e questa necessità di dover ribadire e rispiegare principi ovvi di ogni gdr.

Ecco quanto è successo.

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“Ah boh non lo so, sicuramente i vostri personaggi moriranno male” = risposta standard

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Pur partendo dalla premessa che non conosco Pathfinder penso di poter rispondere su questo punto. Tutti i giochi hanno un margine che viene lasciato all’interpretazione di chi ne usufruisce, e per i giochi di ruolo questo è doppiamente vero essendoci spesso una figura, il GM, che ha un ruolo particolare. Io dubito che nel manuale ci sia scritto “è importante che tutti i giocatori conoscano l’ambientazione in maniera approfondita” ma anche se fosse sarebbe un’indicazione largamente ignorata per i motivi detti da @AndreaParducci: pochissime persone hanno sia il tempo che la voglia di farlo.

Quindi a questo punto la mia domanda è: quando hai proposto ai giocatori di giocare con te hai detto semplicemente “giochiamo a Pathfinder” oppure sei stato chiaro nello specificare tutte le tue esigenze? E riguardo la conoscenza dell’ambientazione e del regolamento, hai ricevuto una risposta poco convinta oppure una risposta affermativa entusiasta? Nel primo caso, il giocatore che si è presentato con il nano guerriero te lo puoi aspettare: è un altro modo di vedere il gioco, sicuramente più superficiale ma non per questo meno valido (e probabilmente pure maggioritario, se andiamo a guardare).

Per ricollegarmi a quello che ho scritto sopra, non esiste Pathfinder: esiste il vostro Pathfinder, che può perfino essere in contraddizione con il testo delle regole nello stesso senso in cui tutti giocano a Uno cumulando i +2 e i +4 anche se le regole dicono che non si può fare. Tu hai un’idea in testa di cosa vorresti ottenere dal tuo gioco, ma devi essere bravo tu a comunicarla e assicurarti che venga capita.

Ti lascio il link a uno strumento che ti potrebbe essere utile a comunicare chiaramente le tue aspettative: DriveThruRPG

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Grazie @LucanoAmaro per questo nuovo esempio e per i dettagli forniti a voce su Telegram.

Anche se il gioco è aperto a tutti, questo non significa che una persona sia obbligata a giocare con chiunque o a fare da master per chiunque.

È più che lecito decidere di giocare solo con persone che hanno una concezione del gioco a noi affine. Molti di noi lo fanno, direi quasi tutti.

Non c’è nulla per cui sentirsi in colpa. Non sei tenuto a istruire nessuno. È un gioco, non una missione.

Questo lo definirei il “consiglio zero” e ti è già stato dato, assieme a quello di provare giochi del tutto diversi o approcci del tutto diversi. Sono due consigli validissimi. A loro completamento (non negazione) vorrei provare a proporti un’altra strada ancora.


Un rischio e un’ipotesi

Il mondo è vario, e brulica di gente con cui potresti giocare ma che non conosci, o non hai mai visto giocare, o pensi / temi abbia qualche marcata differenza di vedute rispetto a te. Magari novellini. O magari persone cresciute con un “certo tipo” di D&D, cariche di aspettative errate e pregiudizi.

Supponiamo che tu voglia provare (magari anche non subito: in futuro, dopo una meritata pausa) a buttarti e fare di nuovo da master di Pathfinder per persone così.

Il rischio è di provare ancora quella frustrazione, quell’esasperazione, quei sentimenti negativi di cui ci hai raccontato.

Ci sono passato e vorrei dirti come penso si possa ridurre al minimo questo rischio.

Quello che dirò non va inteso come un giudizio. Mi limiterò a riferire delle cose che nella mia personale esperienza mi hanno aiutato, sperando che possano essere di aiuto anche a te.


Ovvia premessa

So che esistono anche i casi persi: soggetti che non vogliono “davvero” giocare di ruolo o comunque sono determinati a farlo in modo del tutto incompatibile con me. Hai fatto diversi esempi.

Di quelli mi sbarazzo e basta, senza rimpianti. Sono abbastanza rari, o forse sono stato fortunato io, ma non voglio negare che esistano. Nella mia esperienza, però, molte volte quelli che sembrano casi persi non lo sono.

Comunque, quello che segue è nell’ipotesi di giocare con persone diverse ma “recuperabili”.


1) Esplicitare le aspettative

Quando, dopo aver giocato per molti e molti anni con la stessa dozzina di persone, ho iniziato ad allargare il mio “giro”, ho notato che c’erano modi anche molto diversi di intendere il GdR, anche proprio lo stesso gioco. Mi sono dato da fare per trovare dei punti in comune e penso che ci siano, ma al contempo più e più volte sono rimasto sorpreso dalla scoperta di approcci sempre nuovi, a volte per me inconcepibili.

Senza giudicare nessuno, quello che ho imparato è non dare nulla per scontato, neanche le cose che dal mio punto di vista sono ovvie, sottintese nel gioco che intendo giocare.

Parlare con le persone prima di giocare (intendo: prima ancora di mettere mano alle schede, prima ancora di decidere se giocheremo insieme o no), per capire le loro aspettative ed esporre le mie, penso sia una sana abitudine, anche se non sempre ho tempo di metterla in pratica. Molti la chiamano “sessione zero” o “dichiarazione di intenti” o simili. Il documento che ti ha linkato @icemaze rientra in questo filone e a molte persone che conosco è stato utile. È una lettura che consiglio.

(parentesi...

…io poi personalmente ho almeno due grosse riserve su quel documento; mi piacerebbe un giorno parlarne con Musta, l’autore; ho sentito dire che lui stesso ha cambiato idea su alcune cose; comunque, ha indubbiamente il merito di aver formalizzato una cosa che si è sempre fatta, nei gruppi “sani”, ma che molte persone oggi non tenevano nella giusta considerazione.)

Ancora meglio, mettere per iscritto in forma semplice e chiara alcuni elementi cardine che ritengo imprescindibili mi è stato di grande aiuto, perché mi evita di doverli ripetere ogni volta (cosa che, tu mi confermi, può portare allo sfinimento). Se ti interessano sono qui. A chi vuole giocare al mio tavolo mando innanzitutto questo link.

È una cosa su cui ho cambiato idea grazie a questo forum. Prima ritenevo le liste dei “princìpi del gioco” come un inutile puntiglio, un “fare la punta al membro maschile” direbbe qualcuno. Invece sono utili.

Per esempio, ho incontrato un sacco di persone che si aspettano:

  • la “scia di bricioline” per seguire la trama decisa già in partenza dal master (come dicevamo in call),
  • o il fatto che il master imbrogli sui tiri di dado “per il bene della storia”
  • o il fatto che si debba interpretare il personaggio come in una sorta di recitazione teatrale.

Mettere in chiaro dall’inizio che al mio tavolo non funziona così (senza darlo per scontato, e senza giudizi e animosità inutili) ha permesso a questa gente di decidere liberamente se andarsene o rimanere per provare qualcosa di nuovo. E, ti sorprenderò, è accaduta più spesso la seconda cosa della prima.


2) Distillare l’ambientazione

Te lo confesso: io non amo le grandi ambientazioni precostruite, ho sempre giocato in ambientazioni “casalinghe”. Ma, se mi sforzo un po’, posso capire i loro vantaggi: poter fare affidamento su un ampio set di lore condiviso può far sì che sia più facile avere delle solide basi comuni per il gioco.

Da giovane però mi è capitato di scrivere ambientazioni homebrew molto corpose. E di rimanere deluso e frustrato quando i giocatori non le leggevano, o le dimenticavano. Sono arrivato alla conclusione che il problema non erano loro.

Penso che le persone abbiano una certa quantità massima di attenzione e impegno da devolvere a quello che, in fondo, è un hobby. Se voglio sfruttarla al meglio è imperativo che io riesca a concentrarla sulle cose davvero importanti, che in mezzo a un oceano di troppe informazioni si perdono.

Da molti anni, ormai, faccio due cose.

Primo: quando inizio una campagna, preparo un brief dell’ambientazione per i giocatori, di pochi paragrafi scritti grossi, sintetici al massimo. Il minimo essenziale che devono sapere sul mondo in cui andremo a giocare. Anche se in parallelo rendo disponibile il vero documento dell’ambientazione, magari di decine di pagine e dettagliatissimo, non do per scontato che lo leggano: l’unica parte obbligatoria è il brief. È un esercizio utile anche per me perché mi aiuta a riflettere su quali elementi del mio mondo sono davvero caratteristici e fondamentali per quella campagna.

Secondo: se ci sono aspetti dell’ambientazione di gioco (importanti o secondari che siano) che ritengo importante che i giocatori conoscano, prima possibile li porto nel gioco e glieli faccio toccare con mano attraverso il gioco. Per esempio, una mia campagna è ambientata in un mondo desertico in cui l’acqua è il bene più prezioso e la gente vive nella miseria, repressa dalle autorità con grande brutalità. Ebbene, non ho raccontato o fatto leggere questa cosa ai giocatori: invece, nella seconda scena giocata (subito dopo il classico quest giver) i PG hanno potuto assistere alla fustigazione pubblica di alcuni poveracci accusati di aver sottratto un sorso d’acqua più del dovuto. Anziché affidarmi alla conoscenza pregressa dei giocatori, presento conoscenza in game davanti ai loro occhi.


3) Un obiettivo vale mille retroscena

Come ho detto prima, too much info, troppe informazioni, può essere un problema per i giocatori, specie se si avvicinano al gioco o all’ambientazione per la prima volta. Ma esiste anche il problema opposto: un foglio bianco, totale assenza di informazioni, non li aiuta a inventare cose interessanti.

Siccome gioco a giochi in cui è normale che i PG formino un gruppo, che fa gioco di squadra, ho da tempo notato che la singola informazione più significativa che posso dare è un obiettivo: uno scopo concreto da raggiungere. L’obiettivo della prima quest, per esempio, o un generico obiettivo di lungo termine.

Svolge due funzioni. Innanzitutto funge da scopo comune che giustifichi il gruppo come tale (per quale ragione andiamo all’avventura insieme?). In secondo luogo cattura l’interesse dei giocatori: li porta a farmi domande per capirlo meglio, al che io fornisco elementi di contesto; e pian piano vengono alla scoperta del mio setting in modo dialogato, attivo, non con un infodump passivo.

Naturalmente non devo per forza essere io a calare un obiettivo dall’alto: posso fare una proposta, o una rosa di proposte tra cui scegliere, ma ancora meglio (quando c’è tempo) faccio da facilitatore in un dialogo tra i giocatori stessi, in modo che siano loro a proporre un obiettivo comune di loro gradimento (“vogliamo fare una ciurma di pirati e arricchirci assaltando navi mercantili!”, “ah, ottimo, c’è giusto questa zona della tale costa che si presta molto bene alla pirateria…”).

Nei giochi che non prevedevano che il gruppo fosse coeso (e, non so come giochi tu, potrebbe anche essere il tuo caso), ad esempio quando ho masterato The Pool, non ho dato ai giocatori un vero e proprio obiettivo ma comunque una questione centrale, un tema, attorno a cui si sarebbe svolta la giocata.


4) Abbandonare bisogni non necessari

Quando si siedono al tavolo, i giocatori devono aspettarsi uno scenario aperto, senza una trama già definita, senza un finale già scritto. Mi pare che siamo d’accordo su questa visione, giusto? Anche il tuo ultimo commento lo conferma.

Mi ci è voluto un po’ per capire che anche per il master nei confronti dei PG vale grossomodo la stessa cosa.

Quando ho iniziato a masterare esortavo i miei giocatori a scrivere backstory per i loro PG. Più erano dettagliate, più ero contento.

(parentesi...

…nota che questa cosa non era affatto richiesta da nessuno dei giochi con cui giocavo; è frutto di pura tradizione orale di una certa cultura di D&D e affini.)

Quando (come è normale) venivano fuori backstory che ci azzeccavano poco l’una con l’altra, spesso provavo a “intrecciarle”, a fare un po’ di taglia e cuci perché combaciassero. Insomma, a usarle in qualche modo come strumento per costruirci sopra situazioni (non trame, eh, per carità, situazioni) più ritagliate su quei PG specifici, cercando di far convergere i loro scopi.

A volte (anzi, abbastanza spesso) succedeva che un PG, nella pratica del gioco, si allontanasse anche parecchio da quello che il giocatore aveva dichiarato nella backstory. E io rimanevo un po’ stupito. Ci parlavo, provavo a capire perché.

Da diversi anni ho messo del tutto da parte queste pratiche. Mi sono reso conto che sapere in anticipo la personalità, il carattere, i valori, la storia passata di un PG, come si veste e il suo gusto di gelato preferito, non solo non mi serve ma mi ostacola; mi fa creare riguardo a quel PG delle aspettative non necessarie.

Ora insisto perché i miei giocatori scrivano backstory di 2 o 3 righe al massimo. Se vogliono scriverla più lunga possono, ma premetto che non garantisco di leggerla e che non la prenderò per vera (né mi aspetterò che vi si attengano in gioco). E se qualcuno vuole non scriverla affatto, e presentarsi al tavolo solo con una scheda e un nome, per me va benissimo.

Perché chi è e com’è davvero, quel PG, lo scopriremo comunque strada facendo. Voglio che sia una sorpresa per me. E molte volte mi sono accorto che è una sorpresa anche per il giocatore. È una cosa che emerge dal gioco a posteriori, esattamente come la storia.

Forse qualcuno, leggendo queste righe, penserebbe che così tendano a nascere solo personaggi stereotipati, piatti, senza approfondimento, tutti uguali tra loro. Ti assicuro, per esperienza diretta, che non è così. Confrontarsi con uno scenario complesso costringe ad assumere un’identità complessa.


Appendice: il bardo smacchiato

Ti racconto un aneddoto, ti piacerà.

In una two-shot, in cui come sistema ho usato D&D quinta edizione, lo scenario prevedeva un caso di omicidio su cui scoprire la verità. Era un playtest dello scenario e ho giocato online con giocatori che non conoscevo per niente. Non c’era stato il tempo neanche per un “sessione zero”.

Uno di loro ha spudoratamente messo in scena la macchietta del bardo marpione che ci prova con tutte. (Credo sia, tra tutte le macchiette di D&D, quella che più detesto in assoluto.)

Ti dico solo che all’inizio della giocata ha detto che provava a sedurre una poveraccia che era appena stata arrestata per l’omicidio e l’indomani, se non si dimostrava la sua innocenza, sarebbe stata giustiziata. Non esattamente dell’umore adatto per i giochi di seduzione, che ne dici?

Ebbene, non mi sono scomposto, e con molta calma gliel’ho detto: “Guarda, non funzionerà mai: è evidente che ha ben altro a cui pensare, adesso.”

E la scena è andata avanti. Ci ha riprovato solo un’altra volta, con meno convinzione, dopo essere stato (per vari motivi) rinchiuso anche lui, nella cella accanto a quella di lei. Di nuovo, ho detto che non poteva funzionare.

Stop. Da quel momento il PG non ha più fatto il seduttore una sola volta e, anzi, ha iniziato ad assumere una personalità non banale, di tipo audace e astuto allo stesso tempo, un po’ losco ma benintenzionato. Era solo una two shot, ma se fosse durata più a lungo lo avrei visto evolvere (ne sono sicuro) in maniera ancora più interessante.

In una sola sessione ho “smacchiato” la macchietta. E non castigandola: semplicemente mostrando con i fatti al giocatore che non funzionava, che doveva inventarsi qualcosa di meglio se voleva risolvere la quest. E siccome i giocatori vogliono risolvere la quest, se lo scenario è abbastanza complesso da far sì che le banalità non servano iniziano quasi sempre, in modo naturale, a tirar fuori cose complesse.

Molta gente (secondo me) si attacca a certi stereotipi superficiali non per vera convinzione, ma solo perché è abituata a esperienze in cui hanno funzionato, sono state di successo, e quindi… cavallo che vince non si cambia. Ma messa in condizioni diverse, se le diamo fiducia, può crescere e adattarsi a una velocità sorprendente.


Spero di esserti stato in qualche modo di aiuto. Fammi sapere come vanno le tue future giocate!

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