Allora, comincio col dire che credo di capire quello di cui parla @MimmoMane.
PG: sento pochi vincoli
Per quanto riguarda, da giocatore, l’interpretazione del PG, tendo a vederla in modo “molto libero”. Tendo a vedere la personalità del PG, che tipo è, la sua bussola morale eccetera, come un risultato a posteriori (cumulativo, e comunque intrinsecamente impreciso) delle mie decisioni, non come un vincolo da rispettare che le informa.
Non significa che interpreto a caso, o che interpreto tutti “come Bille Boo”, o in generale che tutto sia permesso. Significa solo che, salvo poche cose molto specifiche, l’area “vietata” nella lancetta disegnata da @ranocchio mi sembra, in genere, molto ristretta, e quella “permessa” molto ampia.
Non mi pongo molto il problema della “coerenza” dell’interpretazione, perché penso (e ho osservato) che questa proprietà tenda a emergere comunque, anche quando i giocatori giocano senza farci caso, seguendo il loro impulso del momento o quello che trovano interessante.
(Purché si giochi onestamente, rispettando quanto detto eccetera, è ovvio. Ma credo che non mi sia capitato mai, o quasi mai, che la decisione di un giocatore al mio tavolo abbia violato in modo netto questo requisito.)
Quindi: sì, mi capita di giocare PG e prendere decisioni avendo come criterio principale il “vediamo cosa succede se faccio questo”, o “sarebbe carino se facessi questo”. E mi capita di vederlo fare ai miei giocatori.
Non senza limiti, ma con limiti molto elastici: giusto il rispetto delle premesse della giocata, e del patto sociale con gli altri al tavolo.
(Qui apro parentesi: capisco anche il discorso che fa @Fantome; gioco spesso giochi in cui una delle premesse è che i PG siano un gruppo coeso, e questo mette indubbiamente dei confini alla fascia “possibile” della lancetta; non è raro che io li senta come più stringenti rispetto a quelli dovuti alla “coerenza” del mio PG, qualunque cosa voglia dire.)
GM: il vincolo “arbitrale”
D’altro canto, quando mastero, il mio ruolo generalmente prevede sia l’interpretazione dei PNG e del mondo di gioco, sia un’altra serie di compiti, di natura “arbitrale”. E la seconda cosa tende a riflettersi sulla prima.
Di solito conduco giochi in cui i PNG, o i mostri, sono parte della sfida con cui i giocatori si confrontano, o potenziali risorse per affrontare quella sfida.
Quindi, nell’interpretarli, sento di avere in parte quell’atteggiamento di “neutralità arbitrale” che sono chiamato ad avere quando applico le regole o quando progetto lo scenario.
Il PNG Pinco Panco ha la sua preparazione, che potrebbe specificare che cosa vuole, che cosa sa, da che parte sta, la sua bussola morale, il suo carattere eccetera. E sento molto come mio compito riprodurre quelle note nel modo più fedele e più chiaro possibile, proprio per non “arbitrare slealmente” la sfida. Non so se mi sto spiegando.
Se Pinco Panco fosse il mio PG, potrei riservarmi di decidere in corsa la gran parte di quelle cose. Molte potrei perfino dedurle. Certo, non sarei del tutto privo di vincoli, per esempio, potrebbe essere parte delle premesse del gioco che “cosa vuole = il diamante Stellone”; ma le altre cose no. Potrei limitarmi a prendere le decisioni che trovo più furbe, o più divertenti, per raggiungere quel diamante Stellone. E alla fine guardarmi indietro e dire “ah, ma allora Pinco Panco era un individuo sleale e spregevole, chiacchierone, sempre con la battuta facile”. E l’avrei scoperto ex post.
Mentre, da GM, se ho scritto che Pinco Panco “vuole il diamante Stellone, è avido ma onesto, rispetta la parola data, è taciturno e serio”, sentirei come mio “dovere” giocarlo in quel modo lì. Non significa che avrei zero margine di adattamento e di scoperta, ma la pre-definizione tende a essere maggiore perché fa parte della costruzione della situazione (e rispettarla fa parte del suo arbitrato).
Quindi: fin qui penso di ritrovarmi, più o meno, in quello che ha detto Mimmo; di sicuro una differenza penso di averla sperimentata.
Tuttavia… esempio recente
In una mia campagna open table di lungo corso, i PG hanno stabilito un’alleanza militare con i Munucchi, un popolo di hobgoblin con elefanti da guerra, mercenari, divisi in varie tribù, con una cultura, diciamo, “para-Klingon”, bellicosa e con un rigido codice d’onore.
Esso prevede, tra le altre cose, il suicidio rituale in caso di grave sconfitta o di altra onta indelebile.
Dapprima i PG li hanno condotti in una spedizione di guerra contro dei nemici, in varie sessioni. E lì è emersa la necessità, talvolta, di dare un po’ di personalità distinte ai loro leader.
Una capotribù, in particolare, si chiama Azadèh, e nei miei appunti iniziali era semplicemente “giovane, testa calda, molto ambiziosa, furba”.
In una sessione, mandata all’assalto in prima linea con le sue truppe, ho deciso che si sarebbe assicurata di restare viva, dando precedenza alla sua incolumità, e accampando poi qualche scusa per salvaguardare il suo onore. L’ho fatto per mostrare ai giocatori gli elementi distintivi che le avevo già assegnato. Ma nel fare questo ho stabilito un precedente di non poco conto: Azadeh non si cura troppo del rigido codice d’onore tradizionale dei Munucchi, o almeno lo mette in secondo piano rispetto alle sue ambizioni personali, e usa la sua astuzia per aggirarlo. Ho aggiunto queste cose ai miei appunti.
Non è inesatto dire che ho scoperto delle cose nuove su di lei. Il mio compito di master era dare certe informazioni ai giocatori. Ma ho preso una decisione “autoriale” mia, di Bille, secondo il mio gusto, su come ritenevo più carino / più divertente darle, e quando.
La svolta però arriva nella scorsa sessione: da qualche tempo quella tribù di Munucchi scalpitava perché aveva subito il furto di un baby elefantino, e incolpava di questo la Colonia di cui fanno parte i PG.
Alcuni PG hanno indagato, scoperto chi aveva rubato l’elefantino e dov’era, e ottenuto la sua liberazione, ma non hanno fatto in tempo: la tribù ha perso la pazienza e si è rivoltata.
Lo scontro, anche grazie a buone decisioni tattiche dei giocatori, è volto a favore della Colonia: perduti molti guerrieri e i loro tre elefanti, i Munucchi si sono ritirati. A quel punto, i PG hanno offerto un parley.
I PG erano tre, quindi io ho fatto presentare tre hobgoblin: Azadèh, e due suoi ufficiali inventati al momento.
E ho presentato questa situazione: Azadeh che vuole arrendersi, e i due luogotenenti che ce l’hanno con lei ed esigono il suo suicidio rituale in onore alla tradizione.
L’ho fatto senza pensarci troppo, sull’onda del momento. Non avevo preparato niente di specifico (la sessione sarebbe potuta andare in mille altri modi). Non c’è stato un calcolo da parte mia.
Ma, pensandoci a posteriori, mi sono reso conto che l’ho fatto perché trovavo interessante e divertente mettere i PG di fronte a quel dilemma. E anche mettere Azadeh stessa di fronte a quel dilemma.
Che la PNG fosse amareggiata dalla sconfitta, e decisa a salvarsi la pelle (e possibilmente la reputazione), era deducibile dagli appunti che la riguardavano. Ma tutto il resto no. Sui luogotenenti non avevo nessun appunto. E avrei potuto impostare la situazione in mille altri modi. Per esempio, avrei potuto perfino dire che Azadeh era fuggita e gli altri ora la rinnegavano.
Sono convinto di aver fatto una scelta guidata principalmente da “vediamo cosa succede se faccio questo” / “sarebbe carino se facessi questo”, proprio come prima ho detto che faccio quando non sono master.
Ho preso una decisione per il mondo di gioco in base a questo criterio (molto personale, molto “di pancia”, molto “da giocatore”), e di conseguenza ho dedotto, o meglio scoperto, delle cose sulla personalità di Azadeh e su quella dei suoi luogotenenti.
(Ci sono stati altri sviluppi: i PG, inaspettatamente, si sono schierati con Azadeh, al punto tale da aiutarla a uccidere gli altri due nella scaramuccia che si è scatenata; ora lei ha giurato fedeltà e sottomissione alla Colonia, mantenendo in cambio il controllo sulla propria tribù. Come la prenderà il resto della tribù? E quanto sarà stabile la lealtà della PNG, se in futuro si presenteranno problemi? Altre cose che non escludo di decidere in base al criterio del “vediamo che succede se…”, “sarebbe interessante se…”.)