È legittimo non giocare con giocatori meno abili?

quello che vorremmo sapere, perchè ci farebbe davvero piacere saperlo è come giochi tu quando ti siedi con Pathfinder (ma anche don D&D se è per questo, a prescindere da come qualsivoglia di noi percepisca uno o l’altro) !

@Bille_Boo gioca D&D da 700 anni, ha avuto la pazienza di capire le assurdità che questo forum propone per cercare di giocare meglio, giocare diverso (giocare più “d’autore”?) e il linguaggio o la matrice di analisi del gioco concreto che una parte significativa di chi sta assiduamente qui ha in testa.

Sta venendo fuori, @Bille_Boo lo saprà dire meglio di me, che molto del gioco concreto del suo e del nostro mondo si assomiglia, che c è la possibilità di arricchirsi, per tutti, e che le differenze spesso non stanno in una regola di muovimento o di ferite, ma in altro, più importante e denso.

Spero che anche a te vada di fare lo stesso percorso insieme, perchè potremmo uscirne arricchiti.

Quanto ho scritto significava questo: cerchiamo le differenze profonde fra il modo di giocare che ti soddisfa e quello che ti frustra quando lo trovi al tavolo in altri, perchè fino a che paragoni astrattamente pathfinder e D&D io non ti capisco, perchè non ti posso capire.

Ma non riuscirei a capire dove trovi il problema nemmeno se mi dicessi che giochi al Silenzio dei Minotauri e ti frustra un gioco “alla D&D”, nonostante l’approssimazione mi risulterebbe certamente più familiare e ragionevole.

Perchè non so come davvero giochi.

Se non vogliamo parlare di questo, davvero rimane solo una comprensione a distanza su un atto di fiducia, che suonerebbe più o meno così: “hai trovato un buon posto dove sfogarti, in giro c è tanta mediocrità, qui hai trovato pane per i tuoi denti, ti capiamo”.

Ma forse risulterebbe un pò supponente e antipatico non trovi? Prima di tutto da parte nostra!

Perciò, se vuoi, ti va di raccontarci di un piccolo pezzo di un momento concreto di gioco in cui questa differenza fra ciò che desideri e provi a giocare e ciò che altri al tavolo invece facevano ti ha fatto cadere le palle?
In cambio te ne racconterò uno mio!

P.S. Non lo dire a @ranocchio … ma qui hai davvero trovato gente di un livello supersayan …

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@LucanoAmaro , come ti ho detto io ti capisco, e sono solidale con te. Ti credo. Posso anche capire (per esperienza personale) come l’arrivo su un forum nuovo, specie se imperniato su una cultura un po’ diversa, possa essere foriero di incomprensioni e di qualche frustrazione.

Se ti va di riconsiderare la mia domanda, oppure di darmi il via libera a proseguire con quell’esempio, mi piacerebbe aiutarti a chiarire queste incomprensioni in modo che anche gli altri qui possano capirti al meglio. Credo che, superato questo scoglio, avrebbero molto di utile da dirti.

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@LucanoAmaro credo che tu abbia frainteso il senso dei vari post.
Non è della differenza tra Pathfinder e D&D che ci interessa in sé e per sé ma del fastidio che stai provando. Il tuo post contiene diverse questioni: il fastidio come giocatore quando ai a che fare “col DM sbagliato” ed il fastidio come DM quando hai a che fare “con i giocatori sbagliati”. Tuttavia l’unico cosa che lo ha esplicitato a chi non gioca a D&D o Pathfinder (sono vari in questo forum) è stato:

E lato Master hai accennato a qualcosa:

Ma che evidentemente è stata poco capita.

Ipotizzo, ma è solo una mia ipotesi non suffragata da niente, che tu stia provando lo stesso fastidio che ti ritrovi quando devi spiegare le cose per la migliardesima volta e pensi che questo sia dovuto al fatto che consideriamo D&D e Pathfinder uguali; invece è che stiamo cercando il tuo fastidio perché molti non lo hanno compreso.

Quindi rinnovo l’invito di Bille Boo e di partire da uno dei punti che ti dà fastidio per procedere con la discussione :slight_smile:

Ciao :slight_smile:

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No, fai bene. Se ti piace giocare di ruolo con un’ambientazione definita, e pretendi che tutti abbiano una conoscenza molto approfondita, didascalica, sia dell’ambientazione, sia del regolamento, allora dovresti trovare un gruppo di persone che condivida questa visione.

Personalmente ritengo che sarà molto difficile, ma con i mezzi a tua disposizione nel 2023, forse almeno online riuscirai a costruire un gruppo con le tue stesse preferenze.
In fondo, Pathfinder sembra abbastanza diffuso come brand, quindi non dovrebbe essere così dura.

E questa è l’ovvia conseguenza, se ti crei un gruppetto di amici eterogenei che sicuramente non hanno la tua stessa visione del gioco, e probabilmente non vogliono leggere 300 pagine di regole e di ambientazione per calarsi in un hobby.

Come forse avrai già intuito anche tu, io vedo solo due strade:

  • La prima è quel che ho scritto sopra: crea un gruppo che abbia esattamente la tua visione del gioco.
  • La seconda: provi a cambiare totalmente il tuo modo di intendere il Gioco di Ruolo, e fai del tuo meglio per integrare nel tuo modo di giocare una delle abilità che i master dovrebbero avere o sforzarsi di sviluppare: la voglia di trasmettere la passione agli altri; la voglia di insegnare loro le regole, ripetendole decine di volte, se necessario; la voglia di mostrare il mondo dove si svolgono le avventure agli altri, descrivendo prima a pennellate grezze le zone più importanti, poi con dettagli più fini i luoghi, gli eventi, le persone che più saranno importanti nell’avventura che state per affrontare.
    Anche se conosci molto a fondo l’ambientazione, cerca di non fare il cicerone, usando ore per descrizioni “inutili”, ma entra subito nel gioco, descrivendo solo gli elementi più vicini a loro in quel momento. E’ probabile che in questo modo comincino a fissarli, se riesci a coinvolgerli.
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Ok aggiungo esempio.
Nell’ultima sessione è arrivato un giocatore che ha portato una scheda già compilata di pg e che come unico concetto di pg è stato “faccio il nano guerriero”.

Ho trovato molto difficile non sembrare impaziente e arrabbiato, quasi offeso da una tale superficialità di atteggiamento al gioco.

Un diverso giocatore dello stesso tavolo, sempre con tono tranquillo e quindi convinto mi ha anche chiesto anticipazioni sul “finale della campagna” come se essendo il mastet dovessi stabilire io, a prescindere, il finale della storia.

È stato davvero frustrante e avvilente per me dovermi vedere nella condizione di non sopportare più questi atteggiamenti scontati e questa necessità di dover ribadire e rispiegare principi ovvi di ogni gdr.

Ecco quanto è successo.

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“Ah boh non lo so, sicuramente i vostri personaggi moriranno male” = risposta standard

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Pur partendo dalla premessa che non conosco Pathfinder penso di poter rispondere su questo punto. Tutti i giochi hanno un margine che viene lasciato all’interpretazione di chi ne usufruisce, e per i giochi di ruolo questo è doppiamente vero essendoci spesso una figura, il GM, che ha un ruolo particolare. Io dubito che nel manuale ci sia scritto “è importante che tutti i giocatori conoscano l’ambientazione in maniera approfondita” ma anche se fosse sarebbe un’indicazione largamente ignorata per i motivi detti da @AndreaParducci: pochissime persone hanno sia il tempo che la voglia di farlo.

Quindi a questo punto la mia domanda è: quando hai proposto ai giocatori di giocare con te hai detto semplicemente “giochiamo a Pathfinder” oppure sei stato chiaro nello specificare tutte le tue esigenze? E riguardo la conoscenza dell’ambientazione e del regolamento, hai ricevuto una risposta poco convinta oppure una risposta affermativa entusiasta? Nel primo caso, il giocatore che si è presentato con il nano guerriero te lo puoi aspettare: è un altro modo di vedere il gioco, sicuramente più superficiale ma non per questo meno valido (e probabilmente pure maggioritario, se andiamo a guardare).

Per ricollegarmi a quello che ho scritto sopra, non esiste Pathfinder: esiste il vostro Pathfinder, che può perfino essere in contraddizione con il testo delle regole nello stesso senso in cui tutti giocano a Uno cumulando i +2 e i +4 anche se le regole dicono che non si può fare. Tu hai un’idea in testa di cosa vorresti ottenere dal tuo gioco, ma devi essere bravo tu a comunicarla e assicurarti che venga capita.

Ti lascio il link a uno strumento che ti potrebbe essere utile a comunicare chiaramente le tue aspettative: DriveThruRPG

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Grazie @LucanoAmaro per questo nuovo esempio e per i dettagli forniti a voce su Telegram.

Anche se il gioco è aperto a tutti, questo non significa che una persona sia obbligata a giocare con chiunque o a fare da master per chiunque.

È più che lecito decidere di giocare solo con persone che hanno una concezione del gioco a noi affine. Molti di noi lo fanno, direi quasi tutti.

Non c’è nulla per cui sentirsi in colpa. Non sei tenuto a istruire nessuno. È un gioco, non una missione.

Questo lo definirei il “consiglio zero” e ti è già stato dato, assieme a quello di provare giochi del tutto diversi o approcci del tutto diversi. Sono due consigli validissimi. A loro completamento (non negazione) vorrei provare a proporti un’altra strada ancora.


Un rischio e un’ipotesi

Il mondo è vario, e brulica di gente con cui potresti giocare ma che non conosci, o non hai mai visto giocare, o pensi / temi abbia qualche marcata differenza di vedute rispetto a te. Magari novellini. O magari persone cresciute con un “certo tipo” di D&D, cariche di aspettative errate e pregiudizi.

Supponiamo che tu voglia provare (magari anche non subito: in futuro, dopo una meritata pausa) a buttarti e fare di nuovo da master di Pathfinder per persone così.

Il rischio è di provare ancora quella frustrazione, quell’esasperazione, quei sentimenti negativi di cui ci hai raccontato.

Ci sono passato e vorrei dirti come penso si possa ridurre al minimo questo rischio.

Quello che dirò non va inteso come un giudizio. Mi limiterò a riferire delle cose che nella mia personale esperienza mi hanno aiutato, sperando che possano essere di aiuto anche a te.


Ovvia premessa

So che esistono anche i casi persi: soggetti che non vogliono “davvero” giocare di ruolo o comunque sono determinati a farlo in modo del tutto incompatibile con me. Hai fatto diversi esempi.

Di quelli mi sbarazzo e basta, senza rimpianti. Sono abbastanza rari, o forse sono stato fortunato io, ma non voglio negare che esistano. Nella mia esperienza, però, molte volte quelli che sembrano casi persi non lo sono.

Comunque, quello che segue è nell’ipotesi di giocare con persone diverse ma “recuperabili”.


1) Esplicitare le aspettative

Quando, dopo aver giocato per molti e molti anni con la stessa dozzina di persone, ho iniziato ad allargare il mio “giro”, ho notato che c’erano modi anche molto diversi di intendere il GdR, anche proprio lo stesso gioco. Mi sono dato da fare per trovare dei punti in comune e penso che ci siano, ma al contempo più e più volte sono rimasto sorpreso dalla scoperta di approcci sempre nuovi, a volte per me inconcepibili.

Senza giudicare nessuno, quello che ho imparato è non dare nulla per scontato, neanche le cose che dal mio punto di vista sono ovvie, sottintese nel gioco che intendo giocare.

Parlare con le persone prima di giocare (intendo: prima ancora di mettere mano alle schede, prima ancora di decidere se giocheremo insieme o no), per capire le loro aspettative ed esporre le mie, penso sia una sana abitudine, anche se non sempre ho tempo di metterla in pratica. Molti la chiamano “sessione zero” o “dichiarazione di intenti” o simili. Il documento che ti ha linkato @icemaze rientra in questo filone e a molte persone che conosco è stato utile. È una lettura che consiglio.

(parentesi...

…io poi personalmente ho almeno due grosse riserve su quel documento; mi piacerebbe un giorno parlarne con Musta, l’autore; ho sentito dire che lui stesso ha cambiato idea su alcune cose; comunque, ha indubbiamente il merito di aver formalizzato una cosa che si è sempre fatta, nei gruppi “sani”, ma che molte persone oggi non tenevano nella giusta considerazione.)

Ancora meglio, mettere per iscritto in forma semplice e chiara alcuni elementi cardine che ritengo imprescindibili mi è stato di grande aiuto, perché mi evita di doverli ripetere ogni volta (cosa che, tu mi confermi, può portare allo sfinimento). Se ti interessano sono qui. A chi vuole giocare al mio tavolo mando innanzitutto questo link.

È una cosa su cui ho cambiato idea grazie a questo forum. Prima ritenevo le liste dei “princìpi del gioco” come un inutile puntiglio, un “fare la punta al membro maschile” direbbe qualcuno. Invece sono utili.

Per esempio, ho incontrato un sacco di persone che si aspettano:

  • la “scia di bricioline” per seguire la trama decisa già in partenza dal master (come dicevamo in call),
  • o il fatto che il master imbrogli sui tiri di dado “per il bene della storia”
  • o il fatto che si debba interpretare il personaggio come in una sorta di recitazione teatrale.

Mettere in chiaro dall’inizio che al mio tavolo non funziona così (senza darlo per scontato, e senza giudizi e animosità inutili) ha permesso a questa gente di decidere liberamente se andarsene o rimanere per provare qualcosa di nuovo. E, ti sorprenderò, è accaduta più spesso la seconda cosa della prima.


2) Distillare l’ambientazione

Te lo confesso: io non amo le grandi ambientazioni precostruite, ho sempre giocato in ambientazioni “casalinghe”. Ma, se mi sforzo un po’, posso capire i loro vantaggi: poter fare affidamento su un ampio set di lore condiviso può far sì che sia più facile avere delle solide basi comuni per il gioco.

Da giovane però mi è capitato di scrivere ambientazioni homebrew molto corpose. E di rimanere deluso e frustrato quando i giocatori non le leggevano, o le dimenticavano. Sono arrivato alla conclusione che il problema non erano loro.

Penso che le persone abbiano una certa quantità massima di attenzione e impegno da devolvere a quello che, in fondo, è un hobby. Se voglio sfruttarla al meglio è imperativo che io riesca a concentrarla sulle cose davvero importanti, che in mezzo a un oceano di troppe informazioni si perdono.

Da molti anni, ormai, faccio due cose.

Primo: quando inizio una campagna, preparo un brief dell’ambientazione per i giocatori, di pochi paragrafi scritti grossi, sintetici al massimo. Il minimo essenziale che devono sapere sul mondo in cui andremo a giocare. Anche se in parallelo rendo disponibile il vero documento dell’ambientazione, magari di decine di pagine e dettagliatissimo, non do per scontato che lo leggano: l’unica parte obbligatoria è il brief. È un esercizio utile anche per me perché mi aiuta a riflettere su quali elementi del mio mondo sono davvero caratteristici e fondamentali per quella campagna.

Secondo: se ci sono aspetti dell’ambientazione di gioco (importanti o secondari che siano) che ritengo importante che i giocatori conoscano, prima possibile li porto nel gioco e glieli faccio toccare con mano attraverso il gioco. Per esempio, una mia campagna è ambientata in un mondo desertico in cui l’acqua è il bene più prezioso e la gente vive nella miseria, repressa dalle autorità con grande brutalità. Ebbene, non ho raccontato o fatto leggere questa cosa ai giocatori: invece, nella seconda scena giocata (subito dopo il classico quest giver) i PG hanno potuto assistere alla fustigazione pubblica di alcuni poveracci accusati di aver sottratto un sorso d’acqua più del dovuto. Anziché affidarmi alla conoscenza pregressa dei giocatori, presento conoscenza in game davanti ai loro occhi.


3) Un obiettivo vale mille retroscena

Come ho detto prima, too much info, troppe informazioni, può essere un problema per i giocatori, specie se si avvicinano al gioco o all’ambientazione per la prima volta. Ma esiste anche il problema opposto: un foglio bianco, totale assenza di informazioni, non li aiuta a inventare cose interessanti.

Siccome gioco a giochi in cui è normale che i PG formino un gruppo, che fa gioco di squadra, ho da tempo notato che la singola informazione più significativa che posso dare è un obiettivo: uno scopo concreto da raggiungere. L’obiettivo della prima quest, per esempio, o un generico obiettivo di lungo termine.

Svolge due funzioni. Innanzitutto funge da scopo comune che giustifichi il gruppo come tale (per quale ragione andiamo all’avventura insieme?). In secondo luogo cattura l’interesse dei giocatori: li porta a farmi domande per capirlo meglio, al che io fornisco elementi di contesto; e pian piano vengono alla scoperta del mio setting in modo dialogato, attivo, non con un infodump passivo.

Naturalmente non devo per forza essere io a calare un obiettivo dall’alto: posso fare una proposta, o una rosa di proposte tra cui scegliere, ma ancora meglio (quando c’è tempo) faccio da facilitatore in un dialogo tra i giocatori stessi, in modo che siano loro a proporre un obiettivo comune di loro gradimento (“vogliamo fare una ciurma di pirati e arricchirci assaltando navi mercantili!”, “ah, ottimo, c’è giusto questa zona della tale costa che si presta molto bene alla pirateria…”).

Nei giochi che non prevedevano che il gruppo fosse coeso (e, non so come giochi tu, potrebbe anche essere il tuo caso), ad esempio quando ho masterato The Pool, non ho dato ai giocatori un vero e proprio obiettivo ma comunque una questione centrale, un tema, attorno a cui si sarebbe svolta la giocata.


4) Abbandonare bisogni non necessari

Quando si siedono al tavolo, i giocatori devono aspettarsi uno scenario aperto, senza una trama già definita, senza un finale già scritto. Mi pare che siamo d’accordo su questa visione, giusto? Anche il tuo ultimo commento lo conferma.

Mi ci è voluto un po’ per capire che anche per il master nei confronti dei PG vale grossomodo la stessa cosa.

Quando ho iniziato a masterare esortavo i miei giocatori a scrivere backstory per i loro PG. Più erano dettagliate, più ero contento.

(parentesi...

…nota che questa cosa non era affatto richiesta da nessuno dei giochi con cui giocavo; è frutto di pura tradizione orale di una certa cultura di D&D e affini.)

Quando (come è normale) venivano fuori backstory che ci azzeccavano poco l’una con l’altra, spesso provavo a “intrecciarle”, a fare un po’ di taglia e cuci perché combaciassero. Insomma, a usarle in qualche modo come strumento per costruirci sopra situazioni (non trame, eh, per carità, situazioni) più ritagliate su quei PG specifici, cercando di far convergere i loro scopi.

A volte (anzi, abbastanza spesso) succedeva che un PG, nella pratica del gioco, si allontanasse anche parecchio da quello che il giocatore aveva dichiarato nella backstory. E io rimanevo un po’ stupito. Ci parlavo, provavo a capire perché.

Da diversi anni ho messo del tutto da parte queste pratiche. Mi sono reso conto che sapere in anticipo la personalità, il carattere, i valori, la storia passata di un PG, come si veste e il suo gusto di gelato preferito, non solo non mi serve ma mi ostacola; mi fa creare riguardo a quel PG delle aspettative non necessarie.

Ora insisto perché i miei giocatori scrivano backstory di 2 o 3 righe al massimo. Se vogliono scriverla più lunga possono, ma premetto che non garantisco di leggerla e che non la prenderò per vera (né mi aspetterò che vi si attengano in gioco). E se qualcuno vuole non scriverla affatto, e presentarsi al tavolo solo con una scheda e un nome, per me va benissimo.

Perché chi è e com’è davvero, quel PG, lo scopriremo comunque strada facendo. Voglio che sia una sorpresa per me. E molte volte mi sono accorto che è una sorpresa anche per il giocatore. È una cosa che emerge dal gioco a posteriori, esattamente come la storia.

Forse qualcuno, leggendo queste righe, penserebbe che così tendano a nascere solo personaggi stereotipati, piatti, senza approfondimento, tutti uguali tra loro. Ti assicuro, per esperienza diretta, che non è così. Confrontarsi con uno scenario complesso costringe ad assumere un’identità complessa.


Appendice: il bardo smacchiato

Ti racconto un aneddoto, ti piacerà.

In una two-shot, in cui come sistema ho usato D&D quinta edizione, lo scenario prevedeva un caso di omicidio su cui scoprire la verità. Era un playtest dello scenario e ho giocato online con giocatori che non conoscevo per niente. Non c’era stato il tempo neanche per un “sessione zero”.

Uno di loro ha spudoratamente messo in scena la macchietta del bardo marpione che ci prova con tutte. (Credo sia, tra tutte le macchiette di D&D, quella che più detesto in assoluto.)

Ti dico solo che all’inizio della giocata ha detto che provava a sedurre una poveraccia che era appena stata arrestata per l’omicidio e l’indomani, se non si dimostrava la sua innocenza, sarebbe stata giustiziata. Non esattamente dell’umore adatto per i giochi di seduzione, che ne dici?

Ebbene, non mi sono scomposto, e con molta calma gliel’ho detto: “Guarda, non funzionerà mai: è evidente che ha ben altro a cui pensare, adesso.”

E la scena è andata avanti. Ci ha riprovato solo un’altra volta, con meno convinzione, dopo essere stato (per vari motivi) rinchiuso anche lui, nella cella accanto a quella di lei. Di nuovo, ho detto che non poteva funzionare.

Stop. Da quel momento il PG non ha più fatto il seduttore una sola volta e, anzi, ha iniziato ad assumere una personalità non banale, di tipo audace e astuto allo stesso tempo, un po’ losco ma benintenzionato. Era solo una two shot, ma se fosse durata più a lungo lo avrei visto evolvere (ne sono sicuro) in maniera ancora più interessante.

In una sola sessione ho “smacchiato” la macchietta. E non castigandola: semplicemente mostrando con i fatti al giocatore che non funzionava, che doveva inventarsi qualcosa di meglio se voleva risolvere la quest. E siccome i giocatori vogliono risolvere la quest, se lo scenario è abbastanza complesso da far sì che le banalità non servano iniziano quasi sempre, in modo naturale, a tirar fuori cose complesse.

Molta gente (secondo me) si attacca a certi stereotipi superficiali non per vera convinzione, ma solo perché è abituata a esperienze in cui hanno funzionato, sono state di successo, e quindi… cavallo che vince non si cambia. Ma messa in condizioni diverse, se le diamo fiducia, può crescere e adattarsi a una velocità sorprendente.


Spero di esserti stato in qualche modo di aiuto. Fammi sapere come vanno le tue future giocate!

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