Allora, concordo con quanto detto da @adam e @ranocchio sopra, ma aggiungo quanto detto altrove:
Allora, il discorso è complesso…
I Powered by the Apocalypse – e anche Dungeon World , ovviamente – sono nati dallo stile di gioco di D. Vincent Baker e di Meguey Baker, quando giocano col gruppo di loro amici. Quel gruppo è un gruppo molto particolare e molto affiatato: hanno cementato uno stile di gioco molto “collaborativo” dai tempi in cui giocavano ad Ars Magica senza una figura monolitica di game master. Quella partita e quello stile di gioco sono stati così importanti che hanno influenzato giochi come Polaris che, poi, ha influenzato a cascata tutti i giochi senza una figura monolitica di game master che sono venuti dopo.
In particolare, Vincent, interpellato più volte sull’argomento, ha dichiarato che lui considera inelegante quando un regolamento determina strettamente chi ha il diritto o deve dire qualcosa che influenzi la narrazione. In questo, a me personalmente, pare che Vincent si ponga in discontinuità con un certo stile, nato su “The Forge”, che invece prevedeva che fosse sempre chiaro chi avesse autorità narrativa per poter dichiarare cose relative alla narrazione (come sostiene, per esempio, Ron Edwards). In questo modo, a mio avviso, si viene a creare quello che allora veniva chiamato murk , ossia quando il regolamento non è chiaro riguardo a come si gioca.
In questo caso, non è chiaro rispetto a chi chiama le mosse, rispetto a chi le interpreta e rispetto a chi le narra. E non è chiaro, perché a Vincent piace che sia così, ossia che i singoli gruppi si sintonizzino su un loro stile, che magari cambia anche di volta in volta, di situazione in situazione. Ovviamente, questa, per me, è una sconfitta di design, perché fa sì che i rapporti sociali preesistenti al tavolo emergano, e a decidere queste cose finisca per essere chi è socialmente forte a quel tavolo, ma questo è un altro discorso.
Il punto è che, proprio perché nello stile di Vincent queste cose vengono determinate costantemente dall’accordo di gruppo, a mio avviso è sbagliato partire dal presupposto che le decida una figura monolitica di game master. Certo, siccome il sistema di autorità finisce per poggiare sull’accordo di gruppo, in molti gruppi emergerà spesso che sarà chi ricopre il ruolo di game master a decidere queste cose. Ma darlo per scontato per me è una sconfitta culturale e va persino contro alla filosofia di gioco, che prevede che queste cose siano emergenti.
Considerato questo, sono altresì d’accordo con quanto detto da @TakFog appena sopra: secondo me, questo non rientra nel normale flusso della conversazione. Quando il game master narra assieme ai giocatori l’esito di una mossa, si segue esattamente la stessa procedura che John Harper descrive in Blades in the Dark e che @ranocchio ha riportato e tradotto sopra:
ranocchio:
When you narrate the action after the roll, the GM and player collaborate together to say what happens on-screen. Tell us how you vault across to the other rooftop. Tell us what you say to the Inspector to convince her. The GM will tell us how she reacts. When you face the Red Sash duelist, what’s your fighting style like? Etc.
Quindi, non concordo con quanto detto da @adam , per una semplice ragione: il giocatore non sta guardando il game master in attesa di sapere cosa accadrà. Sa perfettamente cosa dovrà accadere: si deve risolvere l’esito della mossa assieme . Infatti, il game master non può dire quello che vuole, e neanche il giocatore: entrambi dovranno fare dichiarazioni narrative che risolvano l’esito della mossa, secondo le regole.
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