Avventure investigative con giochi simili a D&D e Pathfinder

Ciao @Bille_Boo, sono molto contento che tu abbia sentito lo spunto di scrivere degli articoli a partire dalla nostra discussione. Se c’è una cosa che ho imparato da quella discussione, è che “investigazione” è una parola estremamente confusa nel contesto dei gdr, e la aggiungo ad altre parole come “storia”, “immersione” e “improvvisazione” nel necessitare molti chiarimenti prima di essere usate.

A mio parere, osservare i tuoi articoli è un buon modo per capire cosa volevi dire tu e il modo in cui tu proponevi di giocare. Preferirei che ci fossero delle esperienze di gioco concreto, dove ci racconti cosa è successo al tavolo, dove ti sei divertito e dove no, ma possiamo comunque capirci meglio grazie a quello che hai scritto.

Sarò estremamente schietto, perché sto già facendo una fatica bestiale a scrivere tutto quello che voglio dire, quindi ti prego di prendere tutto quello che scrivo con la dovuta caritatevolezza.

In aggiunta condivido un po’ il fastidio di @Davos, non per quello che dici ma da come ti poni sul blog. Non ho la pretesa di controllare come ti esprimi fuori dal forum, tuttavia ti dico la mia impressione. Ho un’antipatia per gli articoli scritti con un tono da insegnante, e preferisco di gran lunga chi si presta a raccontare le proprie esperienze di gioco per essere analizzate dagli altri, senza pensar di dover insegnare qualcosa.

Il fastidio è doppio perché fai delle controargomentazioni a cose dette sul forum, ma in un contesto del tuo blog in cui ci è difficile rispondere alla pari. Ugualmente trovo fastidioso leggere alcuni commenti di @Red_Dragon, che mi sembra usi lo spazio esterno al forum per sfogare cose che pensa di non poter dire qui.

Questo lo premetto per dire che ho fatto uno sforzo nonostante queste caratteristiche per analizzare il contenuto di quello che dici. Ti chiederei di fare lo stesso sforzo leggendo. Ti pregherei anche di non rispondere punto per punto con le citazioni come hai fatto per Davos; è effettivamente fastidioso. Farò delle argomentazioni che richiedono la lettura intera del commento, e meritano una risposta completa e non spezzettata.

Indice

A che gioco giochi?

Chiariamo come prima cosa di che gioco parli. D&D non è un monolito, sono varie edizioni tutte diversissime, la maggior parte con buchi che si prestano a interpretazioni molto diverse. Da quello che scrivi nell’articolo mi sembra che associ D&D a Pathfinder, quindi mi pare giusto assumere che tu stia parlando di D&D3 e di D&D5 giocato come “terza edizione lite”, se ci intendiamo, al massimo andando indietro ad AD&D2 nella maniera in cui esso stesso stava tendendo alla terza edizione. Questo è il modo più comune di giocare D&D in Italia, quindi non mi stupisco.

Non puoi fare discorsi che si applichino a “D&D” in generale; se vuoi affermare questo, penso ci siano pochi punti di congruenza tra noi, dato che mi parrebbe un negare l’evidenza della realtà dei fatti. Non mi piace discutere con l’assunzione che l’edizione o il sistema non conta, perché porta a discussioni futili dove ciascuno legge e interpreta quello che vuole in base alla sua interpretazione del funzionamento del gioco; questo è estremamente comune nelle discussioni sul gdr di tutti i tipi e lo trovo estenuante.

Vorrei anche farti notare che, sì, @Davos ha ragione: quelle che scrivi sono regole. Potrebbero non essere regole dal tuo punto di vista, che magari percepisci le regole come qualcosa che soltanto i giocatori usano, ma sono effettivamente procedure di gioco usate al tavolo per decidere cosa succede. Non concordo con Davos che sia un particolare problema ‘aggiungere’ cose a un’edizione D&D – ne ha bisogno! – ma bisogna capirsi e ammettere che lo si sta facendo.

Ho altresì un dubbio fortissimo che tu abbia sperimentato e playtestato tutte le tecniche che mostri, specialmente nell’ultimo capitolo, che mi sembra più un brainstorm che non un racconto di cose avvenute al tavolo. È proprio per questo che è importante parlare di giocate vere quando si presentano delle procedure e non di dire semplicemente agli altri quello che devono fare.

Definizioni

Negli articoli, cerchi in maniera abbastanza forte di dare delle definizioni ‘da vocabolario’ e di rispettarle. Continui a introdurre nuovi termini, alcuni con delle metafore culinarie, altre con termini inventati al momento, e di cose che chiami proprio teoria. Ti dico proprio che questo modo di fare è il modo più veloce di andare a fare voli pindarici lontani dalla realtà di gioco. Perché se invece di parlare di persone che parlano a un tavolo parlo di Informazioni-Tessera e Investigazioni da Asporto non parlo di niente, anche se le mie definizioni sono precisissime.

Ogni volta che crei della terminologia o stabilisci delle definizioni, non puoi farlo nel vuoto come ti pare: devi farlo perché hai qualcosa di reale da descrivere per il quale non riesci a trovare una parola adeguata. Più inventi parole inutili, più ti allontani dalla realtà dei fatti. Questo è un problema che trovo anche nello sviluppo di software al lavoro, che chiamiamo overengineering. I concetti astratti che usi non devono essere solo precisi, devono anche essere utili.

Se mi dici “ah, ma anche la teoria forgita”, ti dico chiaramente che non ho alcuna simpatia per il modo con cui il gergo forgita è stato eternamente propagato negli anni; Ron Edwards stesso adesso (2021) usa una quantità bassissima di gergo specifico proprio perché si rende conto delle limitazioni di quell’approccio – era necessario quando è stato sviluppato, ma non più.

Personaggio o Giocatore?

Diamo un’occhiata alla tua definizione di investigazione.

Un’investigazione è una situazione in cui i PG (e/o i giocatori) devono/vogliono trovare una Risposta (= un’informazione fondamentale, oggettiva e fattuale , che a loro manca) e vi si avvicinano in modo progressivo .

È esattamente questo a cui mi riferivo quando ti ho criticato relativamente alle definizioni. Ok, hai definito l’investigazione in questo modo, ma è utile?

La prima cosa che mi viene da osservare quando vedo questa definizione è la noncuranza con la quale equipari un personaggio giocante a un giocatore. È la stessa cosa se il PG vuole trovare una risposta o se il giocatore vuole trovarla? Si tratta di cose completamente diverse, che tu dai per scontato siano la stessa cosa.

Questo già ci indica la maniera in cui concepisci il rapporto tra il giocatore e il personaggio nel tuo giocare: il giocatore agisce tramite il personaggio, lo usa come avatar per interfacciarsi con il mondo, e le loro motivazioni sono pressoché allineate. Questo è riconfermato nell’approccio che proponi più tardi nel primo articolo:

Ragionare tocca ai giocatori

Delle due parti che compongono l’attività di indagare, la seconda ( ragionare ) avverrà nella testa dei giocatori . Dei giocatori, badate bene, non dei personaggi.

Questo non è neanche vagamente scontato, nemmeno all’interno dei giochi cosiddetti “tradizionali” a cui fai riferimento.

In ogni caso, anche nel caso si allineino, il giocatore avrà sempre delle motivazioni esterne al gioco, perché ha un motivo per sedersi al tavolo con gli altri che non è “sono il mio pg”, e di cui il personaggio chiaramente non è al corrente. Si sta scambiando qualcosa con le altre persone, altrimenti giocherebbe da solo, o a qualcos’altro. Nel tuo caso, è probabilmente qualcosa di estremamente intuitivo sul quale non hai mai riflettuto moltissimo o messo in discussione – e va benissimo, se non ne senti il bisogno: probabilmente è quello che senti come divertimento.

Prendo atto che utilizzi questa tecnica nell’approccio tra giocatore e personaggio – non è necessariamente sbagliata, anzi, la uso anche io con alcuni giochi – e nel contesto può dirmi qualcosa sul resto del tuo modo di proporre i giochi che citi.

Obiettivi estetici

Devo affrontare un paio di controargomentazioni che fai alle affermazioni mie e di altri nella discussione sui misteri. Penso sia importante perché mostra proprio come tu abbia fondamentalmente frainteso il discorso che stavo cercando di fare. Dal primo articolo:

Nella discussione di cui parlavo prima, alcuni dei partecipanti sembravano arciconvinti che una sfida e una storia fossero due cose addirittura incompatibili; qualcuno sosteneva che in D&D fosse impossibile avere un’investigazione;

Prendo un altro estratto dal quinto articolo, dove provi molto goffamente a mostrare che il tuo metodo “funziona” anche per fare “l’investigazione come storia” come la intendevo sul forum.

Ebbene, in una giocata come quella, progettare una rete di indizi complessa e dettagliata come quella che abbiamo visto negli episodi precedenti sarebbe una perdita di tempo: come usare un cannone per abbattere le zanzare! L’ideale, invece, sarebbe un’indagine light , cioè un’ indagine Sequenziale molto semplice in cui la gran parte delle informazioni sono da asporto . Magari legate al raggiungimento di certi risultati in tutt’altri ambiti, quelli che davvero interessano ai giocatori: ad esempio, quando Sherlock riesce a controllare la sua dipendenza da stupefacenti, oppure quando fa un progresso importante nel suo rapporto personale con Watson, come per caso arriva un indizio.

La tua percezione qui è chiaramente: voglio che ci sia più contenuto di “storia” (anche qui, termine infelice e confuso), quindi riduco il contenuto procedurale e inserisco più trama, dialoghi, interpretazione, etc…

È chiaro che se prendi “storia” e “sfida” come contenuto di un gioco di ruolo, sono presenti entrambi in gradienti diversi in base al gioco. Ed è chiaro che a livello di gusti a qualcuno può piacere averne più dell’uno o più dell’altro. Non è quello che volevo dire e non parlavo per niente di gusti: parlavo dell’obiettivo estetico, del perché ci sediamo al tavolo, di quello che ti dà soddisfazione in questo gioco, in questa giocata qui. Ed è quello che tu probabilmente percepisci come semplice divertimento.

Il fatto è questo: non posso spiegarti cosa intendiamo con “storia” come obiettivo estetico, o se vuoi “costruire emergentemente un tema”, senza che tu ti metti a provare un gioco progettato per questo nella pratica. È semplicemente un altro tipo di divertirsi.

È chiaro come il sole che non hai idea di cosa parliamo, e che confondi un elemento pratico con un obiettivo estetico. Non starò qui a cercare di spiegartelo in teoria: se ti interessa, ci sono giochi su giochi da provare (e no, non parlo dei PbtA, che sono fin troppo fraintendibili), altrimenti, nessun problema.

Non starò nemmeno come @Davos a cercare di convincerti che l’obiettivo che tu cerchi è sbagliato e di venire dalla “nostra parte”; non credo ci sia una nostra parte, penso sia legittimissimo se vuoi stare dove stai e che ci sia lì potenzialmente un macello da divertirsi. Ho, sì, delle critiche su come ti poni per farlo – vedi più sotto.

Ti dico che in realtà mi ritrovo nell’obiettivo estetico che emerge dal tuo modo di parlare del gioco, mi piace farlo, e che è senza alcun dubbio quello che io chiamavo “sfida” nel thread sui misteri. Si vede anche molto chiaramente da come percepisci il ruolo del giocatore nella citazione qua sotto – ma considera anche le mie argomentazioni nel paragrafo precedente, “Personaggio o Giocatore?”.

Di conseguenza ci saranno due attività principali da compiere per portare avanti l’investigazione:

  • Trovare le informazioni . Cercare indizi, esplorare, interrogare testimoni, fare autopsie, studiare antichi tomi, quello che vogliamo: tutte le azioni con cui i personaggi ricavano nuove informazioni dal mondo di gioco.
  • Ragionare . Fare ipotesi, schemi mentali, farsi domande e darsi risposte, discutere, immaginare, dedurre, quello che vogliamo: collegare le informazioni tra loro in modo che ne risultino delle conclusioni, anche intermedie.

Se non ti piace la parola “sfida”, usa la tua, a me non importa: questo è probabilmente quello che tu chiameresti semplicemente “giocare di ruolo”, e se ti mostrassi sul serio cosa intendiamo con “costruire emergentemente un tema” nella pratica probabilmente la tua prima reazione sarebbe “questo non è gioco di ruolo”, o ti si aprirebbe un nuovo mondo, o qualcosa di simile. E sì, è completamente incompatibile con quello che hai descritto.

Tornando alle argomentazioni che hai fatto relative al fatto che certi obiettivi estetici non siano incompatibili: a persone come me e Davos infastidisce vederti fare queste argomentazioni perché fondamentalmente negano l’esistenza di un modo di intendere il gioco che tu semplicemente non comprendi. Abbiamo già una certa difficoltà nel spiegarlo alle persone che si dimostrano naturalmente interessate ad esso, e l’impressione è che con queste affermazioni tu faccia danni rispetto ai nostri sforzi. D’altro canto, è tuo diritto scrivere e giocare quello che vuoi, quindi non condivido necessariamente i modi e l’aggressività di Davos, ma voglio spiegarti da che posto arriva.

Troverei inutile continuare a dissertare su questo problema e sull’incompatibilità tra questi obiettivi senza l’ausilio di gioco concreto, e mi pento io stesso di averlo tirato fuori nella discussione originale. Ti chiedo semplicemente di accettare che, per quanto riguarda il gioco che cerchi tu, ci siamo capiti, è qualcosa che interessa anche a me, e di procedere da lì.

La tecnica funziona?

Qui arriviamo al punto dove, dopo aver speso tantissimo tempo a chiarire termini, linguaggio e filosofia, mi ritrovo ad avere delle conclusioni abbastanza dure. Non penso che la tecnica di preparazione che proponi sia molto efficace.

A differenza di @Davos, sono estremamente a mio agio con le tecniche di pianificazione che descrivi, sia perché ci ho giocato e le ho usate nel contesto di giochi di ruolo, che perché lavoro nel settore dei videogiochi come sviluppatore, e molte di queste hanno degli equivalenti fortissimi.

Quello che proponi è una versione molto addobbata di un flowchart (“diagramma di flusso”). Il fatto che spendi un paio di articoli a delineare varie tipologie di nodi speciali non toglie il fatto che sia in fin dei conti un flowchart. Cos’è un flowchart? Si tratta di un diagramma che segui dall’inizio alla fine per rappresentare una o più potenziali soluzioni a un problema. Vengono usati in informatica per modellare gli algoritmi, ma anche per descrivere i processi di lavoro all’interno delle aziende.

I flowchart sono ottimi per descrivere come risolvere un problema, ma sono pessimi per progettare un problema da risolvere. Affronti il problema da una direzione completamente sbagliata: ovvero cercando di delineare tutte le possibili soluzioni. È un macello, e non ne esce fuori niente di buono.

Agli albori dei videogiochi d’avventura negli anni '80 – che ricordo, furono inizialmente ispirati dalle più vecchie edizioni di D&D – molti di essi erano pianificati utilizzando i flowchart. Quando il genere si espanse verso la soluzione di puzzle e investigazioni (che ricordo, sono faccende molto simili, anche secondo le tue definizioni), i problemi con tale approccio cominciarono a essere evidenti.

Ron Gilbert, leggendario game designer della LucasArts, si accorse di tali problemi durante lo sviluppo di Maniac Mansion, e applicò una tecnica di pianificazione diversa, chiamata dependency chart (grafo delle dipendenze). Questo avveniva nei primi anni '90, e puoi trovare una descrizione sia dei problemi con le tecniche precedenti, sia di come funzionano i dependency chart in questo articolo del suo blog.

La differenza principale tra un flowchart e un dependency chart è che il dependency chart si legge al contrario: si parte dalla fine e si indicano gli elementi necessari per raggiungerla, ma senza cercare di prevedere quello che farà il giocatore. Il grafo, insomma, va letto al contrario. I bivi possono indicare o soluzioni alternative, oppure cose che vanno risolte in parallelo – io, personalmente, uso delle forme diverse per specificarlo, Gilbert usava i colori.

Se il gioco viene implementato seguendo un flowchart molto complesso come quello che hai mostrato, non è per niente garantito un buon risultato: o il flowchart è molto limitante, e quindi il gioco noioso, oppure è estremamente complesso, e ti perdi sicuramente qualcosa, creando punti morti, colli di bottiglia imprevisti, e un flusso discontinuo. Ed è facile lasciare punti morti senza volerlo quando il grafo è molto intricato.

Se il gioco viene implementato seguendo una dependency chart corretta, è impossibile generare punti morti: in qualunque momento del gioco ci sarà sicuramente almeno una cosa che si può fare per procedere. In più ti permette di controllare che a ciascun punto ci sia abbastanza da fare, e di controllare esattamente dove metti i colli di bottiglia del tuo scenario.

Questo è esattamente il metodo che ho utilizzato per progettare gli scenari del mio gioco sui pirati.

Considera che nel comparare videogiochi e giochi di ruolo non stiamo nemmeno parlando di cosa succede quando i giocatori decidono di fare qualcosa di completamente fuori dallo schema che avevi preparato (cosa impossibile nel videogioco), o rimangono bloccati. Il che è infinitamente più probabile, dato il tipo di grafo che hai deciso di usare per pianificare. Questo crea altri problemi, di cui parlo qua sotto.

Cosa fai quando non riescono?

Questo significa, tra l’altro, che i PG potrebbero essere in possesso di tutte le informazioni e comunque fallire l’indagine, solo perché non riescono a metterle insieme nel modo giusto.

Se questo fosse un problema… beh, non c’è alternativa che avere un piano di emergenza di tipo deus ex machina . Ma in generale non dovrebbe essere un problema: è così che funziona un’indagine ; si può sbagliare, si può non essere abbastanza svegli o intuitivi da capire.

Anche qui vorrei farti notare la noncuranza con la quale consideri l’idea che i giocatori possano effettivamente non riuscire a trovare una soluzione. Sembra qualcosa di irrilevante, che forse non ti è mai accaduto. Ti suggerirei di rifletterci.

Nel mio gioco sui pirati, il risultato del fallimento è molto esplicitamente il mantenimento dello status quo. Questo è fondamentamentalmente indesiderabile perché è una noia pazzesca. Ma qualunque successo dei giocatori cambia lo status quo, e fornisco modi di generare soluzioni in maniera creativa, e dunque la spinta del “non annoiamoci” porta a voler interagire di più con il mondo, promuovendo il tipo di divertimento che desideravo generare.

Un’altra possibilità, ed è quello che vedo molto nella scena old school, è l’opposto: semplicemente non trovare una soluzione a qualcosa determinerà una perdita di tempo: il che farà cambiare e muovere lo status quo attorno ai personaggi, possibilmente causando tiri su varie tabelle, e di solito a loro svantaggio. Starà anche ai giocatori decidere se vogliono continuare a cercare o abbandonare l’impresa.

Nei tuoi articoli, non affronti per niente la questione. A mio parere è incredibilmente rilevante, e ci porta al punto seguente.

Soluzioni non previste

Non abbiamo parlato nemmeno di cosa succede quando i giocatori trovano o tentano una soluzione non prevista, cosa che nel videogioco è completamente impossibile. Chiaramente, tu mi risponderai qualcosa tipo “eh, in quel caso il GM decide” – il che ci sta! Ma non offri alcun supporto su come farlo.

Nel mio gioco sui pirati, ho delle meccaniche apposite per rendere tutto ciò non solo ben supportato, ma per fare in modo che ogni volta che il giocatore riesce a fare qualcosa di nuovo e imprevisto, ciò diventa parte integrante dello scenario.

Nella scena old school, c’è l’atteggiamento “rulings not rules”, compreso al ruolo del GM come arbitro, che informa in un certo senso il modo in cui egli debba giudicare gli esiti delle cose quando i giocatori tentano qualcosa di imprevisto. Non sono particolarmente soddisfatto da questa cultura di gioco, ma è comunque meglio di nulla.

Non dico siano le soluzioni per te, ma dovresti a mio parere riflettere su cosa ci si aspetta quando questo succede, perché è quasi sicuro che accadrà.

Potrebbe esserci una soluzione tua, diversa da queste? Certo. Ma anche qui, non mi sembra che affronti la questione nei tuoi articoli. Dai per scontato che le tue previsioni saranno corrette, e se non lo sono mi sembra ci sia un’implicita conclusione che il grafo non fosse abbastanza dettagliato. Altrimenti, dai per scontato che il GM deciderà qualcosa, senza dargli particolari strumenti per farlo.

Railroading e Agency

Ora che ho criticato l’uso dei flowchart nella tua preparazione, posso andare un po’ più pesante sul tuo modo di concepire l’agency e il railroading.

Non penso tu voglia fare railroad, e non ho modo di sapere se lo fai o meno senza spiarti il tavolo e leggere la mente dei partecipanti. Penso che siamo accordo che c’è il railroad “duro”, quello esplicito da anni ‘90, ma ci sono anche tecniche meno evidenti, che egualmente possono considerarsi antitetiche all’agency, e se vogliamo espandere un po’ il termine possiamo chiamare railroad anche quelle.

Ma andiamo a vedere la tua definizione di agency e come ne parli sul tuo blog.

La possibilità, per i giocatori di un gioco di ruolo, di incidere attivamente e liberamente sul mondo di gioco e sulla storia

Perché si abbia agency i giocatori devono poter compiere, attraverso i loro PG, delle scelte motivate e consapevoli che abbiano conseguenze appropriate .

Non sono così in disaccordo con la tua definizione, ma vorrei farti notare come anche qui dai completamente per scontato il rapporto strumentale tra giocatore e personaggio, che ripeto non è qualcosa che puoi dare per assunto, nemmeno per i giochi cosiddetti tradizionali.

Una definizione più generica dovrebbe prescindere dal fatto che ci siano giocatori e PG, quale sia il loro rapporto, o se ci sia un GM e quale sia il suo ruolo, ma semplicemente parlare di partecipanti a una forma di espressione. A me piace molto la definizione di Ron Edwards (traduzione mia).

Ora noterai che questa definizione, se unita a tutti i tuoi assunti su come funziona il gioco di ruolo, è assolutamente compatibile con la tua, e la include. Ma parliamo di quello che fanno i giocatori, non i personaggi.

Nel tuo articolo sull’agency, sembra che tu comprenda il fatto che non stiamo dicendo che il giocatore debba avere il controllo completo su tutto il narrato della diegesi: sarebbe assurdo. Concordo che, in base al gioco e ai nostri obiettivi, ci sono parti dove è il mio turno di contribuire come giocatore, e quindi le mie decisioni contano, e altre parti dove è il turno di altri di contribuire – e questo può essere il GM.

Purtroppo, rimani fondamentalmente ancorato al concetto di “Giocatore = Personaggio” e descrivi il tutto dal punto di vista diegetico, che a mio parere confonde le acque. Cosa conta per il giocatore in questa giocata, quali sono gli esiti? Lo vediamo chiaramente quando definisci le attività chiave del giocatore (cito di nuovo il primo articolo):

Di conseguenza ci saranno due attività principali da compiere per portare avanti l’investigazione:

  • Trovare le informazioni . Cercare indizi, esplorare, interrogare testimoni, fare autopsie, studiare antichi tomi, quello che vogliamo: tutte le azioni con cui i personaggi ricavano nuove informazioni dal mondo di gioco.
  • Ragionare . Fare ipotesi, schemi mentali, farsi domande e darsi risposte, discutere, immaginare, dedurre, quello che vogliamo: collegare le informazioni tra loro in modo che ne risultino delle conclusioni, anche intermedie.

È chiaro che dunque questo tipo di attività siano rilevanti e debbano risultare in esiti veri e non predeterminati: sono il contributo del giocatore, e vanno ascoltati e presi in considerazione.

Quello che trovo problematico del tuo modo di pensare a riguardo, è che mi sembra da quello che scrivi che per te sia assolutamente sufficiente limitare una scelta a un momento temporale e a un numero limitato di opzioni, e che questo sia sufficiente a chiamarsi agency.

Se davvero la pensi così, vorrei farti rendere conto che con questo standard, non è praticamente possibile fare davvero railroad se non imponendo una storia completamente lineare.

Se davvero posso compiere le attività che hai descritto (trovare informazioni e ragionare), ma non contribuisco per niente, perché tutti gli esiti sono già stati scelti per me in anticipo, non sto contribuendo, e tu, GM, non mi stai ascoltando e prendendo in considerazione. E io questo lo chiamo railroading.

Stai facendo railroading?

Ora, stai facendo per davvero railroading? Prendiamo in considerazione i seguenti punti:

  1. Usi uno strumento di preparazione (flowchart) che prevede di delineare in anticipo le possibile scelte e strade percorribili dai giocatori, e che ha delle note carenze;
  2. Non prevedi nessuna procedura per quando i giocatori non riescono a procedere;
  3. Non prevedi nessuna procedura per quando i giocatori tentano qualcosa di imprevisto.

Riesci a capire come io e Davos facciamo davvero fatica a credere che non risulti in un railroad?

Per esperienza, dico che è estremamente probabile che capiti a usare qualche tecnica di railroad se ti trovi preso alla sprovvista: che sia (a) railroad “duro”, dove letteralmente metti un muro narrativo ai giocatori, (b) railroad “illusionistico”, dove magari adatti una scelta di un giocatore al nodo più vicino del tuo diagramma, (b) oppure un railroad più “morbido” (cosiddetta continuità intuitiva), dove improvvisi esiti nuovi, ma non avendo strumenti o procedure per farlo, tieni ben fermo il guinzaglio dei giocatori, decidendo al momento se ti va bene che procedano o meno secondo completo fiat.

Questo perché non c’è alcuna struttura per gestire ciò che è fuori dal diagramma. E sapendo come funzionano questi diagrammi, sono sicurissimo che i giocatori ne usciranno. Magari hai davvero una struttura per gestire le cose al di fuori del diagramma, ma non la spieghi negli articoli, e per questo sono estremamente scettico.

Insegnare, e come procedere

Vorrei tornare sulla critica agli articoli e al modo in cui si pongono. Sul tuo blog ti poni con una voce autorevole a dare consigli a giocatori nuovi. Non penso che tu voglia attivamente fare del male, ma penso dovresti pensarci trenta volte prima di scrivere una serie di articoli di questo tipo in questo modo, soprattutto se sono risultati di riflessioni che stai ancora elaborando.

Provo un fastidio molto forte per questo tipo di operazioni, chi mi conosce nel mondo dei videogiochi sa che ad esempio detesto Extra Credits, un gruppo di game designer con zero track record che si sono messi a fare video divulgativi dove parlano con un’autorevolezza che non gli spetta, fanno analisi di game design molto superficiali, e purtroppo vengono presi un sacco sul serio da giovani aspiranti game designer.

Insomma, non penso seriamente tu abbia l’autorevolezza necessaria a insegnare tecniche di questo tipo, con il tipo di voce che usi sul tuo blog. Soprattutto, a metterti a coniare teoria e offrire un glossario per gli altri. Penso tu stia facendo danni, anche se magari in buonafede.

Sarei molto, molto più interessato a leggere un resoconto di gioco concreto di te che metti in pratica le tecniche di preparazione che hai descritto, magari con anche i punti di vista dei giocatori, e possiamo darci un’occhiata insieme. E magari ho torto! Ma almeno parliamo di cose reali.

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