Informazione nel mondo dei giochi: quale approccio?

Hola, visto che si tratta direttamente di una mia talk (con varie supposizioni sulla mia persona) mi ssembra il caso di rispondere direttamente.

Partirei dalle cose meno importanti, ma forse più utili a chiarire il contesto in cui la talk è stata fatta e da chi è stata fatta.
Nell’ordine, dici di non voler parlare della mia persona, ma sottointendi che non ho studiato la materia in primis, per concludere con due conclusioni mutualmente esclusive: ovvero che a tuo dire “sono ignorante, poiché ignoro la cosa/non l’ho studiata” o che “voglio spettacolarizzare un argomento, per fare uno show”. Partirei dal primo dei due punti: ho studiato la materia? Una veloce occhiata alla mia bio, sparsa in giro o reperibile anche sul mio portfolio può confermare che non solo l’ho studiata, ma ho lavoro nel settore da anni. Per contesto (poiché non ho particolare interesse a fare a gara a chi ce l’ha più lungo), ho conseguito un Master of Science in Game Design & Theory alla ITU di Copenhagen (con tesi di master nello specifico sul gioco di ruolo, la puoi reperire qui: The Presence of the Designer in Two-player Role-playing Games - Google Docs), dove in seguito ho anche insegnato game design nello stesso corso, assistendo Miguel Sicart: figura che, non lo nego, ha influenzato parte del mio paradigma e che notoriamente si era schierato contro l’uso diffuso del termine “fun” in inglese.

Qui arriviamo al primo punto che trovo problematico nella tua analisi, ovvero che a tuo dire in inglese il termine non ha la stessa valenza dell’italiano. Cosa vera eh, ma non è nemmeno inteso nel modo in cui lo hai riportato tu. Al punto che sia nella scena brittannica che in quella scandinava sono spuntati nel discorso ludico termini come “type-2 fun” e “alternative fun” per parlare di giochi su temi delicati, intimi, difficili da digerire. “Type-2” fun nello specifico si è originato persino al di fuori dell’ambito ludico accademico, quindi non è figlio di qualche dottorando che ha battuto la testa.
Forse qui il “problema” all’origine dell’incomprensione è che le tue fonti e il tuo cerchio di discussione è prettamente americano? Le fonti che hai scritto le ho lette e sono, di fatto, un’espressione americana sul tema. Non sono, tuttavia, le uniche. anche solo in scandinavia abbiamo designer e accademici come Markus Montola e Jaakko Stenros (Jaakko nello specifico ha una quantità e qualità di materiale scritto sul tema ludico capace di far impallidire chiunque) ed entrambi hanno parlato più volte del problema del termine “fun”. Occhio che qui se vogliamo fare i precisini si potrebbe quasi dire che sia tu a fare disinformazione sul tema, portando solo il punto di vista americano sul discorso, ignorando tutta la branca europea che passa da Sicart, Juul, Montola, e Stenros.

A tal proposito, ti sei chiesto qual è il contesto della talk? Capisco che su YouTube sia tutto un “eterno presente globale” in termini di contenuti, ma una rapida letta alla descrizione YouTube del video rivela subito che la talk è stata tenuta allo Knudepunkt 2019. Cos’è lo Knutepunk? La più grossa conferenza scandinava sul tema dei giochi di ruolo dal vivo, in particolare focalizzata sul classico nordic style che, guardacaso, è proprio la conferenza principale per parlare di “type-2 fun” et simili. La talk era all’interno di un programma preciso, messa su YouTube poi a scopo di archiviazione e ci sta che sia stata vista e diffusa senza contesto. Nel suo contesto però la talk mi sento di dire che era estremamente correlata al discorso corrente, al punto che nel pubblico c’era anche il sopracitato Jaakko Stenros, che non solo ha concordato con la talk, ma mi ha fatto presente che non era la prima e non sarà l’ultima sull’argomento, visto che è un tema particolarmente ostico da normalizzare.

Trovo anche problematico che tu faccia passare il mio riferimento all’MDA per “fare un po’ di show”, visto che dall’MDA stesso è spuntata l’iterazione seguente con il nome di DPE anche in vista di alcune criticità proprio con l’area “fun” dell’MDA la fa proprio sparire dal DPE Framework. Non capisco inoltre l’inciso tra parentesi sul fatto che “è uno strumento di analisi dei giochi”. Uno dei punti della mia talk è che fun è un termine talmente radicato che nel settore accademico e lavorativo continua ad essere usato in modo sommario. L’MDA (che resta uno strumento da conoscere, imho) ha quella criticità, a mio avviso.

Prima di passare alla parte delle conclusioni/soluzioni, faccio un’ultimo appunto sulla questione di In-Game: mi pare che tu “sminuisca” il punto perché quel libro nello specifico è stato scritto trattando di videogiochi e di VR, ma i contenuti sono assolutamente crossmediali, a mio avviso, e il parallelismo non solo non è azzardato, ma lo trovo personalmente estremamente utile. Non parlerei di disinformazione qui, a meno che tu non ritenga un’approccio crossmediale al game design un’atto di disinformazione, nel qual caso c’è un problema più grosso nel discorso tra noi due.

Ma parliamo di conclusioni e soluzioni. Lì nello specifico (visto anche il contesto della talk e il pubblico) il discorso si è spostato se vogliamo sul lato più “di settore”, visto che stavo parlando con altri designer e accademici. Sono rimasto sul tecnico perché tutti in quella stanza avevano per buona parte le stesse basi. Secondo te sto seriamente sostendendo che in via informale tra un gruppo di amici bisogna parlare delle 6 aree di coinvolgimento anziché di immersione? Nel senso, probabilmente mi sono spiegato male, ma mi pareva scontato che fossero soluzioni principalmente . Io lavorando trovo utile quando progetto pensare alle 6 aree, credo che anche altri possano trovarle più utile di usare come drive “voglio un gioco immersivo”. Puoi non concordare, ma onestamente ti sembra corretto parlare di “disinformazione”?

Riguardo a “fun” il problema imho è più grosso, non sto dicendo che le mie soluzioni sono le migliori (al punto che nella talk cito anche l’approccio di Sarah Lynne Bowman, persona stupenda nonostante non abbia il mio approccio sulla questione). Lì l’intento è, se vogliamo, duplice:

  • Spingere i game designer a pensare un passo oltre il “devo avere un gioco divertente”, spostando il drive sulle emozioni che si vogliono triggerare al giocatore (culturalmente positive o negative che siano).
  • Il secondo, più importante, è creare un clima di discussione in cui determinati giochi non vengano discriminati o segregati solo perché non rientrano nell’uso più comune di “divertimento”. Questa cosa succede. Io l’ho vista succedere su giochi che ho pubblicato io stesso, su giochi pubblicati da altri, e soprattutto l’ho vista succedere in modo crossmediale, dal videogame al boardgame, e ovviamente anche sul gioco di ruolo. Il videogame se vogliamo è quello più “maturo” nel senso che titoli come “Spec Ops: The Line”, “Gone Home”, “Papers, Please” (e molti altri) sono riusciti a subentrare un pelo nel “mainstream” (tra molte virgolette). Nel boardgame stiam vedendo i primi segnali, con cose come This War of Mine (il boardgame, che sicuramente sfrutta la normalizzazione sul che il videogioco ha guadagnato) e Holding On: the Troubled Life of Billy Kerr. Nel gioco di ruolo purtroppo siamo ancora in uno stadio di rifiuto e segregazione, purtroppo, in cui della comunità fatica a riconoscere la legittimità di giochi di ruolo che non siano EUMATE o che non abbiano buona parte dei default tradizionali (un master, dei dadi, una campagna, etc).

Spero di essermi chiarito sia come persona che di aver chiarito il contesto e le fonti della talk. Ammetto ho trovato molto poco “intellettualmente oneste” sia le supposizioni di partenza su di me, sia le conclusioni (di fatto dicendo “o questo non sa un cazzo, oppure vuole mettersi in mostra con uno show”). Il tutto con un tono da “io ho studiato, questo non sa un cazzo”.

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Avevo chiesto a @Matteo_Sciutteri quando aveva detto di voler fare questo post di cercare il più possibile di concentrarsi sul contenuto ed evitare commenti sulla persona – evidentemente non ci è riuscito.

Trovo altresì spiacevole che @Rugerfred si sia sentito in bisogno di iscriversi al forum semplicemente per difendersi.

Questo non è un buon segnale e discussioni di questo tipo non sono il motivo per cui ho messo su questo spazio.

Lascerò continuare la discussione, ma solo nel caso entrambi riusciate a mantenerla costruttiva. Altrimenti, al primo segnale di deriva, chiudo.

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A me non interessa se qualcuno si sia sentito offeso. Posso solo dire che questo thread ha generato risposte che mi sono piaciute.
Dunque se @Rugerfred vuole rimanere a parlare o linkare qualcosa nelle discussioni, posso dire di essere soddisfatto a sentire diverse campane su vari argomenti.

Può accadere che non si arrivi neanche ad una soluzione unica, su terminologia o altri concetti, ma leggere diverse opinioni, argomentate e magari anche opposte, mi rende piacevolmente appagato. Un po’ come guardare una statua da punti di vista differenti.

Spero che il clima non sia teso e, pur non sapendo se rimarrai nel forum, ti ringrazio per le argomentazioni appena scritte.

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Rimango volentieri a parlare. Mi sono iscritto sì per rispondere, poiché non amo vedere critiche alla mia persona usate per minare parte dei discorsi accademici che ho diffuso. Non ho un problema con le opinioni personali di @Matteo_Sciutteri, specifico, il problema però credo sia comprensibile nel momento in cui un thread che ha come titolo “DISINFORMAZIONE NEL MONDO DEI GIOCHI DI RUOLO” ha come unico contenuto una mia talk, estrapolata dal contesto in cui è stata tenuta, e sottointendendo che non so un cazzo/non ho studiato/voglio fare show.

Resto volentieri per discutere in modo costruttivo. Spero che la mia risposta sia servita a chiarire il contesto della mia talk.

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For the record, volevo rinominare il thread, ma ero in sessione ieri sera. Gli ho dato adesso un titolo meno provocatorio.

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Grazie dell’intervento e dell’ulteriore approfondimento.

Per parte mia esprimo compiacimento (e anche un pò di stupore) nel vedere quanto si stia elevando il livello delle discussioni in Locanda.
C’è da imparare. Con gusto.

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Mi sono accorto che non ho messo alcune fonti di quello di cui parlavo erano solo nel video YouTube, potrebbe essere più comodo per la discussione metterle direttamente qui. Il sito mi dice che posso mettere massimo due link, quindi metto solo i titoli, ma se avete problemi a trovarle scrivetelo pure che le linko direttamente:

Sulla scuola di design scandinava e sulle sue influenze invece ho un’altra talk (in italiano, questa) reperibile qui:

Questa potrebbe dare più informazioni sul contesto nel quale l’altra mia talk è stata fatta, nello specifico.

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Ho aggiunto i link al post di @Rugerfred che mi ha fornito tramite messaggio privato.

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Non sono sicurissimo del cambio di titolo del thread, in realtà. Per quanto io possa avere mancato il bersaglio, lo scopo non era quello di prendere un video postato in un altro thread (da un altro utente) e criticarlo.
Lo scopo era quello di usare il video come esempio per parlare della disinformazione che spesso si fa, parlando di giochi e della loro teoria.

Che poi è il motivo per il quale ho aperto il thread: ho visto il video, ho visto che un po’ di utenti lo hanno trovato interessate e mi sono detto "ok, ma se queste informazioni - che reputo errate - vengono condivise come se fossero valide, chi le riceve viene disinformato; aprirò un thread per parlare del problema, che ritengo largamente diffuso.

La chiusa, non particolarmente diplomatica, del mio post infatti non era rivolta all’autore del video (lo avevo scritto anche nelle premesse), ma a chi fa disinformazione.
E spesso chi la fa, è perché l’ha ricevuta a sua volta: per questo dico che la causa principale che porta a fare affermazioni di un certo tipo è l’ignoranza (sui temi trattati).
A volte c’è del dolo, e in quel caso si tratta di persone che fanno disinformazione per altri motivi (alcuni anche per mestiere), ma non credo che sia il caso di @Rugerfred - vado sulla fiducia, di solito, non parto mai dal presupposto che ci sia del dolo dietro alle cose, o una volontà precisa di creare disinformazione.

Però, ripeto, non essendo mia intenzione (sin dal principio) prendere il video e fare una critica su quello né soprattutto all’autore, trovo il nuovo titolo un po’ fuorviante.
E, soprattutto, non entrerò nel merito, con le mie risposte, né del curriculum dell’autore del video (perché parlerei di cose che non conosco: non posso sapere come ha seguito i suoi studi e quanto ha appreso né la bontà delle sue competenze - ma soprattutto parlerei dal mio punto di vista soggettivo, che non è interessante né onesto, come tutti i punti di vista soggettivi), né cercherò un modo di valorizzare il mio di percorso (di nuovo: non è interessante, perché non è importante cosa penso io, nell’ambito dell’informazione - è importante raccogliere informazioni oggettive).

Ci tengo a specificare una cosa, però: fonti, citazioni, autori hanno valore solo se comprovato e solo nel loro contesto.
Citare Freud per parlare di calcio non ha nessun valore, ovviamente.
Non dico che sia stato fatto - non ho ancora avuto il tempo di guardare tutte le fonti citate - ma lo sottolineo perché sarà l’approccio che userò per la mia risposta.

Quindi vorrei prendermi del tempo per fare una bella ricerca, analizzare le fonti fornire nelle risposte, e incrociarle con gli studi e i lavori che sono considerati accurati e di valore nel campo e poi mettere assieme i pezzi.

Ci vorrà un po’, abbiate pazienza.

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Se hai un titolo migliore, ma meno provocatorio di quello precedente, puoi suggerirmelo come messaggio personale.

Aggiornamento: il nuovo titolo è stato suggerito, e l’ho applicato.

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Nessuna fretta. Posso semplificarti il lavoro dicendoti che Parte delle fonti (Dansky e Wrigstad) erano parte della bibliografia del corso di Foundations of Play and Games, mentre i tre link specifici a Stenros, Montola, e Bowman vengono dalla scena del nordic larp direttamente correlata allo Knutepunk (dove ho tenuto la mia talk). Non le prenderei come “citare Freud per parlare di calcio”. A tal proposito (se ho capito il tuo paragone) forse l’unica che ad una prima occhiata può sembrare non direttamente correlata è In-Game di Calleja, ma anche quello è stato parte del corso della ITU che ho fatto e nelle discussioni con il mio supervisore di tesi c’era comprensione mutuale nel ritenerle coerenti e crossmediali come contenuti, applicabili facilmente ad altre forme ludiche al di fuori dei casi studio specifici che Calleja ha usato nel suo libro (e, nello specifico della mia tesi e di quella talk, anche al gioco di ruolo).

Nota a margine, che mi fa un po’ storcere il naso, ma preferisco essere diretto: mi fa molto strano che con tutta la disinformazione nel settore del gioco di ruolo (nel quale escono da anni “manuali” che contengono aria fritta e pattume, e con tutte le sedicenti figure “guru” che si pongono come autorità avendo studiato nell’università della strada) si apra un thread sulla disinformazione usando una mia talk estrapolata dal contesto, senza prendersi due minuti per capire dove e perché è stata fatta.

Faccio una piccola parentesi per darti del contesto.

Considera che un sacco di gente in questo spazio, me compreso e soprattutto, ha deciso attivamente di ignorare i social media, l’andazzo della comunità dei GDR in generale, le personalità, i drammi, il ciclo di hype delle uscite, per concentrarsi esclusivamente sulla propria attività di gioco e sul miglioramento della stessa.

Io partecipo attivamente solo qui, su Adept Play, e in maniera più rilassata su qualche gruppo Telegram.

Motivo per quale non ero particolarmente contento che fosse uscita una discussione messa così sul personale. E che non ho alcuna intenzione di lasciare che questo thread si trasformi in un processo pubblico verso di te. Non che io pensi che dobbiamo serenamente amarci tutti a vicenda e andare tutti d’amore e d’accordo – tutt’altro – ma preferisco non partecipare nella creazione di drammi di questo tipo che finiscono a diventare più dibattiti pubblici e lotte di influenza che cose che aiutano le persone a raggiungere i propri obiettivi con il gioco di ruolo.

(non sto implicando tu stia facendo questo, per chiarezza: semplicemente dico cosa non voglio accada)

Questo è un po’ il tema generale di questo forum, ne trovi una spiegazione sul nostro manifesto e in questa discussione sul nostro scopo.

Per tornare al punto, non mi stupirei se molti qui non abbiano alcuna idea a che cosa ti riferisci, e vivano benissimo così. Ad esempio, a me hanno dovuto recentemente spiegare chi fossero tali Marco Longo e Helios Pu, di cui – seguendo quasi per niente gli sviluppi recenti delle community italiane – ignoravo completamente l’esistenza.

P.S. se vuoi presentarti, c’è un thread apposito.

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Qui a mio parere c’è una domanda fondamentale: chi ha il diritto di dirsi un’esperto e insegnare cose agli altri?

Chiaramente posso essere io, individuo, a decidere chi considerare un esperto o meno, di chi fidarmi o meno, alle parole di chi dare valore. Non parlo di questo, ma del fatto alcune persone vengono invitate a parlare da chi ha un palco da dargli in base alla loro capacità di dire cose agli altri. Secondo quale criterio dovrebbero essere scelti?

Non è qualcosa che si risolve con un confronto fallico tra i vostri rispettivi CV. L’argomento “ma tu cosa hai fatto/pubblicato per davvero, ecco la mia lista di giochi” è tanto irrilevante come “ho una laurea da università tal dei tali, ecco le mie referenze e un macello di citazioni accademiche”. Sono entrambi argomenti ad auctoritas che non risolvono la questione in alcun modo.

Perché l’esperienza e le credenziali, se davvero offrono conoscenza su un argomento, dovrebbero fare in modo che tale persona sia in grado di spiegarle e argomentare a un livello più che basilare. Questo è quello che una delle persone più brillanti del secolo scorso, Richard Feynman, credeva con fermezza.

Lo spiega David Goodstein in un estratto di Feynman’s Lost Lecture: The Motion of Planets Around the Sun (traduzione mia).

Feynman era davvero un grande insegnante. Si vantava di essere in grado di escogitare modi per spiegare anche le idee più profonde agli studenti principianti. Una volta gli dissi: “Dick, spiegami, in modo che io possa capirlo, perché le particelle con spin ½ obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac”. Valutando perfettamente il suo pubblico, Feynman disse: “Preparerò una lezione su questo argomento per le matricole”. Ma tornò qualche giorno dopo per dire: “Non ce l’ho fatta. Non sono riuscito a ridurla al livello delle matricole. Questo significa che non lo capiamo davvero”.

La capacità di Feynman di spiegare era leggendaria, tanto che le sue lezioni sono state raccolte in tantissimi formati – se siete interessati di fisica, sono molto accessibili, le consiglio caldamente e le trovate qui.

Quindi, se Feynman spiegava la meccanica quantistica agli studenti universitari che sapevano zero di fisica, voi potete benissimo spiegare le vostre teorie sui giochi in termini concreti che chiunque sia in grado di capire, mantenendo il gergo tecnico al minimo. Ed egualmente, potete argomentare e controargomentare i vostri punti grazie alla vostra esperienza facendo riferimento al linguaggio comune e ad esperienze di gioco vostre o altrui.

A mio parere è questo che rende una persona degna di insegnare agli altri.

Nella mia professione questo argomento mi ha toccato molto: mi ritrovo in certi casi molto più accademicamente preparato di miei colleghi che hanno magari più esperienza pratica, e sono stato costretto a spiegare alcuni concetti che ritenevo veramente basilari a persone che non li conoscevano e che avevano un’anzianità lavorativa maggiore della mia. È stata un’esperienza che mi ha insegnato cose che pensavo di non sapere e mi ha reso più umile. E adesso so che conosco meglio la materia, perché posso spiegarla semplicemente agli altri.

Eviterei proprio di parlare di informazione e disinformazione. Cos’è una teoria o un modello? Perché è utile? Perché adottiamo certi termini rispetto ad altri? Mi ritrovo spesso a notare che a persone di tutti i tipi manca un appoggio epistemologico riguardo a quello che conoscono – in tutti i campi. C’è un esperto di qualche tipo, di cui mi fido, che mi ha detto che le cose stanno così. Questo è pensare di sapere mentre non si sa niente.

E insegnare altresì non è un semplice riversare il sapere. È un accompagnare ciascuno su una strada personale di conoscenza e automiglioramento. Chi assorbe e ripete, egualmente, non sa niente.


Concluso questo, mi permetto di fare un commento su magari che cosa ha causato una risposta infiammatoria al video di @Rugerfred.

Dal mio punto di vista il fastidio è causato dal fatto che i video di queste lezioni – non solo delle sue, è un fenomeno più vasto – vengono postati in altri gruppi, spesso come per dire “informati, ignorante!”, mettere il punto fine su una questione, e interrompere la discussione. A me è venuto più e più volte voglia di trollare sulla questione del “divertimento” – che, ok, non è esattamente la stessa cosa di fun – sollevata da questa lezione, giusto perché mi piace ammazzare vacche sacre e indicare gli elefanti nelle stanze.

Chiaramente, non è colpa di @Rugerfred come altri usano le sue parole, e altresì non sto implicando che ciò ne rende il contenuto falso, ma forse quello che dovrebbe far riflettere è che questo tipo di thought-terminating cliché è il contrario di un dialogo intellettuale dove si sviluppano concetti, si scambiano idee e si insegnano cose, e più simile a un castello di carte costruito sull’ortodossia.

Ovvero, che – bam! – adesso con questo video abbiamo stabilito che qui la parola “divertimento” non dev’essere più usata, e guai a chi la pronuncia!


Riguardo al contenuto, delle contestazioni da fare al video di @Rugerfred ce le avrei anche, principalmente perché trovo la sua impostazione molto highbrow, non mi ha convinto che ci sia alcunché di sbagliato o dannoso nella parola fun, e anche se sono abbastanza d’accordo con lui che immersion non significhi niente, non sono altresì convinto in alcun modo che la sua tassonomia del coinvolgimento ne sia un buon rimpiazzo o rifletta la realtà dei fatti, in quanto noto una mancanza di actual play nel discorso, e non riconosco queste descrizioni nell’attività di gioco mia né in quella che mi è stata descritta da altri.

Ho detto questo solo per rendere chiaro dove sto sulla questione, tuttavia vorrei riguardarlo tutto e rispondere con un’argomentazione più completa, ma nel thread appropriato, quello relativo a “di cosa parliamo quando parliamo di divertimento”.

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Chi ha il diritto di dirsi un’esperto e insegnare cose agli altri?

Ecco, questo è uno spunto estremamente interessante. Concordo anche con la questione che se si è capito qualcosa si dovrebbe essere in grado di spiegarlo in modo semplice a chi ne sa poco o nulla. Mettiamoci anche che, onestamente, il game design non è fisica quantistica (nonostante sia un settore, diciamo, ancora acerbo).

Aggiungo solo una considerazione tangenziale, ma imho utile: dare un nome alle cose aiuta a capire come funzionano e quando avvengono, spesso. Mi viene in mente il caso del termine Bleed, e di come esistesse anche prima dell’avere un nome preciso, ma che da quando l’ha avuto la quantità di analisi e documentazione al riguardo è schizzata alle stelle. Questo porta però inevitabilmente ad un glossario arricchito e tecnico, per cui alcuni termini vogliono dire tanto a chi li conosce, e nulla a chi non sa di cosa si stia parlando. Come risolviamo questo conflitto?

Aggiungo un’altra considerazione, perché spesso si pensa al termine “insegnare” in modo molto scolastico e frontale, ma non è l’unico modo. Ci può essere anche un’insegnamento tecnico tra professionisti che ad occhi e orecchie esterne non ha senso, ma che all’interno del contesto l’ha eccome. Ripenso al caso della talk su fun & immersion, tenuta all’interno di una conferenza storica (prima edizione nel '97) che negli anni ha prodotto un glossario e concetti comuni all’interno delle community scandinave, ma che non è detto siano passati all’esterno. Penso nello specifico all’esempio diretto delle categorie di Calleja e a come per un game designer a mio avviso possono risultare estremamente utili in fase di progettazione, ma che hanno poco senso all’interno di una conversazione informale amichevole. Non facciamo l’errore di prendere una talk tecnica/di settore estrapolandola dal contesto per sostenere la complessità della materia, perché si corre il rischio di fare scaremongering alla “Vedete? Vogliono farvi credere che il game design è una cosa complessa e irraggiungibile, piena di termini inglesi, etc”. Che insomma, sì ma anche no.

L’highbrow della mia talk su fun e immersion credo (spero) venisse dal contesto accademico della conferenza. Non sta a me giudicarlo però, posso solo fornire il contesto in cui tale conferenza è avvenuta. A tal proposito però posso fornire altre due fonti:

  • Una mia talk tenuta a Cagliari, in italiano al Playrooms. Nel pubblico c’erano sì game designer ma anche giocatori e curiosi con nessuna esperienza ludica, alcuni dei quali hanno giocato di ruolo per la prima volta i giorni precedenti (all’evento avevo portato alcuni giochi di ruolo nordici e american freeform). In questa talk parlo della scuola di pensiero e design scandinava, ma cercando di mantenere il tutto accessibile, spiegando ogni volta i termini tecnici quando necessari. La talk la trovate qui:
  • Un secondo aneddoto è più personale e non è documentato per via dell’informalità in cui di solito avviene: mi è capitato spessissimo a varie convention, in fase “svacco/relax” di parlare di divertimento e immersione, e credo chiunque abbia parlato con me in quelle occasioni di non aver trovato il discorso particolarmente highbrow o tecnico. È vero che tendo spesso quando parlo a citare fonti a catena, ma giuro sulla mia vita non è mai per dire “guardate quanto ne so a pacchi”, è sempre per dare strumenti e possibili percorsi alternativi all’interlocutore per approfondire ulteriormente, in caso. Tanté che cito spesso anche fonti di persone con cui non concordo necessariamente, ma che forniscono insight sui temi di cui sto parlando secondo me estremamente utili da ascoltare.

Questo tutto nell’ottica di talk/insegnamento all’interno di conferenze e/o discussioni. Nelle esperienze invece in cui mi è capitato di fare formazione come insegnante/gestore di workshop la mia preoccupazione è sempre student-first e spesso cerco di capire dove vuole andare lo studente, e dargli strumenti ad-hoc per quello che vuole fare (non per quello che io voglio che faccia). Anche qui non ho esempi registrati purtroppo però.

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Non so se Federer sarebbe un ottimo insegnante di tennis e nemmeno se lo sarebbe buono.

Piero Angela, nel nostro piccolo italiano, era un grandissimo divulgatore quando era in TV, ma sospetto che non fosse un esperto nel 90% delle cose che divulgava.

Zichici è praticamente incomprensibile quando spiega anche il solo teorema di Pitagora (il mio massimo livello), ma non ho mai pensato che non fosse un totale esperto di quello che spiegava, almeno al livello necessario per renderlo per me un maestro.

Il mio professore di diritto civile, un genio del male peraltro, era piuttosto strano, disordinato e scattoso nelle lezioni, ma con il tempo e partecipando ai moduli avanzati, ho capito che diverse sue affermazioni lapidarie e “strane” avevano genialità di pensiero e di soluzione nell’ambito del diritto civile e che aprivano strade e percorsi di approfondimento e novità.

Ron Edwards, nel suo piccolissimo, è notoriamente difficile da leggere e ascoltare, ma trovo che la sua impostazione sul gdr sia geniale se compresa, fruttuosissima e profonda (tanto che mi meraviglio non sia considerato dalla scena Larp scandinava almeno nell’articolo molto bello e denso postato da @Rugerfred nell’altro post, che eleva a merito Baker e Czege. In realtà mi sono fatto una certa idea leggendo l’articolo del perché vengano citati quei giochi/autori e non altri…).

Insomma, a me il collegamento “saper spiegare = conoscere davvero in teoria e in pratica = essere un maestro” che hai fatto… non convince.

E allora?
Allora il curriculum vale .
Come punto di partenza soltanto, come presunzione soltanto, ma vale.
Bisogna saperlo leggere e valutare, ma vale.
Eccome.

Se ho allenato il Real per 10 anni e vinto 3 champions e 5 Liga, possiamo tranquillamente presumere che di calcio e sul tema “allenare e far giocare bene una squadra”, io ne capisca.

Se ho scritto 55 articoli medici su Science e sono ai primi posti su PubMed si può tranquillamente presumere che io sia grozzo, un maestro, nella medicina almeno di quel settore.

Lo zio di mia moglie ha vinto il premio Caccioppoli, a suo tempo fu preso in considerazione per la Fields e ha scritto qualche tonnellata di libri in materia.
Ho sempre dato per scontato che fosse un guru della matematica non lineare. Che però ti garantisco non riusciva a spiegarmi bene nemmeno cosa fosse, abbandonando il discorso dopo qualche minuto con uno scossone della testa.

Il gdr non è la matematica non lineare ovvio, come ha detto anche @Rugerfred , ma chi ci lavora, chi studia e legge kili e kili di roba continuando a giocare e tutto questo ce lo ha certificato da una comunità di pari in modo accettabile e riconoscibile, ha, a mio avviso, una credibilità significativamente maggiore, pur trattandosi di mera presunzione perfettamente vincibile all’atto pratico e anche all’atto teorico se le affermazioni del tizio in questione palesemente non reggono.

Se togli questo togli buona parte della civiltà occidentale della ragione.

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Dalla mia piccola nicchia di ignoranza (ammetto di star comprendendo solo una parte minoritaria di questa discussione, sicuramente per un limite mio) posso dire che penso che il ruolo:

  • di ricercatore (= colui che espande la conoscenza, scopre e studia nuove cose, e informa i suoi pari di queste scoperte),
  • di insegnante (= colui che spiega le cose a persone che sono, o intendono diventare, esperte della materia) e
  • di divulgatore (= colui che spiega le cose ai profani / al grande pubblico)

siano molto diversi e tutti e tre fondamentali. Non è detto che la stessa persona sia brava in tutte e tre le cose: spesso, anzi, ci sarà chi è più bravo in una e chi è più bravo in un’altra. Non vedo nessuna gerarchia tra le tre. Servono a scopi diversi, tutti e tre nobilissimi.

Quello che sarebbe utile semmai, secondo me, sarebbe, quando si scrive o dice qualcosa su un tema, chiarire meglio in quale delle 3 vesti lo si sta facendo.

Dopodiché ogni persona è diversa e magari per qualcuno è accessibile un discorso che per qualcun altro è criptico.

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Aggiungo un’altra fonte dall’ambiente nordico dello Knutepunkt che è spuntata grazie ad una conversazione con @danieledirubbo: https://nordiclarp.org/w/images/a/af/2007-Lifelike.pdf

Qui c’è un articolo di Matthijs Holter (autore, tra le varie cose, di Archipelago e di Society of Dreamers) che si chiama stop saying “immersion”!, a pagina 19.

Quoto due frasi delle conclusioni che trovo particolarmente close to home:

“In communicating about games or game theory, the term is diffuse and problematic.”

“When designing a game event of any sort, the game designer or larpwright should be specific and concrete when thinking and talking about techniques and goals.”

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Hai già citato gli altri due articoli che ci siamo passati?

Quello di Sarah Lynne Bowman su Nordic Larp Org no poiché era già nelle fonti che avevo usato per la talk, ed è stato linkato sopra.

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Va bene, allora sei scusato. :heart: