Allora, il discorso è complesso…
I Powered by the Apocalypse – e anche Dungeon World, ovviamente – sono nati dallo stile di gioco di D. Vincent Baker e di Meguey Baker, quando giocano col gruppo di loro amici. Quel gruppo è un gruppo molto particolare e molto affiatato: hanno cementato uno stile di gioco molto “collaborativo” dai tempi in cui giocavano ad Ars Magica senza una figura monolitica di game master. Quella partita e quello stile di gioco sono stati così importanti che hanno influenzato giochi come Polaris che, poi, ha influenzato a cascata tutti i giochi senza una figura monolitica di game master che sono venuti dopo.
In particolare, Vincent, interpellato più volte sull’argomento, ha dichiarato che lui considera inelegante quando un regolamento determina strettamente chi ha il diritto o deve dire qualcosa che influenzi la narrazione. In questo, a me personalmente, pare che Vincent si ponga in discontinuità con un certo stile, nato su “The Forge”, che invece prevedeva che fosse sempre chiaro chi avesse autorità narrativa per poter dichiarare cose relative alla narrazione (come sostiene, per esempio, Ron Edwards). In questo modo, a mio avviso, si viene a creare quello che allora veniva chiamato murk, ossia quando il regolamento non è chiaro riguardo a come si gioca.
In questo caso, non è chiaro rispetto a chi chiama le mosse, rispetto a chi le interpreta e rispetto a chi le narra. E non è chiaro, perché a Vincent piace che sia così, ossia che i singoli gruppi si sintonizzino su un loro stile, che magari cambia anche di volta in volta, di situazione in situazione. Ovviamente, questa, per me, è una sconfitta di design, perché fa sì che i rapporti sociali preesistenti al tavolo emergano, e a decidere queste cose finisca per essere chi è socialmente forte a quel tavolo, ma questo è un altro discorso.
Il punto è che, proprio perché nello stile di Vincent queste cose vengono determinate costantemente dall’accordo di gruppo, a mio avviso è sbagliato partire dal presupposto che le decida una figura monolitica di game master. Certo, siccome il sistema di autorità finisce per poggiare sull’accordo di gruppo, in molti gruppi emergerà spesso che sarà chi ricopre il ruolo di game master a decidere queste cose. Ma darlo per scontato per me è una sconfitta culturale e va persino contro alla filosofia di gioco, che prevede che queste cose siano emergenti.