Tutto quello che scriverò è mia opinione.
Per quanto giusta.
Serviranno, credo, 4 post.
Sarebbe meglio non sovrapporre, anche se quanto scrivo sembrasse già dai primi post una gran cagata.
Cosa rende “reale”, “solido”, “consistente” l’immaginato in un gdr, cioè lo spazio immaginato condiviso in movimento?
Queste cose.
- l’Alterità dell’Immaginato rispetto a chi immagina
- I Limiti imposti da Regole
- Il Rimbalzo
- La Coerenza Estetica
Cosa significa Immaginato solido, reale?
Ovviamente nessuno può sperare di incontrare un drago nero per i cieli della sua città. Nè di vedere cavalcare il Cavaliere Verde mentre porta a scuola i figli.
E per fortuna Chtuluh non allungherà mai un tentacolo dall’Oceano per prendersi mia moglie.
Immaginato reale dunque non significa che mentre giochiamo crediamo o pretendiamo di materializzare nello spazio fisico e nel tempo ordinario le creazioni della nostra fantasia secondo il modo di esistenza naturale che sarebbe loro proprio se fossero ab origine indipendenti da noi.
Sarebbe chiaramente da folli.
Non siamo infatti noi i creatori delle cose della realtà, la quale anzi ci precede in ogni senso.
Che la realtà primaria sia indipendente da noi è una premessa, per quanto scontata (in realtà mica tanto al giorno d’oggi…), tuttavia doverosa.
In estate le foglie sono verdi e il gallo canta al sorgere del sole, anche se a me non sta bene, anche se pretendo che non sia così ed anche se io non ci sono proprio, di più, anche se IO non fossi proprio.
Posso cambiare, stravolgere, con la tecnica, queste cose, ma allora le ho “rotte”, nel senso che non sono più quello che erano.
Inoltre le ho solo trasformate, non ho creato nulla dal nulla.
Le cose, nella Realtà Primaria, esistono anche senza di me. Indubbiamente.
Tuttavia, se sono lì mentre il gallo canta o le foglie inverdiscono, io percepisco immediatamente queste realtà con i miei sensi e le metto in relazione con tutte le altre cose della realtà, attribuendo loro un significato, in sè e in quanto in relazione alle altre cose della realta.
È ovvio, è banale, lo facciamo tutti con tutto in ogni momento.
Spesso si genera poi una reazione pratica in chi percepisce la realtà.
Dalla percezione e significazione che il soggetto fa dell’oggetto si genera una interazione, una risposta, una modifica dello stato, psicologico ma anche fisico, di chi percepisce (magari la sveglia del gallo mi ricorda che devo partire il prima possibile e io accelero e mi affretto a partire, magari il vento mi dice che arriva una tempesta e io corro al riparo, magari il sole è terribile e mi svesto, magari osservo un orso e ho una tal paura che mi paralizzo).
Cioè ci sono conseguenze coerenti rispetto alla percezione e al significato.
Ma, anche senza una reazione pratica, sempre, volente o nolente, si genera in chi percepisce, per lo meno, una reazione di sola contemplazione, cioè di fruizione di pura bellezza e di desiderio di conoscenza, di “curiosità ontologica” (“cos’è?”).
Conoscenza di tipo scientifico magari (in senso lato, non tecnico), ma, più originariamente (cioè a livello fondamentale per una persona) e universalmente, di tipo linguistico, cioè di attribuzione di nomi alle cose percepite, che diventano descrizioni, che sono già, in certa misura, descrizioni significative, cioè narrazioni, racconti.
Dare un nome alle cose, chiamarle e descriverle è già una forma di conoscenza rispetto a quelle cose.
È un tipo di reazione e rapporto con la realtà che Tolkien definirebbe artistico.
E qui già ci avviciniamo alla realtà secondaria che è tipica dell’immaginato nel gdr.
Solo che nel gdr le cose dipendono completamente da noi.
Al tavolo non abbiamo la realtà primaria indipendente da noi e percepibile con i sensi, ma abbiamo comunque le descrizioni significative, cioè i racconti di quelle stesse realtà, tramite il linguaggio, cioè lo stesso strumento Creativo che normalmente consente la relazione con le cose della realtà primaria per dare loro significato, per "conoscerle, e lo consente in un modo che è, di per se stesso, artistico.
Il modo più alto di questo tipo di “conoscenza” credo sia la poesia.
La naturale conseguenza di tutto questo è che, affinché si possa creare la realtà secondaria e fantastica dell’immaginato ad un tavolo da gioco, occorre ascoltare qualcun altro che “chiami” all’esistenza le cose per te, che le descriva insomma.
In modo tale che ciò che la realtà indipendente da te fa normalmente per te e i tuoi sensi nel mondo primario, attorno al tavolo del gdr lo facciano insieme a te e per te gli altri partecipanti.
È il modo per rendere l’Immaginato indipendente rispetto a chi immagina e usa il linguaggio.
Non funziona se lo fai da solo, se te la suoni e te la canti.
D’altronde ormai tutti sanno che il gdr è fatto di conversazione.
I gdr in solitaria, da questo punto di vista, mettono in campo altri meccanismi per tentare di avvicinarsi comunque alla creazione di un immaginato solido.
Magari se avanza spazio si può approfondire.
Per il momento li ignorerei, per ora limitiamoci a riconoscere che in giochi come La Creatura o Ironnsworn solo in realtà… non sei proprio solo solo con te stesso e il racconto non dipende solo dalla tua immaginazione e dalla tua volontà.
Rimane il fatto, a mio parere, che i gdr in solitaria sono pericolosamente vicini ad un certo tipo di scrittura creativa, cioè ad altra attività, ad altro medium.
Generalmente non mi convincono neanche un pò.
Per tornare al tema principale, non dovrebbe stupire che la definizione di agency di Ron Edwards corrisponda esattamente a questa necessità, cioè la necessità che si debba ascoltare qualcun altro sul serio affinché ci possa essere davvero un immaginato, una realtà fantastica.
Hai agency, secondo quella definizione, quando qualcun altro ti ascolta, ti prende sul serio e costruisce, reagendo, su quello che hai detto.
È ovvio. Se la solidità dell’immaginato dipende da qualcun altro che usa il linguaggio per descrivere la realtà secondaria, allora ci siamo necessari a vicenda al tavolo.
Se te ne freghi di quello che dico allora le cose tendono a non esistere, semplicemente perché manca una sponda, manca quell’alterità che valida la realtà, cioè che chiama ad esistenza la realtà immaginata.
Non la puoi chiamare da solo, cadrebbe nel vuoto, sarebbe soliloquio, solipsismo.
Non ti puoi validare da solo le cose.
O quelle (nella realtà primaria) esistono da sole o (nella realtà secondaria del gdr) le ricevi da qualcun altro, le trovi apparecchiate da qualcun altro tramite il linguaggio.
Quel qualcun altro te le propone e tu le restituisci, oppure te le restituisce dopo che tu le hai proposte.
Affinché l’immaginato sia “reale” in questo senso “secondario”, deve riprodurre la principale caratteristica della Realtà “primaria”: deve essere data, deve cioè non dipendere solo ed esclusivamente da chi immagina, deve essere in qualche modo indipendente per consentire la percezione e possibilità di significazione di chi immagina.
Presuppone L’Altro. Esattamente come il linguaggio, il mezzo strutturale che dà forma all’immaginato.
Da questo punto di vista giocare davvero di ruolo è un atto di relazione profonda, in qualche modo un atto di conoscenza reciproca e di legame di affetto ed inoltre è un atto creativo.
Dipendendo da una relazione, il drago che immaginiamo esiste di più se siamo in 1000 a “riconoscerlo”, a “descriverlo, a chiamarlo, a validarlo” nello stesso modo e secondo le stesse regole, piuttosto che se siamo 2 o…1 solo che lo immagina. (Già se lo immagini leggendo un libro non si può dire che sei “solo” ad immaginare).
Ecco perché Railroad = Nulla.
Non c è niente di vero, di reale. Non stai giocando di ruolo, stai fingendo di farlo. Le tue cose non esistono. È come se le stessi pensando in silenzio, da solo, nella tua testa.
Anche se ti diverti. Anche se non ti interessa che ci sia qualcosa di “vero”.
Stai solo facendo casino, stai giocando come i bambini piccoli con due spade di gomma che urlano.
Ti stai divertendo a fare altro e lo chiami gdr. E io posso solo biasimarti come biasimo chi si diverte a scuoiare i gatti.
Più in generale, tutte le volte in cui qualcuno al tavolo ignora e travolge qualcun altro e il suo contributo, l’immaginato trema in maniera più o meno piccola.
Allo stesso modo tutte le volte in cui qualcuno gioca alle 3 carte con le realtà dell’immaginato, come nella continuità intuitiva, cadiamo nel nulla.
Qualcosa della realtà secondaria dell’immaginato svanisce, perché è istantaneamente resa evanescente.
Non ha validazione data dall’alterità, perché è come se stesse accadendo questo:
- “incontrate un ricco mercante” (prima sessione)
…si prosegue a giocare coerentemente il ricco mercante … (2a 3a 4a 5a sessione) - “il mercante è un doppleganger in realtà! Rimasto solo con il tesoro che avete sottratto al drago lo ruba e fugge verso le paludi della cazzate eterne! Sciocchi!” (5a sessione).
Qui gli altri hanno ormai validato un immaginato preciso. Che viene sottratto nel nulla all’improvviso, senza alcuna percezione e significazione possibile, a causa di uno solo e da parte solo di lui
Modi forbiti per dire “alla cazzo di cane”.
Out of the blu into the black. The Void.
Invece che doppleganger poteva essere qualunque cosa allo stesso modo, anche l’omino biscottino.
questa è l’Alterità : il fatto che io possa, similmente a quanto accade per la Realtà Primaria, percepire e dare significato a qualcosa di cui non posso disporre da solo, in modo che sia in tal senso indipendente almeno in parte da me e di cui io possa dire, guardandola come con distacco: “è un dono!”